L’invasione e la guerra. La Russia e l’Ucraina, una terra che, per qualche tratto fu anche territorio della “nostra” patria quando cioè il Trentino faceva parte dell’impero austriaco. Leopoli era città dell’Austria-Ungheria e in quella città-fortezza oggi in Ucraina, allora ai confini orientali della corona di Vienna, vi persero la vita e furono fatti prigionieri numerosi kaiserjäger trentini. Oggi in Trentino ci sono migliaia di donne e di uomini immigrati che contribuiscono ad assistere i nostri vecchi o che lavorano in aziende trentine. Anche per questo, e non solo per questo motivo, è importante rileggere la storia di quella terra nel cuore d’Europa. Lo fa con la consueta maestria Renzo Fracalossi.
La Russia è un’immensa pianura, un tempo fondale di un vastissimo mare, che si estende dall’Europa centrorientale fino alle fredde e disabitate profondità della Siberia. Seppur rotta da alture e catene montuose, mai abbastanza alte però da modificare il complessivo andamento pianeggiante, la Russia – e con essa le sue identità e la sua composita anima – si allarga su due continenti.
La steppa meridionale, per secoli, è la strada aperta per quasi tutte le invasioni dell’Europa, proprio per il suo carattere di frontiera fluida, indefinita e spalancata fra oriente asiatico e occidente europeo, spingendo i russi a saldare legami solidi e duraturi con la cultura europea dalla quale essi traggono, in larga parte, lingua, religione e tradizioni. Steppa a Mar Nero diventano il punto di incontro dei russi con il mondo classico greco, romano e bizantino e infatti sono le colonie greche sul Mar Nero che, a partire dal VII sec. a.C., sviluppano sempre nuovi contatti commerciali e culturali con tutte le popolazioni slave che si succedono: dai cimmeri agli sciti e ai sarmati di stirpe indoeuropea. Poi i goti che scendono dal nord scandinavo e gli unni di origine asiatica e ancora gli àvari, nomadi che risalgono dall’attuale Turchia. Da questo crogiolo di popoli e culture, nella regione del fiume Volga, prende corpo una nuova entità statale, ovvero il regno dei cazari, etnia turco-asiatica, segnato dallo scontro con l’islam, ma anche da una florida politica commerciale e da una legislazione tollerante e illuminata. Il giovane regno si converte al giudaismo e prepara l’avvento di un’altra forma statale, quella cioè della Russia di Kiev.
L’attuale capitale dell’Ucraina è, al tempo, di importanza strategica per la sua posizione centrale sulla “via dai variaghi ai greci”, ovvero dal nord baltico e scandinavo a Costantinopoli e il suo regno vive una parabola storica distinta in tre fasi. La prima è quella costituente, grazie all’opera, sospesa fra mito e storia, del principe Oleg che, con il suo imperialismo, orienta anche la politica espansionista del suo successore Svjatoslav, definendo così la fisionomia del nuovo stato. La seconda fase è quella dell’assestamento del potere di Kiev attraverso l’azione di sovrani come Vladimir il Santo e Jaroslav il Saggio che garantiscono al regno una dimensione europea, anche in virtù dell’introduzione e della diffusione del cristianesimo che imprime una enorme svolta culturale, politica ed economica all’entità statale kievana. Narra la “Cronaca di Nestore”, poema epico che canta il regno di Kiev, le sue origini vichinghe e il suo sviluppo e ricorda figure come quella di Olga che regge per decenni il regno e diventa la prima donna famosa nella storia russa e una Santa della Chiesa ortodossa. Infine, il terzo e ultimo periodo che è quello della decadenza, culminata nel 1240, quando gli invasori mongoli radono al suolo la città e mettono fine al Granducato di Kiev. Accanto a ciò, un peso rilevante in questa dissoluzione è rappresentato dalla continua parcellizzazione del potere e dei possedimenti, il che rende fragile lo stato e ne mina l’unità politica.
Kiev è però riuscita comunque nell’impresa non facile di radicare nell’animo dei suoi abitanti, il concetto di “unica e comune terra russa”, in base al quale si viene creando una sorta di coscienza nazionale e patriottica in senso lato, che permette anche di superare la lunga e difficile occupazione mongola (1240 – 1480), garantendo la sopravvivenza dei russi come popolo.
Da quel momento in poi, inizia un lungo alternarsi di appartenenze dell’Ucraina a diversi poteri: dapprima il Principato di Galizia e Volinia e poi, nei secoli XIV e XV, il Granducato di Lituania, mentre alcuni territori occidentali passano sotto il dominio della Confederazione polacco-lituana e del potere ungherese e le terre ucraine più meridionali costituiscono il Khanato di Crimea. Nel frattempo sorge più a settentrione una nuova entità statale, quel regno moscovita che è intimamente legato alla vicenda e alla cultura kievana ed è alimentato dalle decine di migliaia di profughi che fuggono davanti all’Orda mongola, irradiandosi verso nord e verso Mosca.
In questo enorme movimento di persone e culture, prende corpo anche la differenziazione etnico-linguistica dei russi in tre grandi gruppi: i “Grandi Russi”, ovvero i russi in quanto tali; i “Piccoli Russi”, cioè gli ucraini noti anche come ruteni e infine i “Russi Bianchi”, che sono i bielorussi. Sono separazioni che si sedimentano nel tempo e se gli ucraini a subiscono forti influenze polacche, europee e lituane, le altre due etnie sono esenti da contatti e “contaminazioni”, conservando quindi una sorta di “anima” russa più autentica e profonda. Questa fase, nota anche come età degli “appannaggi”, si conclude con il crescente predominio moscovita, quale premessa per un unico e vasto potere che viene suggellato dall’ascesa al trono, nel 1462, del granduca di Moscovia Ivan III, un monarca illuminato che riunisce le terre russe e crea nuovi rapporti con l’occidente cristiano, aprendo le porte ad architetti, ingegneri e medici italiani. Ma è con il regno del suo successore, Ivan IV il “Terribile” (1533), che la Moscovia assume le proporzioni di grande potenza, conquistando anche la Siberia e segnando una continua lotta per il potere e contro i nobili boiardi e il clero.
Dopo il regno di Ivan IV e di suo figlio Teodoro, in assenza di eredi, viene meno la dinastia moscovita e sale al trono Boris Godunov nel 1598 e, dopo di lui, lo czar Michail Fedorovic Romanov che avvia la lunga storia di questa famiglia. Alla sua morte il trono passa al figlio Aleksej Michailovic, un sovrano assoluto ma certamente non un despota. Durante il suo regno però alcune sollevazioni segnano le proteste del popolo contro lo strapotere nobiliare e danno la stura anche alla ribellione dei cosacchi del Don, guidati da Stepan Razin, che proclamano ovunque la libertà dal giogo nobiliare e burocratico. Soffocata nel sangue la rivolta, per calmare lo scontento popolare lo czar promulga un nuovo codice legale che sistematizza le norme fin qui emanate e segna una importante tappa di progresso civile.
Nel frattempo, l’Ucraina, soggetta all’influenza polacca, avvia l’istituzione di una sua Chiesa, detta uniate (o rutena), legata a Roma ma capace di conservare i suoi riti orientali e la lingua slava, ponendosi così in antagonismo con la Chiesa ortodossa russa. Ciò produce, in Ucraina, nuove ribellioni popolari, favorevoli all’ortodossia, che vengono soffocate dalla violenta repressione polacca.
Nel 1648, i cosacchi fondano una loro forma statale, l’Etmanato d’Ucraina che, sotto la leadership di un capo cosacco, Bogdan Chmel’nickij, scatena anche sanguinosi pogrom antisemiti, accusando gli ebrei di essere gli esecutori materiali dell’oppressione del popolo, per conto dei nobili latifondisti polacchi. Il forte clima di incertezza e di paura che accompagna le razzie sanguinarie dei cosacchi, spinge le classi dirigenti ucraine a cercare nuove sicurezze, scegliendo quindi la sudditanza verso lo czar ortodosso, al quale giurano fedeltà. In breve però i russi cancellano l’autonomia ucraina, a dispetto degli accordi raggiunti, imponendo un pesante gravame fiscale e forti restrizioni alle libertà degli ucraini. Nel frattempo scoppia la guerra fra la Russia e la Polonia, proprio per il possesso dell’Ucraina, che si conclude, dopo l’intervento svedese in favore dello czar, con il trattato di Andrusovo. Con esso si stabilisce la linea del fiume Dnepr come confine naturale fra la Russia e la Polonia, dividendo in due l’Ucraina che, tutt’ora, indica quel periodo con il termine di “Rovina”.
Con la grande “guerra del nord”, alla metà del secolo XVII, i cosacchi guidati da un nuovo Etman Ivan Mazepa si alleano con gli svedesi contro la Russia zarista, ma subiscono una pesante sconfitta e il territorio viene, ancora una volta, spartito fra la Russia e l’Austria asburgica, mettendo fine così a ogni minima forma di autonomia ucraina. Larga parte del territorio viene assorbita dal grande impero russo, che si sta consolidando grazie alle riforme dello czar Pietro il Grande e all’autoritario governo di Caterina la Grande. Gli czar che le succedono, dal figlio Paolo ad Alessandro I, Nicola I, Alessandro II, Alessandro III e Nicola II, l’ultimo czar, vedono i destini ucraini strettamente connessi a quelli russi. Solo nel XIX secolo, il nazionalismo ucraino trova un suo protagonismo che, dopo la prima guerra mondiale e la caduta dello zarismo, riesce a dar vita a una repubblica indipendente, seppur di breve durata.
L’avvento dell’U.R.S.S. cancella infatti quella repubblica, nella quale si trovano anche le basi e gli appoggi principali dei “russi bianchi” cioè i controrivoluzionari, mentre prendono avvio tragiche deportazioni di massa dei cosacchi e ulteriori frazionamenti del territorio a vantaggio anche dei nuovi stati sorti dalle ceneri del vecchio impero asburgico, ovvero Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Sull’Ucraina cala quindi la mano di ferro di Stalin. La regione è ricca; ci sono non pochi proprietari terrieri – i “kulaki” – e qui più che altrove viene imposta la collettivizzazione forzata che provoca, fra il 1929 e il 1933, la morte per fame di milioni di ucraini e la deportazione delle loro classi dirigenti: è l’Holodomor. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e soprattutto con l’operazione “Barbarossa” – l’invasione tedesca dell’URSS – l’Ucraina viene occupata dalla Wehrmacht e dai suoi alleati, fra i quali anche italiani e ungheresi, mentre il territorio viene trasformato nel “Reichskommissariat Ukraine”, una sorta di feudo tedesco. Oltre 30.000 ucraini si arruolano allora nelle Waffen SS e in altri reparti, in funzione antisovietica, perché la Russia è e rimane lo storico oppressore da sconfiggere, anche a costo di allearsi a un altro dittatore e a un altro regime criminale.
A conclusione del conflitto, l’Ucraina, occupata dalle truppe sovietiche, rientra nell’alveo dell’URSS e, durante la breve epoca di Kruscev, si arricchisce della Crimea, mentre l’intera produzione cerealicola ucraina, al pari del bacino industriale del Donetsk viene fortemente sviluppata, portando l’economia ucraina su livelli di produttività – e quindi anche di redditi – un po’ più alti della media sovietica. Il 26 aprile 1986 l’incidente nucleare occorso alla centrale di Chernobyl rischia di trasformarsi in un disastro continentale e disvela anche i limiti oggettivi della sicurezza nucleare sovietica. Con la caduta del Muro di Berlino, tre anni dopo, prende avvio anche la disgregazione dell’impero sovietico e il 16 luglio 1990, il Parlamento della repubblica ucraina approva la “Dichiarazione di sovranità”, atto che prelude all’indipendenza dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, proclamata il 24 agosto del 1991 con la creazione di uno stato indipendente e democratico.
Fin da subito, i rapporti con la Russia sono tesi. Questioni militari, geografiche ed energetiche divengono centrali, al pari di alcune aperture dell’Ucraina nei riguardi della N.A.T.O., creando così un iniziale sensazione russa di un assedio occidentale che spaventa e allarma Mosca. A partire dal 2001, una crescente instabilità politica porta alla destituzione del presidente Juscenko. Nel novembre dell’anno successivo viene eletto Viktor Janukovic, ma il dibattito si infiamma anche per le accuse di brogli elettorali e il paese si divide in due fazioni opposte: i sostenitori filorussi di Janukovic da un lato e quelli filooccidentali di Juscenko dall’altro, fino a quando le elezioni del dicembre 2004 riportano Juscenko al potere. Ciò non stabilizza il paese, anche perché il governo, guidato da Julija Tymoscenko guarda sempre più verso l’Unione Europea, alimentando così ulteriori tensioni con Mosca. Quest’ultima, come riposta politica, rivendica piena autonomia per i territori ucraini a maggioranza russofona e invoca la riannessione della Crimea. Con la consultazione elettorale del 2010 il filorusso Janukovic viene rieletto, per poi essere costretto a fuggire, nel 2014, sotto la crescente pressione della protesta popolare, fino a quando nel giugno di quell’anno viene eletto alla presidenza dell’Ucraina Petro Porosenko, che firma l’Accordo di associazione con l’Unione Europea, prima tassello per una futura adesione all’Unione Europea. Nel frattempo i russi occupano militarmente la Crimea, vantandone uno storico possesso e annettendola poi, sulla base di un dubbio referendum di adesione, giudicato non valido dall’O.N.U.
Negli anni seguenti, la crisi con la Russia cresce di intensità pari allo sviluppo di un nuovo imperialismo russo e ai sospetti di Mosca circa una possibile adesione dell’Ucraina alla NATO. Proprio questo dubbio, unito alla necessità di offrire una immagine internazionale vincente della leadership di Putin quale risposta al declino dei decenni precedenti, spinge il presidente russo a muovere un conflitto, che Mosca denomina “Operazione Speciale” e che scoppia il 24 febbraio 2022. Ma Mosca ha fatto male i conti e Kiev non capitola in pochi giorni, ma resiste, anche grazie al forte supporto occidentale, anche nonostante l’avvenuto cambio alla guida degli USA, che ora sembrano più alleati di Mosca che non di Kiev e dell’Europa. Tutto il resto non è più storia, ma attualità.