Franz Kafka (1883-1924) fu uno scrittore boemo di lingua tedesca, noto per le sue opere che esplorano temi di alienazione, ansia, burocrazia oppressiva e situazioni assurde. Le sue storie più celebri, come La metamorfosi, Il processo e Il castello, sono caratterizzate da atmosfere cupe e surreali, in cui i protagonisti affrontano poteri incomprensibili e inaccessibili. Nonostante in vita fosse poco conosciuto, Kafka divenne una delle figure letterarie più influenti del XX secolo. Il termine “kafkiano” è oggi usato per descrivere situazioni angoscianti e paradossali, simili a quelle presenti nei suoi scritti. Ebbene, una di queste situazioni, ce l’abbiamo in casa.
“Il processo” è uno dei migliori romanzi di Franz Kafka. Si narra del signor K., arrestato e perseguitato dalle autorità, senza mai poter conoscere la natura del crimine ascrittogli. Conosco bene l’autore, che è di Praga come me.
Se l’attualità è purtroppo piena di figure come il signor K. – e basti pensare all’incredibile arresto del sindaco di Istanbul – talvolta il destino si diverte a invertire la storia.
È il caso di un signor K. Locale. Uno che ha subito tre condanne consecutive per l’ingiusto licenziamento di un suo collaboratore; uno che si è vantato pubblicamente di poter pagare qualunque prezzo, per aver trascinato, in base a ragioni personali, le Istituzioni nelle aule dei tribunali; uno che, adesso, sembra attento a ogni possibile scappatoia per evitare di dover pagare il conto delle proprie scelte. In questa versione alla rovescia del romanzo, il signor K. non sconta nulla. Anzi, scarica i costi del suo ostinato agire sui bilanci pubblici e quindi, in definitiva, sulle tasche dei cittadini. Nel silenzio indifferente di quella politica che sta, distratta, alla finestra.
La morale è la seguente: se sei il signor K. di Praga subisci l’ingiustizia, se sei il signor K. di Trento, l’ingiustizia sei tu.