Una pietra d’inciampo (Stolperstein) per gli ebrei di Trento (1475). È quanto ha collocato l’amministrazione comunale di Trento con la collaborazione scientifica del prof. Diego Quaglioni, già professore ordinario di storia del diritto medievale e moderno (Sassari, Roma, Napoli), preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, direttore del Dipartimento di scienze giuridiche a Trento. Per gentile concessione rendiamo disponibile on line il suo intervento in piazza Duomo a Trento, lunedì 27 gennaio 2025, nel corso della cerimonia per lo scoprimento della “pietra d’inciampo”. Sulla quale, l’indomani, una mano anonima ha posato un mazzo di tulipani.
di Diego Quaglioni
“Nella giornata in cui ricordiamo la liberazione di Auschwitz, la posa di questa
lapide è un atto di inestimabile valore morale e civile: essa è uno di “quei simboliche nelle città difendono la Storia”, come si legge oggi sulla prima pagina de «La Stampa»; è la nostra pietra d’inciampo, il nostro Stolperstein, in ricordo degli ebrei di Trento, uomini, donne e bambini, che 550 anni fa, per un infamante pregiudizio furono accusati di un delitto mai commesso, cioè della morte del piccolo Simone, il Simonino, che il fanatismo popolare e il principe-vescovo di Trento (Johannes Hinderbach) vollero santo e martire, contro le stesse norme della Chiesa di Roma. Gettati in carcere, privati di ogni difesa legale, sottoposti a crudeli torture, privati di ogni possibilità di ritrattare, gli uomini furono infine messi a morte sul rogo e le donne avviate alla conversione forzata, sotto minaccia del rogo.
L’iniziativa odierna, che nasce da una richiesta della società civile e del mondo degli studi accolta e fatta propria dal sindaco e dal consiglio comunale cittadino, è un atto di ulteriore riparazione dopo quello che nel 1992 portò alla posa della lapide in vicolo dell’Adige. Non si dica che 550 anni sono un passato troppo lontano perché la memoria storica parli ancora alle nostre coscienze. Johan Huizinga, il grande storico olandese morto in un campo d’internamento nazista il 1° febbraio del 1945, poco prima della fine della guerra, amava dire: “lo credo che il vissuto di mille anni fa non sia molto più lontano da noi del vissuto di quest’oggi, perfino del vissuto di un’ora fa, quando siamo venuti in questo luogo”.
Dalla documentazione superstite risalgono fino a noi le voci delle vittime (le loro parole strappate a forza), riemergono le voci degli inquisitori e dei falsi testimoni, perfino quelle degli aguzzini. Il custode delle carceri era un Michael barberius o barbitonsor, chiamato anche custos carcerum o capitaneus carcerum: carceriere e barbiere, era anche cerusico; era lui che riduceva le articolazioni slogate dei prigionieri sottoposti ai tormenti della corda. Era il barbiere del principe-vescovo,
il suo uomo di assoluta fiducia, il solo che potesse mettergli senza timore il rasolo alla gola. Era insomma l’omologo trentino del famigerato Olivier le Mauvais, Oiviero “il Diavolo”, che pressappoco negli stessi anni era a capo delle terribili carceri di Luigi XI di Francia ed era il suo barbiere personale. Ma dalle carte conservate negli archivi, a Trento, a Roma, a Vienna, riemergono anche le voci di coloro che si opposero all’ingiustizia, come quella del messo del papa Sisto V, il vescovo domenicano Battista dei Giudici, che invano difese gli innocenti a Trento e a Roma, vittima a sua volta di chi lo calunniava come assoldato dagli ebrei.
In questi luoghi, in questo che fu l’antico palazzo di giustizia; in questa torre che fu l’antico carcere; e in questa piazza, che nel 1475 la roggia, ora coperta, divideva in due: da una parte il sagrato. dall’altra la platea communis; in questi luoghi che da allora ben poco sono cambiati, si consumò una vicenda tragica, la cui memoria sopravvive come un monito delle incalcolabili conseguenze del pregiudizio religioso e sociale, quando esso si trasformi in odio religioso e sociale.
Il pregiudizio è come quei veleni che, una volta sparsi su un terreno, vi penetrano rimanendovi per generazioni e secoli. Il pregiudizio che nei secoli ha generato l’antigiudaismo è lo stesso che ha generato nel secolo scorso l’antisemitismo come componente strutturale del totalitarismo. Rivivere nella memoria e nel presente la verità dei fatti e l’origine dell’odio serve a nutrire la speranza di far breccia nel pregiudizio odioso e nel fanatismo. In tal senso è importante ricordare oggi il contributo degli studi alla ricostruzione della verità storica.
All’inizio del secolo scorso, nel 1903, in anni di contrapposizione tra Chiesa e
Stato, quando la “Civiltà Cattolica” poteva ancora alimentare la propaganda
antiebraica usando come un tragico emblema il caso trentino, l’avvocato Giuseppe Menestrina pubblicò nella rivista “Tridentum” un ampio saggio nel quale, leggendo la documentazione processuale a quel tempo disponibile, concludeva per l’assoluta infondatezza dell’accusa mossa agli ebrei, presto seguito da un saggio di Ernesta Bittanti Battisti su “Vita Trentina” di quello stesso anno.
Nel secondo dopoguerra, dopo gli orrori dell’Olocausto, e dopo l’apertura del Concilio, fu Gemma Volli a chiedere sul “Ponte” di Calamandrei che la Chiesa rivedesse il giudizio sulla vicenda trentina. Della revisione storica di quegli anni fu protagonista monsignor Iginio Rogger, che insieme al Padre domenicano Willehad Paul Eckert, negli “Studi Trentini” del 1965 fece ulteriore luce sull’ingiustizia commessa contro gli ebrei.
Quegli studi apparvero contemporaneamente alla dichiarazione conciliare “Nostra aetate” del 28 ottobre 1965, senza troppo allontanarsi dall’originario “Decretum de Judaeis” voluto nel 1961 da Giovanni XXIII, rappresentò uno storico cambiamento nell’atteggiamento della Chiesa verso l’ebraismo. Nella stessa data l’arcivescovo di Trento Alessandro Maria Gottardi dispose la rimozione delle reliquie del Simonino dalla chiesa di S. Pietro, abrogandone in tal modo il culto.
Da allora la ricerca storica ha fatto molti passi in avanti con la pubblicazione,
nel 1987, degli scritti del commissario del papa Sisto IV; con gli scritti di monsignor Rogger, organizzatore nel 1989 di un importante convegno internazionale al quale intervenne lo stesso Padre Eckert; con l’edizione critica dei verbali dei processi, apparsa tra il 1990 e il 2008 nelle pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento [a cura del prof. Diego Quaglioni e di Anna Esposito]; con la mostra di grande risonanza internazionale “L’invenzione del colpevole”, tenutasi presso il Museo Diocesano nel 2019, con ulteriori e importanti scritti di studiosi di ogni paese e con ricerche recentissime, l’ultima delle quali, apparsa nella collana degli “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sarà presentata dal suo direttore, il collega Emanuele Curzel, e da chi vi parla, proprio questa sera, nella sede della SOSAT.
Può darsi che la forza della verità storica sia debole davanti all’immane
resistenza del pregiudizio e della sua continua rinascita in forme nuove. Ma per quanto debole essa sia, è la sola barriera di cui disponiamo contro il pregiudizio e la sua degenerazione nel fanatismo antisemita. Occorre solo sperare che la cattiva coscienza di cui l’Occidente ha dato troppe volte prova non sopprima, com’è già avvenuto, la forza morale necessaria a sostenerla: perché la memoria di questa giornata non diventi, com’è stato detto, solo una frase nei libri di storia.”
Diego Quaglioni