Il 27 gennaio cade l’anniversario della “liberazione”, da parte degli avamposti dell’armata Rossa, degli “scarti umani” che si aggiravano inebetiti nel lager di Auschwitz-Birkenau, 70 chilometri da Cracovia, in Polonia. Se ne è appena andato, a 94 anni, Furio Colombo, colui che, da parlamentare, aveva sollecitato e portato a compimento la legge che, dopo la risoluzione dell’ONU del 2005, portò il Parlamento a istituire, anche in Italia, la “giornata della memoria”. La memoria della Shoah, dello sterminio di un popolo, non ha raggiunto lo scopo per cui si è fissata una data. Perché l’orrore è continuato: nelle guerre e nelle rappresaglie, nel massacro di innocenti e nel tentativo di cancellare la storia. Ovvero, la memoria di ciò che non avrebbe più dovuto replicarsi.
17 gennaio 1945. Ottant’anni fa.
Ad Auschwitz si tiene l’ultimo appello generale: 62.012 prigionieri, dei quali 31.894 ad Auschwitz I e Birkenau e 35.118 a Monowitz-Buna e in altri Sottocampi. Il giorno seguente iniziano le “Todesmarsch” verso altri Campi, più interni al Reich. Fra il 20 ed il 26 gennaio, le SS distruggono i tre Krematorium ancora in funzione e il “Kanada”, cioè l’enorme deposito dei beni sequestrati ai deportati al loro arrivo nel Lager. L’ordine è quello di non lasciare tracce e fuggire, mentre l’Armata Rossa si avvicina ad Oswiecim.
Salvarsi è più importante dell’esecuzione degli ordini e così, in poche ore, ad Auschwitz rimangono solo 8.000 “avanzi umani”. Sono per lo più ammalati, che si aggirano increduli e smarriti nel freddo grigiore del pomeriggio del 27 gennaio, quando i berretti di pelo con la falce e martello di latta al centro fanno la loro comparsa all’orizzonte del più grande mattatoio d’Europa. Si tratta delle truppe della 332.ma divisione di fanteria del I° Fronte ucraino, agli ordini del maresciallo dell’URSS Ivan Konev.
Il tenente Ivan Martynushkin ricorda: “Avevo la sensazione di aver compiuto il mio dovere di essere umano”. Quel pomeriggio invernale chiude finalmente un incubo iniziato ancora nel 1940. Il 27 aprile di quell’anno infatti, Himmler decide l’istituzione di un Campo, al fine di sgravare il sistema carcerario della regione dell’alta Slesia ormai al limite del collasso. Nei mesi precedenti, le SS hanno individuato una zona nei pressi della cittadina di Oswiecim nel distretto di Katowice, annesso al Reich dopo lo smembramento della Polonia. Da quel momento in poi Oswiecim si chiama Auschwitz.
Il 4 maggio 1940 Rudof Höss diventa il comandante di questo nuovo Campo e, in breve, anche uno degli artefici della “Soluzione finale”, mentre giungono dal Lager di Sachsenhausen 30 criminali comuni tedeschi, destinati a funzioni ausiliarie. Sono i futuri “Kapò”, ovvero i peggiori aguzzini dei deportati. Alla fine del primo anno i prigionieri sono già 7.879, quasi tutti polacchi, detenuti per cause politiche.
L’anno seguente la “I.G. Farben”, un colosso industriale della chimica, è alla ricerca di un sito idoneo alla produzione della gomma sintetica. Nelle prossimità di Auschwitz sono disponibili le materie prime necessarie, ma anche le infrastrutture per lo stoccaggio e per il trasporto merci. Ma soprattutto c’è una grandiosa riserva di manodopera a bassissimo costo. Il rapporto con il Campo di concentramento si fa subito stretto e ogni richiesta dell’azienda ha priorità assoluta, diventando così la prima impresa privata che utilizza lavoratori-schiavi: dai 1.000 del 1941 agli oltre 11.000 del 1944.
Il Campo va quindi allargato. Il villaggio di Monowitz viene inglobato nella struttura concentrazionaria e diventa noto come “Lager Buna”, mentre altre imprese si insediano in zona. In totale, oltre all’iniziale struttura di Auschwitz I, costituita da ex caserme polacche, sorgono rapidamente le baracche di Birkenau (Auschwitz II) e appunto quelle di Buna-Monowitz (Auschwitz III) e una rete di oltre 30 Campi esterni e satelliti, dove nel 1944 lavorano oltre 42.000 “Häftlinge”. Nel marzo del ‘42 a Birkenau inizia lo sterminio sistematico degli ebrei con il gas e nel luglio seguente Himmler, in visita, ordina di incrementare il ritmo delle uccisioni. Così, nel marzo del ‘43, entrano in funzione i grandi impianti per lo sterminio di massa che uccidono mediamente circa 1.000/1.200 persone al giorno. Il culmine poi viene raggiunto nell’estate del ‘44 con l’arrivo degli ebrei ungheresi: in sei settimane Auschwitz ne elimina 400.000. Una efficienza della morte che non trova paragoni. A fine luglio di quell’anno la Sezione politica del Campo inizia la distruzione della documentazione compromettente, mentre prende avvio anche il trasferimento dei prigionieri. Le strutture vengono demolite rapidamente; le fosse svuotate e i corpi bruciati. Tutto precipita e il 27 gennaio l’inferno smette di essere tale, dopo aver divorato oltre 1.300.000 vittime innocenti. C’è ancora chi nega, ma certe verità, scritte nella carne, non si cancellano mai.
©iltrentinonuovo.it