Scrivere di terrorismo e della sua storia significa parlare della Russia. “Oggi, 1° marzo 1881, Sua Maestà l’Imperatore, mentre ritornava da una parata della Guardia, è stato pericolosamente ferito sulla banchina del canale Caterina da bombe esplosive gettate sotto la carrozza, che hanno sfracellato le gambe al di sotto delle ginocchia. (….) A causa della perdita di sangue, le condizioni di Sua Maestà sono disperate.” Così la cronaca dell’attentato, ad opera del populista Grinevetskij, che uccide lo czar Alessandro II, dopo una breve agonia.
Quest’atto del più classico terrorismo che stronca la vita di un monarca autocratico, il quale pur ha tentato qualche timida apertura alle riforme del suo regno, ha radici profonde. I moti europei del 1848 hanno lasciato il segno all’interno dei circoli più avanzati dell’“intellighentcija” russa, anche grazie alla pubblicazione, su periodico “Kolòkol” letto dalle classi dominanti, del pensiero e delle teorie politiche del socialista rivoluzionario Aleksandr Ivanovic Harzen. È in questo clima che prende forma il dissenso verso l’autocrazia e lo stato di semifeudalità nel quale ancora vive l’immenso impero dei Romanov. Si tratta di una critica sociale e culturale che si ispira ai fermenti democratici e riformisti che soffiano da tempo nel vecchio continente e che si raccoglie attorno a riviste ed associazioni di stampo radicale e nihilista di chiara matrice studentesca. Negli atenei russi si respira idee nuove; ci sono dibattiti, confronti e spinte all’innovazione ed alle riforme che ormai urgono alle porte della storia del grande paese.
La situazione interna del regno è oltremodo difficile. I contadini, che sono la massa vera e profonda del popolo russo, sono delusi dalla limitatezza delle pallide riforme abbozzate dallo czar. Al contempo l’aristocrazia avverte la progressiva perdita di antichi privilegi patriarcali e la contrazione dei possedimenti fondiari, mentre la chiesa ortodossa è posta in una situazione di precario equilibrio fra le istanze della popolazione rurale e la conservazione più rigida dello “status quo”. Su questo scenario precario e complesso, si innesta una grave crisi del mercato cerealicolo internazionale che determina un crescente disagio sociale ed una povertà sempre più diffusa.
E’ questo l’humus che favorisce la nascita di movimenti politici, animati da studenti universitari e da giovani ufficiali progressisti, come “Zemlja i volja” (Terra e libertà) che propugna riforme radicali del sistema economico e sociale e che diffonde le proprie teorie attraverso una propaganda clandestina ed un gran numero di riunioni segrete dove si progettano attentati ed atti dimostrativi volti a finanziare il movimento, ma anche ad ottenere la libertà dei compagni arrestati e soprattutto a minare il potere autocratico zarista., ritenuto, non senza ragioni, il vero freno allo sviluppo moderno del paese. Ciò che manca però a questi fenomeni di terrorismo ed ai complotti orditi dagli stessi è un aggancio reale e saldo con il popolo. La gente minuta è distante dalle spinte rivoluzionarie e le guarda con preoccupazione, proprio perché rischiano di sovvertire un ordine sociale e religioso eterno, creando così spaesamento e paure nuove.
Il 4 dicembre 1866 il giovane studente Karakovoz, nel Giardino d’Estate a San Pietroburgo, spara allo czar. Lo manca clamorosamente e la folla presente si scatena in un linciaggio dell’attentatore, a dimostrazione della siderale distanza che separa i terroristi rivoluzionari dal popolo, anche se ciò non frena affatto il ribollire della lotta. La repressione, com’è ovvio, è feroce e le carceri, in breve, si riempiono di terroristi o di supposti tali, mentre i movimenti rivoluzionari crescono e si moltiplicano, come quello dei “narodniki”. Duemila arresti nel 1874 non bloccano nulla ed anzi stimolano ulteriori scioperi operai che vengono soffocati, in un clima di spaventosa violenza, dove il fanatismo si alimenta di vendette reciproche.
Nascono nuovi partiti politici e soprattutto nuove sette segrete: dagli anarchici di Bakunin ai marxisti di Plechanov, tutti concorrono e contribuiscono a mettere sotto pressione il dibattito sociale e ad acuire le tensioni.
Gli effetti di questa situazione non tardano a farsi sentire. Il 24 gennaio 1878, la sedicenne Vera Zasulic uccide il generale Trepov. A fine febbraio dello stesso anno Valerian Osinski spara all’avvocato fiscale dello Stato Kotljarevskij; il 16 agosto successivo il terrorista Kravcinskij pugnala il Capo della Polizia zarista Mezentsev; poche settimane dopo cade il governatore di Charcov e dil 16 aprile 1879 il principe Kropotnik fallisce un attentato contro lo czar. L’elenco del terrore è però ancora lungo.
Lentamente – anche sulla scorta della ferocia repressiva – ci si rende conto che le bombe e gli attentati possono colpire ed uccidere singoli individui; possono creare ansie e terrore, ma non riescono a sopprimere il tanto odiato sistema politico: E’ la presa d’atto del fallimento della strategia terroristica dal vago sapore romantico e che mira ad eliminare lo zarismo per costruire un nuovo Stato russo. Con questa consapevolezza e con la percezione dei limiti fin qui raggiunti, il movimentismo riformista e democratico piega la sua rotta verso le dottrine del marxismo rivoluzionario che esplode in tuttala sua virulenza nell’ottobre del 1917.
Il vecchio mondo feudale zarista cede all’improvviso sotto i colpi delle masse operaie prima e contadine poi. È la prova che la rivoluzione ha un senso ed una possibilità solo nel saldarsi delle istanze terroristiche con il movimento del popolo e la sua ribellione.
Ma la “rivoluzione d’ottobre” scatena però un’altra forma di terrore, quello “bianco”. La controrivoluzione e le spinte restauratrici e conservatrici del vecchio e sconfitto potere, precipitano la Russia dei Soviet in un disastro che culmina nei giorni oscuri del 1918/1919. Ex funzionari di Stato, nobili, ufficiali e ricchi borghesi si pongono a capo di forze militari e paramilitari unite solo dal collante antibolscevico e finanziate dall’occidente, spaventato dalla piega che la rivoluzione potrebbe assumere anche in altri paesi, come la Germania post-guglielmina. Esplode una guerra civile ed un terrorismo da entrambe le parti che generano infiniti lutti e uno squilibrio politico e sociale che rischia fortemente di compromettere la rivoluzione stessa. Ovunque paura, morte mettono a ferro e fuoco città e villaggi, massacrando decine di migliaia di innocenti e se i “bianchi” sono un incubo che potrebbe tornare, i “rossi” si propongono abilmente come i liberatori dal giogo dell’oppressione e la vittoria finale del bolscevismo, ottenuta anche a prezzo di enormi sacrifici, porta alla nascita del nuovo Stato sovietico, figlio quindi di un terrorismo antico e padre di un terrorismo dittatoriale che si presenta con il regime orribile di Stalin. Dal terrore al terrore viaggia la nuova Russia, che non dimentica la potenza della paura nell’arte del governare i popoli.
(5. – Continua; le precedenti puntate sono state immesse in rete il 18 ottobre, 3 novembre, 16 novembre, 25 novembre 2024)