C’era una volta l’ASAR, poi PPTT, poi PPTTue, poi PATT, poi… chissà. In nome e per conto della “governabilità” (più prosaicamente: “de la caréga”) alle ultime elezioni regionali il fu glorioso partito autonomista si gettò in braccio al centro-destra che dell’autonomia si fa un baffo. E da quando ha vinto le elezioni si vede ogni giorno che Dio manda agli umani. Adesso che sarebbe tempo e luogo di fare la conta dentro le anime (?) autonomiste, da chiamare a congresso per tracciare la linea “rossa” (?) del futuro (affatto roseo), volano gli stracci. E i titolari (pro tempore) delle “stelle alpine” scappano con il pallone per non consentire a chi vorrebbe giocare di toccare palla. Grande prova di coraggio, splendido esempio di democrazia. Ah, già: autonomisti fino in fondo. Fino a toccare il fondo, volevamo dire.
Le vecchie fratture si rompono sempre nello stesso punto. Anche quelle degli autonomisti. In nome dell’unità, ognuno per conto suo. Sembra quasi il PD, dove ognuno fa partito a sè. Marchiori, che in realtà è il restauro di Panizza, non molla e allora cede la tempra del soldato K., la felpata democristianità e la simpatia di amministratrici ruspanti Addio.
Panizza, ormai immobile dentro un quadro del MART, attende paziente che lo richiamino, consapevole che “après moi, le déluge” (dopo di me il diluvio).
Nessuna marcia indietro del segretario/assessore e del suo mentore geografo/segretario. Nessun passo avanti verso l’unità ritrovata, ma molti in direzione della divisione certificata, mentre il crepuscolo cala sugli autonomisti, autonomi ormai anche dalla loro storia
Più che la caduta degli dei, sembra l’inciampo nel pollaio. L’esito è però identico: ideali spappolati, tradizioni calpestate e voti in libera uscita. E così, mentre l’autonomia differenziata si avvia a essere gettata nella “differenziata”, l’autonomismo anticipatore è già nei pressi della discarica. Una misera fine per una gloriosa storia. Non fiori ma opere di bene.