Il primo caso che incontriamo in questo viaggio dentro il terrorismo e la sua storia è collocato nell’antichità romana e rappresenta un palese esempio di terrorismo interno allo Stato. Sconfitta Cartagine, vinta la guerra siriaca e assoggettata la penisola iberica, Roma dilata il suo dominio, segnando l’apice della fase repubblicana e “virtuosa” dell’impero che va componendosi. Guerre e vittorie creano potenza, ma producono anche enormi masse di prigionieri che, dopo aver sfilato nel trionfo delle legioni, sono ridotti in schiavitù.
Lo schiavo è un elemento importante dell’economia romana e generalmente costituisce la forza-lavoro per le mansioni più pesanti, come quelle estrattive o quelle agricole, nel meridione peninsulare dove le condizioni climatiche rendono infernale il lavoro stesso. Gli schiavi che provengono dalla Grecia e dalle colonie ioniche ed hanno un elevato grado di cultura, ottengono condizioni di vita qualitativamente decenti se non buone, mentre chi proviene dall’oriente asiatico o dal settentrione europeo, come i celti o i galli, è destinato a questi lavori massacranti ed ha una prospettiva di vita assai breve.
Gli schiavi sono proprietà privata dei loro padroni e perdono qualsiasi “status” di persona. Diventano “oggetti animati” e la loro esistenza non vale nulla. Dapprima il loro numero è limitato, ma poi con le crescenti conquiste
essi costituiscono una straordinaria concentrazione di individui che necessitano anzitutto di una sistemazione vigilata. Nascono così le cosiddette “ergastula”, ovvero “case da lavoro” sorvegliate, dove si formano gli operai o dove si preparano i gladiatori per i giochi circensi, vera passione del mondo romano. Spazi ridotti ed insalubri; condizioni di vita precarie ed impossibilità di cambiare il corso del proprio destino, uniti ad una capacità reale di manovrare le armi, rappresentano una miscela esplosiva ed un incubatoio di violenze e di rivolte. Quest’ultime scoppiano puntuali in Sicilia nel 135 a.C. e nel 104 a.C. e, seppur passano alla storia come “guerre servili”, in realtà si tratta di sommosse locali che Roma soffoca nel sangue. Ma il terrore sta per impossessarsi della repubblica.
A Capua c’è un “ludus”, una scuola per gladiatori di proprietà di Gneo Cornelio Lentulo Batiato. I gladiatori ricevono qui l’addestramento migliore e tale da garantire sempre lo spettacolo che anima i “giochi gladiatori”. Nell’anno 73 a.C. la tensione sale improvvisamente in quella scuola: le condizioni di vita sono precarie, la violenza esaspera e la rivolta fende l’aria. Duecento gladiatori decidono di fuggire, ma il piano viene scoperto e, prima che si inneschi la punizione, la rivolta giunge al punto di esplosione. Gli schiavi si appropriano di armi ed armature e provocano un bagno di sangue, per poi darsi alla macchia. Eleggono i loro capi, fra i quali spiccano due galli, Crixus ed Enomao e il trace Spartaco. Sconfiggono ben presto un contingente di truppe e si impadroniscono dell’equipaggiamento militare. Saccheggiano le residenze attorno a Capua, uccidono, violentano e seminano il panico, per poi asserragliarsi sulle pendici del Vesuvio.
La rivolta va soffocata subito. Roma invia il console Gaio Claudio Glabro con tremila uomini che cinge d’assedio le posizioni dei ribelli, confidando di prenderli per fame. Ma Spartaco dimostra subito la sua intelligenza tattica. Riesce infatti ad aggirare dalla parte opposta della montagna i romani, prendendo di spalle e trucidandoli tutti. Un affronto intollerabile e reso ancor più tale dal terrore che i gladiatori scatenano in Campania, colpendo ovunque possibile. Adesso non è più una rivolta di schiavi. Adesso è la guerra.
Un nuovo contingente militare, guidato dal pretore Publio Varinio, viene inviato contro Spartaco ed i suoi uomini, nel frattempo cresciuti molto di numero con l’arrivo di altri schiavi ed anche di molti pastori della regione. I ribelli schierano oltre 70.000 uomini e saccheggiano le città di Nola, Thuri e Metapontum.
Una grande forza militare insomma regge il confronto con le legioni più agguerrite e sparge il terrore nella popolazione, ricordando le scorrerie di Annibale. Ovunque la paura regna e crea caos. E’ il terrorismo di massa che si diffonde e mina le basi stesse della repubblica. Plutarco racconta del desiderio di Spartaco di andare verso la Gallia cisalpina e lì di sciogliere le sue forze rendendo a tutti la libertà. Ma è un progetto che Crixus non condivide e così le forze degli schiavi si dividono in due gruppi. E’ la primavera del 72 a.C. e gli accampamenti invernali vengono abbandonati.
Due eserciti consolari, agli ordini di Lucio Gellio Pubblicola e di Gneo Cornelio Lentulo Clodiano, vengono inviati dal Senato romano. Le forze ribelli divise sono più deboli e così Crixus e 30.000 uomini al suo comando sono sconfitti nei pressi del Gargano. Dopo la resa, pochissimi rimangono in vita. È la dura “lex” romana che risponde al terrorismo sparso dalla rivolta.
Nel frattempo, sempre stando al racconto di Plutarco, Spartaco sconfigge la legione di Lentulo, dirigendosi poi verso l’Italia settentrionale. Nei pressi di Mutina (Modena), 10.000 legionari agli ordini del governatore della Gallia cisalpina, Gaio Cassio Longino, sbarrano la strada del nord. Spartaco li travolge, decidendo, inspiegabilmente, di ripiegare poi verso il Picenum (Marche) per trascorrere lì l’inverno fra il 72 e il 71 a. C. Il passaggio delle truppe degli schiavi è segnato dal terrore che si impossessa delle città e dei villaggi. I “cives” romani chiedono al Senato reazioni sempre più dure ed autoritarie, dimostrando in tal modo l’effetto che il terrorismo interno può esercitare sullo Stato. In preda alla paura, il Senato consegna quindi l’”imperium” – ovvero il comando ed i pieni poteri – a Marco Licinio Crasso, che già ha dato prova delle sue doti militari con Silla, servendo sotto la dittatura di quest’ultimo. Crasso impone una brutale disciplina alle sue truppe ed alle popolazioni che ne subiscono il passaggio, dimostrando che Roma “è molto più pericolosa dei suoi nemici”. Sono i segnali di un potere autoritario ed assoluto, che nasce come reazione alla spinta terroristica.
Lo scontro è inevitabile. Spartaco riesce a sconfiggere due legioni comandate dal legato Mummio, ma sono poi i soldati di Crasso che finalmente sconfiggono gli schiavi e li mettono in fuga. I ribelli scendono nella Lucania e vanno verso lo stretto di Messina. Forse l’idea è quella di passare in Sicilia e di sollevare lì altri schiavi, ma il tentativo fallisce e Spartaco si trova assediato nella parte meridionale dell’odierna Calabria.
Nel frattempo, alle legioni guidate da Gneo Pompeo Magno, di ritorno dalla Spagna dove hanno sedato la ribellione di Quinto Sertorio, viene ordinato di raggiungere le truppe di Crasso, al pari di altre legioni che sbarcano a Brindisium sotto il comando del proconsole Marco Terenzio Varrone Lucullo. Crasso comprende che se non riesce a stroncare subito Spartaco, il merito di una eventuale sconfitta degli schiavi sarà tutto di Pompeo.
Nonostante un tentativo, fallito, di negoziare con Crasso e di fronte a non poche defezioni nelle file dei ribelli, Spartaco decide di ingaggiare battaglia. Con forze indebolite ed ormai accerchiato ovunque dai romani, l’esercito degli schiavi viene definitivamente sconfitto, ponendo fine ad una lunga stagione di terrore e di violenza. Il corpo di Spartaco non viene ritrovato. Forse è stato occultato per non alimentare il mito di colui che si è opposto, con il terrore, al regime e lo ha sconfitto più volte.
Finisce così un’esperienza di terrorismo interno allo Stato, che non mira a scardinarlo, ma a cambiarne, non riuscendovi, la cultura e gli assetti del potere.