Ci sono guerre dimenticate, popolazioni devastate dalla fame e dalle malattie. E ci sono volontari, spesso sconosciuti, che dedicano tempo e amore anche a rischio della propria incolumità personale. I medici del Cuamm di Padova (Collegio Universitario aspiranti medici missionari), ma tra di loro ci sono anche volontari trentini, da settant’anni operano in alcuni nazioni, le più povere, dell’Africa. Medici “con” l’Africa è il loro motto. Affiancano colleghi in ospedali periferici, in strutture fatiscenti, in luoghi dove il disagio e il pericolo è pane quotidiano. Dante Carraro, prete e medico cardiologo, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, è rientrato dal Tigray, una regione dell’Etiopia dove due anni (2020-2022) di guerra civile, tra il Fronte popolare di Liberazione del Tigré e il Governo Federale Etiope, hanno lasciato devastazione e instabilità. Questa la sua testimonianza, in una lettera, agli amici del Cuamm:
Ci sono incontri che restano incollati addosso. Lo è stato per me, qualche giorno fa quello a Shire con il dott. Amanuel responsabile sanitario della salute del Tigray. Le sue parole mi hanno regalato un’emozione così profonda e potente che mi permetto di condividere con voi: «Don Dante, durante la guerra, ogni mattina, ho continuato ad andare nel mio ufficio, a sedermi alla mia scrivania, ad accendere il computer. E dentro di me sentivo tutta la fatica di continuare a credere a quello che stavo facendo, perché era come un macigno che pesava sulla mia motivazione più profonda. Oggi vedo e capisco che ne è valsa la pena, perché siamo qui, insieme, per ricostruire». Un grande segnale di fiducia e speranza.
Siamo a Shire nel nord-ovest del Tigray, la regione più a nord dell’Etiopia. È in queste parole che trovo il senso profondo del nostro impegno, come Cuamm. Il senso di essere vicini alle tante ferite della storia e di diventare unguento per lenire e ricucire le lacerazioni, in una regione distrutta e martoriata dalle atrocità di una guerra civile che ha seminato violenza, macerie e miseria. Si calcolano 500mila vittime e 1 milione di sfollati.
Di questi, ben 500mila sono a Shire, all’80% ospitati dalle famiglie che hanno saputo accogliere chi scappava. Una solidarietà concreta, come quella di questo nuovo intervento del Cuamm, reso possibile grazie al sostegno del Governo Italiano e realizzato grazie a tante speciali collaborazioni, per dare risposte ai bisogni della gente, per ricostruire ciò che è stato distrutto, a cominciare proprio dall’ospedale di Shire. Un intervento, questo del Cuamm, che provo a riassumere in tre parole: dove, quando e come.
Dove? Abbiamo concentrato l’intervento nell’ospedale di Shire, il più importante della città. Con 250 posti letto, è l’unica struttura in grado di dare qualche risposta, seppur precaria, alla popolazione e agli sfollati. Due anni fa l’ospedale ha fatto 4.000 parti. L’anno scorso i parti sono saliti a 5.500. Anche questo è un segno di ripresa, ma proprio per questo è indispensabile potenziare la rete periferica. Di qui l’intervento anche su un piccolo ospedale più a sud, quello di Indabaguna, a quaranta minuti di fuori strada. Una struttura che vorremmo mettere in funzione insieme ad altri quattro centri sanitari: Alaganesh, Hoomar, Five Angels e Sant’Agostin.
Quando? “Oggi e ora”, perché fortissimo è il desiderio di riscatto, di ritornare alla normalità. È quello che ho letto negli occhi dei giovani che ho incontrato. La cooperazione non è fatta solo di grandi strategie, ma di cose concrete da fare oggi, senza aspettare. Questo è l’impegno che ci siamo assunti.Come? Insieme. Quel con che ci portiamo nel nome diventa reale, a cominciare dalle autorità locali che erano presenti, dal presidente del Tigray, Getachew Reda al dott. Amanuel Haile responsabile regionale della salute; con partner e sostenitori, come il Governo italiano; con la popolazione, le realtà e le associazioni locali. Solo insieme riusciremo a ricostruire il futuro di quest’area.