C’è un povero ministro italiano, da giorni sulla graticola, che all’apice del successo e dell’ebbrezza ha avuto la bella idea di far installare sul tetto del suo ministero un alveare. Per consentire all’ape regina di pavoneggiarsi nel cielo di Roma e di ronzare sul tetto del Palazzo.
Quel ministro, a scanso di equivoci, non si chiama Sangiuliano. Che di api che gli ronzano intorno dovrebbe ormai aver fatto indigestione. Si chiama, cinematograficamente, Lollobrigida. Gli piace strafare: fermare i treni nella campagna laziale (forse per osservare il volo dei coleotteri), infilare qualche gaffe tra una campagna (elettorale) e l’altra. Ma il non più “cognato” d’Italia (è cronaca recente la separazione dalla sorella della capa del Governo) non merita la gogna cui l’ha impiccato la stampa di mezza Italia. Quella progressista, ché quella governativa era impegnata a mettere pezze e pezzuole sullo scandalo al sole di Pompei.
Si è scritto che il progetto di popolare con un alveare la terrazza della sede del Masaf (il ministro dell’Agricoltura), nel cuore di Roma, era miseramente fallito perché vespe e calabroni avevano devastato e ucciso ben cinquantamila api.
Non è colpa del ministro, che di colpe ne ha più d’una, se vespe e calabroni ronzano nel cielo dei ministeri romani. Certo, che cinquantamila api sterminate sono una notizia degna di nota.
Ve lo assicuriamo noi. Modestamente, vantiamo uno scoop che al tempo, cinquant’anni fa, arrivò persino sulla radio nazionale.
Era la primavera del 1981. Concluso uno stage nella redazione del GR2 a Roma, tornammo a Trento nella sede Rai di via Perini 141. Una mattina, nel fare il giro di cronaca (le telefonate a ospedali e forze dell’ordine) approdammo all’ospedale di Cles dove il centralinista, forse timoroso di non essere utile poiché non c’erano segnalazioni degne di nota per quanto riguardava incidenti o infortuni, raccontò che, giusto il giorno prima, nell’alta val di Non era stata segnalata una strage: di api.
Fu giocoforza verificare quella notizia “clamorosa”. E in effetti ci fu detto che la strage, causata dall’uso massiccio di anticrittogamici, aveva lasciato sul campo centomila api. Morte, stecchite.
Con quello “scoop” andammo in onda in diretta, subito dopo i titoli, nell’edizione principale del GR2, quella delle 12.30. “Strage di api a causa dei veleno in agricoltura” titolò il conduttore da Roma. E via con il collegamento. C’era la strage e c’erano le proteste dei “verdi” a insaporire il brodo della cronaca. Un minuto martellante di ronzio radiofonico attorno al volo troncato delle api anauniesi.
Il cronista prestato all’etologia non aveva ancora restituito la linea a Roma che il telefono, in redazione, cominciò a squillare. “Pronto. Sono Abramo Andreatta – tuonò dall’altro capo del filo il presidente degli apicoltori trentini – Domando scusa, ma stamattina sei ubriaco o ti ha dato di volta il cervello”? “Perché, che cosa ho detto”? domandò balbettante il cronista. “Una stupidaggine grande come un palazzo. Guarda che centomila api non sono centomila vacche. Sono appena un’arnia o poco più”.
Uno choc (anafilattico). Ecco perché il povero ministro, punto dai calabroni dell’informazione, almeno in codesta occasione sembra bisognevole di compassione. Lo rammenti, signor ministro: “Le api non sono vacche”. E si astenga dal dire: “Già, è vero, le vacche non hanno le ali”.
Ps. L’ANSA, l’agenzia italiana che rilancia le notizie ai giornali e non solo, fa sapere (11 settembre) che il ministro tiene duro: “Lollobrigida: le api tornano sul tetto del Masaf”. Tre arnie per la gioia del ministro che da oggi avrà un impegno in più: dar la caccia ai calabroni e alle vespe che rischiano di vanificare il nuovo innesto. Un contrasto senza uso dello spray: rigorosamente con metodi naturali. Paletta e secchiello.