Dramma a Brentonico: muore la mamma di 101 anni e il figlio che non aveva mai spezzato il cordone ombelicale, l’ha seguita. Tiziano Bianchi era un personaggio molto noto, soprattutto nel mondo vitivinicolo non solo regionale anche perché era l’ultimo “vietnamita” nella giungla degli idealisti. Pier Dal Rì lo ricorda con parole non scontate.
La morte di Tano Bianchi e della sua inseparabile mamma non può rimanere una semplice notizia di cronaca valligiana. Non tutti hanno conosciuto l’ultimo dei comunisti vietnamiti, un attivista che ostentava bandiere, stemmi, cappelli e spille che parlavano di una sua fede, più proclamata che vissuta. Era un rosso corposo ma delicato, come il suo preferito vino Marzemino che amava, beveva e decantava, anche quando, giovane obiettore di coscienza alla casa di riposo di Mezzocorona, si rifiutava di bere Teroldego. Tanto che impose al bar Enal di tenere sottobanco una buona scorta del suo rosso preferito, il Marzemino appunto.
Tano gestiva un blog per liberi pensatori. Ospitava volentieri chi aveva cose interessanti da proporre. “Il territorio che resiste” lo aveva chiamato, destinato a chi, come lui, amava la resistenza di tutti coloro che si ostinavano a coltivare le viti, anche resistenti, per assicurarsi un reddito sufficiente a una vita dignitosa.
Era un comunista atipico, non sopportava gli oligarchi, neppure nel mondo cooperativo; amato da tutti, anche dai semplici cooperatori di base e da tutti i sognatori di un mondo di pace e di progresso condiviso.
Era un giornalista con i fiocchi, il figlio che ogni madre vorrebbe vicino, come lui, fino alla morte, anche per poterlo irridere, criticarlo, sognandolo diverso e normale. Normale, un aggettivo che Tano non conosceva. Quando mi propose di collaborare per un libro (con Angelo Rossi) su Nereo Cavazzani, gli domandai: “Perché io”? “Mi piace come scrivi”. Un grande elogio, conoscendo le sue doti e la sua ritrosia a esercitare il giornalismo come professione.
Caro Tano, non avrei mai pensato che Lidia, tua madre, lasciandoci, ti avesse indotto a seguirla in tal modo e con simile celerità. Probabilmente pure lei non avrebbe trovato parole appropriate per dirti ciao. Ti rivediamo con il pugno chiuso, una bandiera rossa, un cappello e una barba che neppure i più fedeli seguaci di Ho Chi Minh nelle paludi vietnamite… Ciao Tano, con un groppo in gola e un bicchiere del tuo amato Marzemino in mano.