Piero Calamandrei (1889-1956). Fu il primo ufficiale italiano a entrare a Trento la mattina del 3 novembre 1918, ben prima che ai Cavalleggeri di Alessandria fosse dato l’ordine di varcare “vittoriosi” il ponte sulla Fersina. Arrivò con l’idea di portare la libertà a una terra da “redimere”. Se ne andò dall’esercito convinto, probabilmente, che il lungo periodo di occupazione militare di codesta terra “redenta” e la burocrazia italiana “importata” con l’annessione avevano nuociuto al Trentino. Un volume restituisce agli smemorati la figura di uno studioso del diritto e di non comune spessore intellettuale. La recensione di Renzo Fracalossi.
Quante volte il suo nome è riecheggiato nei nostri studi, nelle pubbliche conversazioni o nei processi di formazione democratica? Quante volte la complessità del suo pensiero giuridico, storico e politico è stata citata ed è diventata fonte di ulteriore riflessione? Eppure cosa sappiamo in realtà, soprattutto noi trentini, del suo percorso umano e intellettuale e dei suoi legami con questa terra?
In verità, forse non molto ed ecco perché l’ultima fatica di approfondimento – sfociata in un volume importante, uscito nel marzo scorso ed inserito nella Piccola Biblioteca del Pensiero Giuridico curata dal prof. Diego Quaglioni – viene a colmare un largo vuoto, attraverso le pagine di “La Guerra di Piero” (Ed. Il Formichiere, 2024) che, con acuto riferimento alla poetica di Fabrizio De André, la prof. Beatrice Primerano dell’Università di Trento ha voluto come suggello a un lungo e proficuo lavoro, appunto di ricerca e studio sulla figura e la scrittura di Piero Calamandrei.
Giurista, intellettuale, letterato e uomo politico che ha segnato ampia parte del Novecento italiano, Piero nasce a Firenze il 21 aprile 1889 dal professor Rodolfo, docente universitario di formazione mazziniana e da Laudomia Pimpinelli. Dopo gli studi classici, si iscrive a Giurisprudenza a Pisa e diventa allievo di un giurista del calibro di Carlo Lessona, laureandosi a pieni voti nel 1912. Trasferito a Roma, dove frequenta gli ambienti accademici e forensi, Calamandrei partecipa a più di un concorso per la docenza universitaria fino a quando, nel 1915, vince finalmente ed è nominato professore ordinario di procedura civile, presso l’Università di Messina. Nel frattempo però è scoppiata la guerra e Calamandrei, che è interventista nel solco del “risorgimentalismo” paterno, si arruola volontariamente, partecipando al conflitto con l’iniziale grado di sottotenente di complemento nel 218.mo reggimento di fanteria. Sottratto alle durezze del fronte, a causa di una pesante miopia, viene destinato alle retrovie e, nel dicembre del 1915, si ritrova quindi nelle prossimità “della fronte veneto–tridentina” e dell’improvvisa offensiva austroungarica, nota come “Strafexpedition” messa in atto nell’estate successiva.
A tale proposito, citando le memorie stesse di Calamandrei, scrive Beatrice Primerano: “la Strafexpedition produsse smottamenti anche interiori. La necessità di ripiegare e mettersi in salvo impose un diverso ordine a pensieri ed azioni […]. Non c’era più spazio per la mediazione intellettuale con la realtà prodotta dalla guerra.” (“La guerra di Piero”, p. 11)
Divenuto tenente nel giugno 1916, Piero Calamandrei, viene poi promosso capitano, nel novembre 1917, mentre prosegue nei suoi compiti di magistrato militare, censore e consulente legale per i Comandi militari italiani. Finalmente, nell’aprile successivo, il “nostro” entra a far parte del “Servizio P” (Servizio Propaganda), dove riesce ad offrire il meglio di sé stesso e dove trova le sue personali motivazioni intime per fare la guerra. In tale contesto, Calamandrei rivela insospettate doti di organizzatore, osservatore, cronista e creatore di nuove forme di comunicazione dentro un costante e continuo rapporto con i soldati, dai quali impara a conoscere l’Italia e l’umanità eterogenea che la popola. Si appassiona talmente tanto al suo nuovo incarico, da giungere perfino a rifiutare la promozione al grado superiore di Maggiore, pur di poter rimanere accanto a quegli uomini provati dall’orrore della trincea e poter infondere a loro coraggio, fiducia e speranza.
Il 3 novembre 1918, il capitano Piero Calamandrei è il primo ufficiale italiano che entra a Trento,basandosi su di una scelta personale e fors’anche un po’ spregiudicata, rispetto alle regole e alle gerarchie del regio Esercito. Uno “sgarbo” che non verrà mai dimenticato.
Trasferito a Bolzano, nel gennaio del ‘19, l’intellettuale si accorge ben presto di come la realtà sia lontana dalla retorica nazionalista: la popolazione è prevalentemente ostile e gli stessi soldati italiani agiscono secondo logiche più di occupazione che non di liberazione dei “fratelli” delle terre irredente. Lavora al trapasso dei poteri, ma si scontra con le lentezze e gli intralci di una rigida burocrazia e con la sorda ostilità militare che non gli perdona quel colpo di testa, vagamente garibaldino, dell’ingresso solitario a Trento. Disilluso ed amareggiato, Calamandrei si dimette da ogni incarico e si congeda dall’esercito nel dicembre del 1919, rientrando così nella vita civile.
E’ della vicenda bellica, con tutti i suoi risvolti umani ed intellettuali, che si occupa la ricerca colta ed approfondita di Beatrice Primerano; una ricerca riassunta in pagine redatte con quella partecipazione e passione, proprie del vero studioso che non esalta, ma analizza e racconta, indagando e insegnando. Emerge chiaramente così quanto i mutamenti prodotti dalla guerra abbiano inciso sull’uomo, ma anche sull’ambiente e sulla socialità, segnando anche, come evidenzia la prefazione curata dal prof. Vincenzo Calì, “la perdita di centralità del Parlamento o la negazione dell’autonomia ai Sudtirolesi”. Si tratta di una esperienza importante per la formazione di Calamandrei, perché scandisce il passaggio dall’età degli slanci a quella della maturità, priva di impalcature retoriche e fondata invece sullo studio e sulla padronanza della scienza giuridica.
Studioso, docente, organizzatore e formatore ed al contempo acuto osservatore ed anima critica, Piero Calamandrei ci viene restituito dal lavoro dell’Autrice, ponendo in risalto le molte consonanze con il “circolo battistiano” di Ernesta Bittanti, Bice Rizzi e Gaetano Salvemini, al pari del rapporto con i fratelli Rosselli e Piero Gobetti e valorizzando il dialogo con la realtà trentina. Ad essa Calamandrei si sente molto legato, al punto che la sua vedova volle donare all’allora Museo del Risorgimento le testimonianze biografiche di Calamandrei stesso, dove emergono i profili di quel legame fra questa terra alpina di eterno confine ed il grande giurista e scienziato.
Il ritratto che esce da questo volume è insomma quello di una figura viva, ricca di sfumature e di una potente carica umana, capace di porre in evidenza una dimensione diversa da quella già nota dell’intellettuale, dell’uomo politico e del “costruttore” di cultura giuridica. Non solo quindi il suo impegno nelle file di “Italia Libera” con Ernesto Rossi; non solo la sottoscrizione del “Manifesto degli intellettuali antifascisti” promosso da Benedetto Croce; non solo l’adesione a “Giustizia e Libertà” con Ferruccio Parri ed Ugo La Malfa e non solo, infine, il suo apporto non secondario ai lavori dell’Assemblea Costituente, ma anche un ritratto più intimo e personale che consente al lettore di apprezzare aspetti fino ad ora praticamente sconosciuti di quest’uomo.
Certo, qualche ambiguità del giurista, forse più che dell’individuo, matura nel periodo fascista, come dimostrano certi rapporti personali con esponenti di primo piano del regime, quali Dino Grandi e Alfredo De Marsico, ma va sottolineato come essi riconoscono anzitutto la statura intellettuale di Calamandrei ed è in questo rispetto che risiede anche l’incarico attribuito allo studioso del diritto dal Ministro di Grazia e Giustizia Grandi nel progetto di riforma dei Codici. In tale contesto, Grandi, che è una delle menti più brillanti del fascismo, individua le personalità di maggiore spicco nel panorama degli studiosi di procedura civile e cioè Enrico Redenti, Francesco Carnelutti e, appunto, Piero Calamandrei. Grandi affida proprio a loro – ed in particolare a Calamandrei – la revisione dei lavori di riforma già avviati da Leopoldo Conforti. Quel Codice, entrato in vigore nel 1942 è, almeno in parte, ancora attuale a dimostrazione della fondatezza e dell’importanza del lavoro di Calamandrei, anche al di là delle contingenze storiche.
Ma tornando alla pubblicazione in oggetto, due caratteristiche vanno messe in evidenza: da un lato una scrittura agile e di facile lettura anche per chi, come il sottoscritto, denuncia tutti i propri limiti di profano e dall’altro un prezioso corredo di scritti, lettere, poesie e documenti che ridanno vivezza alla memoria di Calamandrei e ne compongono un ritratto inedito.
La Primerano non spinge mai la sua indagine nella profondità del diritto e dell’apporto offerto allo stesso dall’opera intellettuale di Calamandrei, consapevole che tale compito non spetta forse allo storico, ma invece concentra la sua analisi principalmente sul rapporto del protagonista con la Grande Guerra e il Trentino. È in questo che risiede l’originalità di un volume che riesuma, dalla polvere delle facili dimenticanze, la conoscenza di un uomo e di un giurista che è stato capace di rendere un servizio vero alla sua terra e alla cultura tutta. La sua attualità giunge a noi intatta dalle righe di questa “Guerra di Piero” di Beatrice Primerano, alla quale va la nostra gratitudine di avidi lettori.
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