Ai tempi della scuola (elementare mica tanto visto il livello di oggi) ci insegnavano che “chiedere è lecito, rispondere è cortesia”. Oggi “chiedere” è ancora lecito (e speriamo lo sia a lungo). Quanto al “rispondere”, di frequente si risponde con sufficienza, che vuol dire poca grazia e, pertanto, scortesia. Soprattutto nel mondo della politica. Anche di quella trentina che dedica alle critiche (sempre troppo poche, sempre troppo superficiali) un’alzata di ciglia (quando va bene) e mai un sussulto di ingegno. E il Golem, che tutto vede e tutto osserva, dice la propria.
Perdonate una piccola osservazione dall’estero. Ciò che di certo non difetta all’attuale maggioranza politica italiana, a livello nazionale come locale, è l’educazione: quella istituzionale, ben s’intende.
Davanti alle critiche delle opposizioni e degli avversari, con grande eleganza, sempre più spesso rispondono: “Ce ne faremo una ragione e potremo comunque sopravvivere”, che è un bel modo per dire “me ne frego”, dimostrando quanto la forma sia sostanza.
Educazione quindi e nostalgia. Sembrano questi alcuni dei tratti essenziali di una classe politica che stenta a distinguere il dibattito nelle proprie sezioni di partito, dove molto se non tutto è concesso anche con il braccio levato, da quello pubblico nei Parlamenti, dove invece il rispetto per le opinioni altrui meriterebbe ben altre risposte.
Se poi gli Stati europei adottano il medesimo atteggiamento nei riguardi del vostro Paese – esibendo qualche altrettanto rutilante “me ne frego” – allora la premier italiana si adonta e si offende, minacciando strali e furberie d’aula. Purtroppo, davanti a tanta ira funesta, qualche partner europeo pare “farsene comunque una ragione e provare a sopravvivere”.
Si tratta di finezze che sembrano prosperare anche nella terra dell’Aquila di San Venceslao, se una Vice Presidente, Assessora/Assessore alla Cultura – oltre che a un mucchio di altre cose e quant’altro – dichiara di infischiarsene delle opinioni degli avversari. Non dichiara apertamente: “me ne frego”, ma il senso è del tutto identico.
Certo che può dirlo. Siamo in democrazia, finché questa dura a dispetto di certe nostalgie. Ma poi non ci si può lamentare se qualcuno evoca le origini di quella ruspante espressione che a ben vedere, paiono le medesime a Roma come a Trento, di certe provenienze ideologiche di alcune eleganti titolari di cariche pubbliche.