È il 30 gennaio 1933, quando Paul von Hindenburg, presidente del “Deutsches Reich” – una repubblica semipresidenziale di natura democratica emersa dalle ceneri della sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale – affida l’incarico di cancelliere e capo del governo a un uomo di quarantaquattro anni: Adolf Hitler. Alla fine dell’estate di quell’anno, egli ha ormai il pieno controllo su ciò che rimane della “repubblica di Weimar”, eccetto che per tre ostacoli.
Si tratta della radicalizzazione delle SA (Squadre d’Assalto) guidate da Ernst Röhm; del potere rimasto ancora in mano al presidente della repubblica e dell’influenza dei tradizionalisti e dei conservatori dentro le forze armate. Ma il problema più urgente per il Cancelliere è, senza dubbio, il fervore rivoluzionario e con tratti socialisteggianti che pervade le SA e che porta a individuare il nemico del nazionalsocialismo nei capitalisti della grande industria tedesca; negli junkers prussiani (latifondisti) che vagheggiano anche un ritorno alla monarchia degli Hohenzollern e nei generali e nei vertici militari del Paese.
Ernst Röhm è un soldato. Lo è stato tutta la vita e lo è per educazione, formazione ed esperienza e la sua visione del potere non è e non può quindi essere disgiunta dall’elemento militare. Il suo obiettivo – e di conseguenza quello delle SA, la milizia del partito nazionalsocialista che lo riconosce come capo indiscusso – punta a una fusione delle “camicie brune” con la Reichwehr (esercito regolare), allo scopo di creare una forza armata veramente nazionale e popolare e posta, ovviamente, sotto il suo alto comando. Si tratta di un progetto che viene osteggiato dai militari di professione e dalle élites conservatrici, perché potrebbe celare i semi di una politicizzazione pericolosa dell’esercito, sul modello di quanto già è avvenuto in Russia con l’”Armata rossa”.
La retorica bellicista di Röhm e delle sue “camicie brune”, rischia inoltre di spaccare il partito nazista minando così la possibilità di instaurare il potere assoluto. Il disegno “rivoluzionario” – e non estraneo anche a taluni accenti di vago sapore socialista che segnano le aspirazioni di Röhm e delle SA – si frappone insomma al progressivo avvicinamento del nazismo al tradizionale complesso militare-industriale che domina la Germania da sempre e che, anche ora, costituisce, insieme a una organizzata burocrazia pubblica, il nerbo stesso dello Stato tedesco. Si tratta di un problema che anche Mussolini, a suo tempo, ha dovuto affrontare in Italia, dopo l’avvento al potere e la “marcia su Roma”.
Da sempre l’agiografia nazifascista e il revisionismo storico tendono a far passare il messaggio che lo squadrismo nasce come necessità sospinta dalle violenze operaie e dei braccianti durante il “biennio rosso”, mentre le SA sono la risposta allo “spartachismo” e ai suoi lasciti. In realtà, nel caso del fascismo non v’è alcun nesso fra massimalismo socialista e violenza fascista, anche sotto un profilo temporale e nel caso tedesco lo scontro con le forze marxiste e giudaiche è battaglia ideologica e vendetta per il supposto “Dolchstoss” (pugnalata alla schiena) che ha sconfitto la Germania in guerra. Se ambedue le formazioni paramilitari sono contraddistinte dalla saldezza della militanza, dall’uso della forza bruta come strumento politico, dal monopolio della gioventù e da una profonda avversione per il socialismo, lo squadrismo fascista è, senza dubbio, più violento e più indisciplinato dell’omologa organizzazione paramilitare tedesca e quindi addomesticarlo è forse più difficile. In entrambi i casi però i due dittatori agiscono su tre piani distinti, quando la violenza delle squadre non appare più funzionale al disegno di potere: repressione, con uso della violenza e di false accuse; neutralizzazione, attraverso una crescente periferizzazione politica e infine integrazione con premi, riconoscimenti e incarichi pubblici che assorbono gli individui dentro i meccanismi dello Stato.
Ma chi sono le SA? – Nella loro iniziale accezione le “Sturm Abteilung” (Squadre d’assalto) sono reparti speciali, sul modello delle “Sturmtruppen” austroungariche e degli “Arditi” italiani, costituiti nell’ambito dell’esercito imperiale tedesco, durante il primo conflitto mondiale. Poi, nel dopoguerra, il termine viene usato per definire quelle formazioni paramilitari che fiancheggiano e supportano, con la violenza, il partito nazionalsocialista nella sua lotta contro le forze politiche di sinistra e nella sua ascesa al potere. Le SA sono l’anima militare della “rivoluzione nazionalsocialista”. Ma sono anche i sensori che, opportunamente manipolati da Röhm e dai suoi sodali, avvertono per primi la trasformazione in atto nel movimento nazionalsocialista, giunto al governo, secondo le SA, attraverso un tradimento degli ideali fondativi e, di fronte a questa sensazione, reagiscono irrigidendosi in una difesa autoconservativa. Röhm guida una sorta di “esercito privato”, composto da quasi quattro milioni di miliziani, numero questo che lo squadrismo fascista non raggiungerà mai. Sono in larga parte operai, disoccupati, disperati e reduci amareggiati, una massa che costituisce uno strumento formidabile per giungere al potere, ma poi, una volta conseguito l’obiettivo, si trasforma in una zavorra sociale e politica che, con le sue intemperanze e le sue idee bislacche e rivoluzionarie, impedisce a Hitler di stringere i necessari patti politici per giungere a un governo di coalizione con i conservatori, i tradizionalisti, gli industriali e le élite militari. Anche nello squadrismo avviene qualcosa di simile, ma Mussolini riesce, seppur con qualche fatica, a dominare il fenomeno senza dover ricorrere alle soluzioni che invece Hitler verrà costretto ad adottare.
Nel 1934, nonostante fra il Cancelliere e il capo delle SA ci siano antichi legami di amicizia personale – Röhm è uno dei pochissimi che usa con Hitler la forma confidenziale del “du” (tu) – che rendono più complesso un brusco processo di normalizzazione dell’area paramilitare, Hitler non sa più cosa farsene del bullismo chiassoso e violento delle “Squadre d’Assalto”. Non ha alcun bisogno di una forza paramilitare con la quale minacciare il potere, perché è lui stesso il potere e non può permettersi di mantenere una massa armata che ambisce a sostituire il vecchio e tradizionale esercito tedesco elitario, con una milizia popolare e facilmente manipolabile e, soprattutto, non vuole accanto a sé un leader come Röhm che, alla guida dei suoi armati, potrebbe insidiare il ruolo, le ambizioni e il potere del cancelliere.
In questo disegno politico, le SA e i loro vertici devono fronteggiare altri e forse ancor più pericolosi nemici interni, come Göring, Himmler ed Heydrich che molto hanno da guadagnare in un processo di rimozione delle “camicie brune”. Nell’ombra, da tempo, costoro agiscono. Göring costruisce rapporti sempre più intensi con i vertici della Reichwehr (Esercito) in opposizione appunto alle SA, mentre Himmler ed Heydrich, nella loro veste di responsabili delle SS, stendono una progressiva rete di lamentele, dissidi, maldicenze, scandali e denigrazioni che avvolgono e minano, davanti all’opinione pubblica e soprattutto al partito, la credibilità e l’aurea di Röhm e dei suoi uomini. In tale contesto rientra anche una falsa accusa, utilizzata per screditare definitivamente Röhm agli occhi di Hitler, e che si fonda sulla strampalata tesi di un finanziamento occulto francese, pari a 12 milioni di “Reichsmark”, per sostenere le SA nell’imminente tentativo di rovesciare il cancelliere e il suo governo, subentrando poi alla guida dello Stato. Non solo è un’accusa falsa, ridicola e priva di qualsiasi senso e alla quale però Hitler crede, ma anche una trappola mortale, nella quale le SA stanno per essere stritolate.
Il meccanismo di distruzione delle Squadre comincia a dare prova di sé ancora l’11 aprile di quell’anno quando, a bordo dell’incrociatore “Deutschland”, Hitler incontra i capi militari durante le manovre navali. La riunione sfocia in un accordo politico ben preciso: una sorta di “patto fra gentiluomini” segna il destino dei miliziani e dei loro vertici. I militari infatti chiedono la cancellazione dei reparti delle SA, in cambio del loro sostegno ai disegni di potere di Hitler. Non c’è altro da dire. La testa di Röhm e dei suoi, in cambio del traguardo finale e del dominio assoluto. Hitler non ci pensa due volte e accetta. Il problema adesso non è più se agire, ma come agire contro le “camicie brune” e i loro capi, senza destare sospetti e scatenare conflitti pericolosi.
Sinceramente prostrato a causa dei sentimenti personali di affetto che lo legano a Röhm, Hitler lo incontra riservatamente il 4 giugno 1934. La conversazione è fatta di messaggi espliciti e impliciti. Hitler tenta di mettere l’amico sull’avviso; cerca di fargli capire che il tempo delle SA e della rivoluzione è finito e che adesso inizia una fase di normalizzazione politica, nella quale l’esercito ha un ruolo predominante. Röhm però non capisce o non vuole capire. Si ostina infatti a chiedere al Cancelliere quale ruolo istituzionale sia previsto per le SA nel nuovo Stato nazionalsocialista; minaccia più o meno velatamente evocando la possibilità di una aperta rivolta delle SA e, nel frattempo, annuncia l’idea di prendere un periodo di congedo personale suo e dei vertici della milizia. Tutti si ritireranno a Bad Wiessee, in Baviera, per una “Krankenheitsurlaub” (ferie per malattia), con lo scopo di ritemprarsi, in vista di nuove e più aggressive battaglie.
A Röhm sfugge che ormai le SA, con la loro arrogante violenza indiscriminata, stanno superando il livello di saturazione sociale, in un processo che è ormai irreversibile. A forza di marce, pestaggi, appelli, cortei di fiaccole e atti criminali, la popolazione tedesca non ne può più e la politica deve farsene carico. Perfino il vecchio presidente della repubblica avverte la gravità della situazione sociale e spinge il vice cancelliere von Papen sul crinale di una crisi di governo, cioè dell’unica cosa che Hitler teme perché sa benissimo che Hindenburg, amato dall’esercito e rispettato da tutta la società tedesca, potrebbe porre rapidamente fine alla sua carriera politica e a tutto il movimento nazista, grazie anche ai suoi legami stretti con la casta militare.
Il 21 giugno Hitler ha un colloquio fondamentale con il vecchio presidente. Quest’ultimo, nonostante il suo precario stato di salute è ancora lucidissimo. In breve egli mette il Cancelliere sull’avviso: se non è in grado di ripristinare l’ordine pubblico e controllare le forze paramilitari delle SA, il presidente è orientato a proclamare la legge marziale, mettendo di fatto il governo nelle mani dell’esercito e lasciando a questo “carta bianca”.
Hitler comprende di non poter perdere altro tempo. Bisogna muoversi adesso. Subito. E se qualche indecisione sul destino dell’amico Röhm permane ancora, ormai il dado è tratto.
Voci incontrollate e diffuse ad arte dai molti nemici delle SA, ricominciano a vagheggiare un possibile complotto delle “camicie brune”, volto a destituire Hitler e a impossessarsi del governo e questo sospetto getta nel panico il potere politico degli alleati della coalizione e produce un vasto sentimento di isteria e paranoia collettiva. E’ in tale contesto che vanno inserite le forti pressioni che, a questo punto della vicenda politica, il vice cancelliere von Papen esercita su Paul von Hindenburg, affinché proclami la legge marziale, affidando il potere alla Reichswehr. Il 28 giugno le truppe vengono messe in stato di allarme.
Non si può tergiversare oltre. Il tempo delle mediazioni e delle parole è finito e in questo clima il Führer decide di agire fulmineamente. Gli ordini sono chiari e l’esecuzione immediata.
I vertici del partito, in quelle ore concitate, sono quasi tutti con Hitler a Bad Godesberg, nei pressi di Bonn, per un appuntamento elettorale e propagandistico e da lì scatta la repressione nazista.
Göring viene inviato a Berlino: l’ordine è di colpire le SA – e con esse anche i circoli conservatori che si muovono in accordo con von Papen – al momento convenuto e in base ad una parola d’ordine. Il Gruppenführer delle SS, Sepp Dietrich, è mandato invece a Monaco. Deve tenersi pronto ad agire, con i reparti al suo comando, intervenendo a Bad Wiessee dove i vertici delle SA sono in “congedo per malattia”.
La sera precedente a Berlino, l’ufficio stampa del partito dirama alle 19.30 un comunicato nel quale si ribadisce il tentativo di “golpe” in atto da parte delle SA, mentre Göring spiega alla stampa estera come, nella concitazione degli eventi, purtroppo il gen. von Scheleicher sia rimasto vittima della situazione. In realtà, l’ex cancelliere che aveva provato a scalzare la leadership di Hitler offrendo posti di governo ad altri nazisti come Gregor Strasser nel tentativo di un “dividi et impera” sul movimento, è stato freddato, insieme alla moglie a casa sua, su ordine di Göring.
Nella notte il Führer, accompagnato da Goebbels, viaggia verso Monaco. Alle quattro del mattino arriva in città e ordina immediatamente l’arresto dei dirigenti delle SA che vivono nella “Hauptstadt” bavarese, disponendo personalmente il fermo per August Schneidhuber, uno dei capi delle SA e ordinando al contempo alle SS di circondare e assediare la “Casa Bruna”, sede monacense della milizia di Röhm. Mentre ciò avviene, Hitler e Göbbels partono alla volta di Bad Wiessee, dove li attende Sepp Dietrich con gli uomini della “Leibstandarte” (Guardia personale) del Führer.
L’albergo Hanselbauer ospita Röhm e i suoi più stretti collaboratori. Tutti sono ancora immersi nel sonno, dopo una serata di libagioni. Hitler e le SS sono rapidissimi. Entrano, con le armi spianate, sfondando le porte delle camere da letto e procedono con gli arresti. Personalmente Hitler si occupa di Röhm, chiamandolo “traditore”. Gli ordina di vestirsi e di uscire. Poi spalanca un’altra porta e trova a letto Edmund Heines con un suo amico. Hitler è furente e urla al loro indirizzo: “Voi maiali dovreste essere tutti fucilati!”. I capi delle SA, ancora assonnati, vengono trascinati fuori. Si odono spari. Qualcuno rimane a terra. Nel volgere di pochi minuti tutto si conclude.
Nel frattempo a Monaco è iniziata una grandiosa retata e tutte le SA “sospette” vengono arrestate, allo scopo di sventare il fantomatico “colpo di Stato”. Hitler rientra in città e chiama subito Göring a Berlino. La telefonata si compone di una sola parola in codice: “Colibrì”. E’ il segnale che scatena la repressione dell’inesistente “golpe” e il terrore in tutta la Germania. Nel giro di poche ore le SS, la Gestapo e la Reichswehr riempiono le carceri di Stadelheim a Monaco e di Lichtenfelde a Berlino. Ovunque e indiscriminatamente si arresta, si tortura e si giustizia. Perfino il vice cancelliere von Papen è messo agli arresti domiciliari. Per altri supposti avversari il destino è ben diverso. Edgar Jung, Gregor Strasser ed Erich Klausner, vecchi camerati critici con Hitler e le sue mire personali, vengono ammazzati a sangue freddo. Karl Ernst, uno dei leader delle SA, viene sbattuto davanti al plotone di esecuzione senza alcuna sentenza. Dopo qualche ripensamento, Hitler ordina la morte anche di Röhm e Himmler incarica Theodor Eicke, uno psicopatico che sarà poi ai vertici del sistema concentrazionario nazista, di eseguire gli ordini del Führer.
Eicke si reca nella cella di Röhm. Porta con sé una pistola con un colpo solo. Comunica la sentenza di morte e lascia al “condannato” dieci minuti per uccidersi. Röhm però non si ammazza. Non crede possibile ciò che gli sta accadendo. Eicke ritorna nella cella e spara. Röhm muore mormorando. “Mein Führer, mein Führer…”. Tutto è finito.
Il numero dei morti ammazzati nella “Notte dei lunghi coltelli” non è mai stato quantificato ed è stato gonfiato, a più riprese, dalla propaganda del regime nazista, ma il calcolo più probabile e credibile oltrepassa il centinaio di vittime.
Le esecuzioni e gli arresti proseguono fino al 2 luglio, quando Hitler stesso ordina di porre fine alla repressione. Le SA sono decapitate e con loro vengono eliminate altre figure ostili, come vecchi ufficiali prussiani e oppositori delle classi conservatrici. Il giorno seguente, il governo emana una legge composta da un solo articolo che così recita: “Le misure assunte il 30 giugno, il 1 e il 2 luglio 1934, sono conformi al diritto in quanto misure di difesa dello Stato.” Si tratta di una assoluzione generale e senza possibilità di appello per quanto compiuto in quei giorni da Hitler e dai suoi per “difendere lo Stato”, ma anche del primo segno arrogante della dittatura che si sta avvicinando a grandi passi alla storia della Germania.
Al popolo tedesco e alle SA sopravvissute ad arresti e deportazioni in Campo di concentramento, viene raccontata nei dettagli la trama di una cospirazione mostruosa, guidata da Röhm, in combutta con potenze straniere, contro il governo, il partito nazionalsocialista e lo Stato. I giornali osannano il Führer e il suo personale coraggio nell’azione voluta per sventare il complotto.
Il 13 luglio Hitler tiene un discorso alla “Krollopera” di Berlino, durante il quale afferma: “Ho dato ordine di cauterizzare la carne cruda delle ulcere della nostra vita domestica, per far sapere alla nazione che la sua esistenza, che dipende dalla sicurezza e dall’ordine interni, non può essere impunemente minacciata da nessuno. E per far sapere che nel tempo a venire, se qualcuno alzerà la mano per colpire lo Stato, la morte sarà il suo premio!” Il segnale per qualsiasi forma di opposizione presente e futura ad Hitler è chiarissimo: chi si oppone, muore.
Il 26 luglio le SA, nel frattempo disciolte, vengono ufficialmente ricostituite e al loro vertice viene chiamato un fedelissimo del cancelliere: Viktor Lutze, mentre le SS sono rese indipendenti e autonome. Confinate in ruoli secondari, le SA ben presto perderanno seguito e forza.
Il 2 agosto del 1934, il vecchio presidente von Hindenburg muore a Neideck. Un’ora dopo viene annunciato che la carica di presidente della repubblica è unificata a quella di capo del governo. Con un unico provvedimento Hitler diventa il capo dello Stato, delle Forze armate, del governo e del partito. L’esercito giura fedeltà ad Hitler e i tedeschi sono chiamati alle urne per approvare la nomina di Hitler alla presidenza del “Deutsches Reich”. L’89,93% si esprime a favore e al successivo congresso del partito, nella Liutpodhalle di Norimberga il 4 settembre 1934, Adolf Hitler si autoproclama Führer della Germania.
Nel volgere di poco più di due mesi la democrazia si è liquefatta, per lasciare il posto ad uno dei regimi più brutali e fanatici della storia. Inizia la lunga notte della dittatura. Solo novant’anni fa, nel cuore dell’Europa.