Domenica 30 giugno, alle 18, nella chiesa di S. Maria del Carmine, a Rovereto, il missionario comboniano trentino Alex Zanotelli ha celebrato messa per i suoi 60 anni di ordinazione a prete. Una lunga vita, in prima fila nella difesa degli ultimi, degli scarti della storia, travagliata da incomprensioni e dai tentativi dei potenti di turno di minarne la credibilità. Giornalista da cinquant’anni, già direttore di “Nigrizia” un mensile schierato sul fronte della giustizia e della pace, da un quarto di secolo vive e lavora a Napoli dove i “suoi” africani lo hanno “inviato” con l’incarico di “convertire la tribù bianca”.
Alex Zanotelli ha cominciato a firmare il mensile “Nigrizia”, pubblicazione dei missionari comboniani, la sua congregazione, il 28 novembre 1978, data in cui venne iscritto nell’Elenco speciale annesso all’albo dei giornalisti. Aveva presentato domanda di iscrizione all’Ordine dei giornalisti fin dal 28 giugno 1978, allegando un curriculum di grande spessore: laurea e master a Cincinnati (Ohio) negli Stati Uniti; certificato di lingua araba all’Università di Parigi; certificato di studi islamici a Roma.
Non fu iscritto subito quale giornalista pubblicista poiché mancava un requisito indispensabile: per le decine di articoli che aveva scritto in precedenza alla sua nomina a direttore non aveva percepito alcun compenso.
Lo mise nero su bianco l’economo generale del Comboniani (Giuseppe-Zeno Pacotti): “P. Alessandro Zanotelli è membro effettivo di questo Istituto come religioso con voti e perciò, secondo le leggi canoniche, non può percepire né di fatto ha percepito alcun compenso per il lavoro fatto nell’Istituto stesso e cioè per le pubblicazioni ed articoli su riviste edite dall’Istituto”.
Ma il direttore di una rivista come “Nigrizia” (che stampava allora 40 mila copie al mese) non poteva essere iscritto all’Elenco Speciale destinato a direttori di pubblicazioni scientifiche che non sono giornalisti. Con Vittorio Cristelli e Fulvio Gardumi coinvolgemmo il sindacato regionale dei giornalisti. Insomma, compenso o no, fu fatto uno strappo alla regola imposta dalla legge e Alex Zanotelli fu iscritto all’Ordine dei giornalisti del Trentino-Alto Adige quale “pubblicista” cinque mesi dopo, il 24 aprile 1979, con la tessera n. 002021.
Otto anni più tardi, giovedì 7 maggio 1987, su richiesta delle autorità ecclesiastiche, che parlavano di un suo presunto allontanamento dallo spirito della missione, Alex Zanotelli lasciò la direzione di “Nigrizia”.
Che cosa aveva fatto, Alex Zanotelli, da giornalista?
Ciò che dovrebbe fare ogni buon giornalista. Dare notizie. Cioè fare il cane da guardia nei confronti del potere che, come noto, non ama chi abbaia e, abbaiando, richiama l’attenzione della pubblica opinione.
“Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire” diceva il conte zio nei “Promessi sposi” del Manzoni.
E invece, Alex Zanotelli da Livo, aveva affrontato temi scottanti come l’apartheid in Sudafrica, la produzione e il commercio delle armi, la critica al modello di sviluppo occidentale, la (mala) cooperazione italiana in Africa (i 1.900 miliardi della legge Piccoli-Pannella, serviti a smaltire i magazzini delle aziende italiane e ad incrementare quella discarica del nord del mondo che era l’Africa post coloniale).
Sul piano ecclesiale aveva continuato l’opera del suo predecessore, un altro grande giornalista: Renato Kizito Sesana con la richiesta convinta e convincente di un concilio della Chiesa africana. Si era nel pieno del pontificato del papa polacco Karol Wojtyla.
Per sovrammercato, nel biennio 1985-1987 Alex Zanotelli aveva dato fastidio (è un eufemismo) a politici del peso di Spadolini (ministro della difesa, chiamato “piazzista di armi”), Andreotti (ministro degli esteri), Craxi (presidente del Consiglio) e Flaminio Piccoli (presidente della DC, fautore della legge 73 che aveva istituito il FAI (fondo aiuti italiani), 1.900 miliardi di lire per combattere la fame e la mortalità infantile.
Ce n’era abbastanza per un intervento risolutore nei (Sacri?) Palazzi del potere ecclesiale. Le dimissioni forzate di Alex non avrebbero tuttavia ottenuto il risultato sperato e promesso poiché il successore, Elio Boscaini, avrebbe mantenuto la barra di “Nigrizia” nel solco tracciato dallo stesso Zanotelli.
Ad ogni buon conto, il direttore “dimissionato” di “Nigrizia” accettò di spiegare la sua scelta nel corso di una affollata conferenza stampa che si tenne a Roma e che fu trasmessa integralmente da “radio Radicale”.
Disse tra l’altro: “Finché Nigrizia informava sull’Africa qui non si sollevavano problemi. Ma quando abbiamo incominciato a capire, dopo aver analizzato i problemi, che tante delle cause di ciò che avveniva giù si trovavano qui e abbiamo deciso di mettere il dito nella piaga, è successo il putiferio. Tutti gli scenari che avete visto in questo ultimi tre anni. Parlo, per esempio, dell’editoriale del gennaio 1985 (“Il volto italiano della fame africana”) sul problema degli aiuti della legge 73, o di editoriali come quello con “Missione oggi” in cui avevamo definito proprio l’onorevole Spadolini “piazzista d’armi”.
“Ed è stato probabilmente il tema delle armi – spiegò -, il traffico con l’Iran, la nascita di “Beati i costruttori di pace” di cui “Nigrizia” è stata una delle tante anime, che ha reso le cose più difficili. “L’accusa essenziale che ci muovono è che facciamo politica, che la linea di Nigrizia è troppo ideologizzata e troppo politicizzata”.
“Mettere il dito nella piaga vuol dire vivere un Vangelo che è radicato nella vita e nella realtà e non un Vangelo astratto o un’esperienza religiosa che può essere aliena dalla vita. Questo ha suscitato furore negli ambienti politici e anche in tanti ambienti ecclesiastici.”
Pertanto, “la direzione generale dei Comboniani, dopo aver cercato di difendere la linea editoriale di “Nigrizia” ha ceduto alle istanze del card. Tomko, slovacco, prefetto di Propaganda Fide.”
Accadde il 19 dicembre 1986 quando la redazione di “Nigrizia” fu convocata a Roma dai vertici della congregazione dei Comboniani. Fu una seduta tempestosa al termine della quale Alex rassegnò le dimissioni a far data dal 24 dicembre. I suoi superiori gli chiesero di soprassedere, nel tentativo di trovare una via d’uscita meno traumatica. Ma già si era deciso (Zanotelli non lo sapeva ancora, Giulio Andreotti sì) che il 1 giugno 1987 Alex sarebbe dovuto partire per l’Africa.
Quanto al ministro della difesa, Spadolini, che era andato sul monte Bianco a parlare col papa Wojtyla, per informarlo “sulla gravità di un certo clero sovversivo del Triveneto” (dichiarazione a Canale 5), aveva pure affermato, testualmente: “Le battute del direttore di “Nigrizia” sono l’eccitamento alla delinquenza terroristica”. Lo disse ai piedi della Marmolada, nell’agosto del 1986, a conclusione di una esercitazione militare. (Nigrizia, ottobre 1986)
Quanto onore, verrebbe da dire. A giudizio di P. Alex ciò che creava problemi al governo italiano e al Vaticano, in quel momento, era il “congiungimento tra le forze missionarie che finora hanno parlato solo di Terzo mondo”. (Anche padre Gabriele Ferrari, superiore generale dei Saveriani di Parma aveva avuto pressioni perché allontanasse dalla direzione di “Missione oggi” il direttore Eugenio Melandri). Tale congiungimento aveva prodotto “Beati i costruttori di pace” e con essi il discorso si era inevitabilmente spostato sul commercio delle armi. In Africa e non soltanto.
Nel 1987, una lunga intervista ad Antonio del Giudice (1949, allora giornalista a Repubblica, poi di molte altre testate) fu pubblicata in volume da Publiprint sotto il titolo: “La morte promessa”
Si toccavano interessi enormi e quel piccolo prete, quel granello di sabbia che si era infilato negli ingranaggi ben oliati tra alta finanza, politica e Vaticano, andava rimosso. Con le buone o, se del caso, con le cattive.
Col senno di poi, e visti certi epiloghi, viene da dire che ad Alex è andata bene. In verità, fin dal 1981 aveva chiesto di affrontare una nuova sfida personale: immergersi nei sottofondi della storia, andare a vivere e dare testimonianza in una delle bidonville alla periferia di una delle capitali dell’Africa nera. A Nairobi, in Kenya. Una nuova esperienza anche per i Comboniani.
Alex Zanotelli si dimise da direttore di Nigrizia il giovedì santo del 1987. Tradito, disse, dai suoi superiori che avevano patteggiato col Vaticano, a sua insaputa, il suo passo indietro.
Dopo 9 anni a “Nigrizia” Alex Zanotelli partì per il Kenya. Si immerse nella baraccopoli di Korogocho, a Nairobi, dove rimase per 12 anni. Ma pure lì dava fastidio. Intanto perché aveva affinato il linguaggio, reso più scarno, più essenziale. E poi perché, dopo appena un paio d’anni, si era diffusa la voce che il cardinale di Nairobi, Maurice Michael Otunga (1923-2003) – questa la notizia giunta in Italia – lo voleva cacciare pure da quella valle d’inferno dov’erano ammassate centomila persone.
Non c’erano i telefonini cellulari, allora (a proposito: Alex non ce l’ha nemmeno oggi). In Italia era montato un “caso”. Per TG1-Sette, una rubrica settimanale della Rai, andammo in Kenya.
Venanzio Milani, il superiore provinciale per l’Africa dei missionari comboniani fece di tutto per impedirci di incontrare Zanotelli. A Nairobi, in quei primi giorni di gennaio del 1989, Zanotelli non c’era. Riuscimmo ad incontrarlo in un villaggio a nord della capitale dove i comboniani erano riuniti per un loro incontro annuale. Era stanco, amareggiato, sfiduciato.
Con la caparbia insistenza degli sprovveduti riuscimmo a far desistere Venanzio Milani dal divieto ad Alex di rilasciare interviste. Fu realizzato uno speciale che, a Roma, la RAI rinviava di settimana in settimana. Andò in onda una sintesi di 9 minuti soltanto un mese e mezzo dopo e solo dietro insistenza del sindacato dei giornalisti. Nulla di nuovo sotto il sole.
Alex è tornato in Italia da un quarto di secolo. Aveva il mandato dei suoi di Korogocho a “convertire la tribù bianca”. Temiamo non ci sia riuscito. Anche perché, nel frattempo, quella tribù è diventata nera.