Tra i musei del mondo rurale, il caseificio “turnario” che un gruppo di appassionati si appresta a riaprire a Viarago recupera pagine di storia minore ma non per questo meno importanti della civiltà contadina. È il segno buono di un’arte e di un servizio che si credevano relegati alla memoria di pochi fortunati. Sarà occasione di visita e di studio, anche da parte delle scolaresche di città.
Quando il festeggiato è “quel dal formai”. A fine giugno, sull’onda di San Vigilio, sono molte le località del Trentino che si concedono giorni di festa. Terminate le scuole, con il profumo delle vacanze in arrivo, comincia la monticazione. Una festa di paese fa sempre bene, anche per rinsaldare quelle amicizie che nei villaggi e nelle valli trovano terreno fertile.
A Viarago, frazione di Pergine, porta d’ingresso alla valle dei Mocheni, la tre giorni dal 28 al 30 giugno si chiama “festa dell’amicizia”. Nel programma figura quanto serve per essere la festa che tutti vorrebbero avere. Musica, gastronomia da campo, giochi, messa in canto, banda che suona e gioventù che balla. Clima spensierato per tre giorni di fila con tutte le associazioni e i volontari si faranno in quattro per sentirsi dire: benché il paese sia piccolo la festa è stata “grande”.
Fin qui la cronaca di un Trentino che si apre all’estate (almeno quella sul calendario), di una sagra che non vuol esser magra. Ma domenica, alle 11, dopo la messa solenne, la presentazione alla comunità del recupero, a fine museale, del caseificio “turnario”. Un gioiello regolatore dell’economia di un tempo; testimone di usi e costumi di una comunità rurale com’era consuetudine nelle valli montane povere e isolate. Un gruppo di cittadini appassionati stava lavorando da anni al progetto per recuperare il fabbricato ridotto in rovina, abbandonato ma mai dimenticato nella testimonianza di quanti ancora conservano la memoria della sua funzione.
A Viarago, frazione di Pergine Valsugana, più che le vacche dominano le ruspe. Tuttavia, l’entusiasmo per le cose antiche non manca, così come non mancano le braccia e la dedizione disinteressata di un volontariato genuino, generoso e geniale. Basta poco per accendere la miccia e dedicare serate e giorni per pensare prima e fare poi. Ecco la Pro loco, la filodrammatica, gli alpini in congedo e gli sportivi, parrocchiani o coristi, sempre in prima fila.
Per l’assetto del caseificio turnario di Viarago, secondo solo a quello in funzione a Pejo, si è avviata la ricerca di parti disperse e il restauro degli attrezzi e degli oggetti. Si è ricostruito ogni componente che assicurava il funzionamento della struttura per poter lavorare in tal modo tutto il latte conferito.
Ogni spazio ha una propria funzione: dalla registrazione alla lavorazione, dalla conservazione alla maturazione del formaggio. Il caseificio turnario è una forma di genuina cooperazione fra chi un tempo poteva contare su pochi capi di bestiame e non aveva alcuna attrezzatura per trasformare il latte. Così, a turno, un gruppo di allevatori associati potevano unire le forze contando su un maestro casaro in comune. Tutti portavano il latte al caseificio e, a turno, la “caseràda” era predisposta per uno dei soci.
Visitarlo per immergersi nella vita di un tempo, anche quando questa struttura diverrà solo museo, può rappresentare uno spaccato di suggestioni. Un modo vivo per comprendere il mondo rurale, il profumo e il vocio serale di chi consegnava il latte appena munto e tornava casa con il latticello di scarto, la “bròda”, per i maiali. In questa riproposizione fedele, diventano suggestione la stanza del casaro con il letto di “sfoiazzi”; il tavolo dove erano segnati sul libretto peso e quantità del latte conferito; il magazzino di maturazione avvolto nel profumo delle forme che scandivano l’avanzare della stagione. Sono emozioni che rammentano uno spaccato di storia rurale e che spiegano l’origine di un benessere di idee e di ideali.
Una visita si impone non solo per rendere giusto plauso a un gruppo di volontari ma anche perché la valle dei Mocheni, abbandonato il suo sonnolento status di valle incantata, sia consapevole del ruolo e della storia di cui è protagonista. La vita nei masi e negli abitati abbarbicati sui pendii della valle testimoniano radici antiche di una cultura germanofona. Va reso onore alle iniziative silvo-pastorali di chi questa valle l’ha amata, come la pastora e casara Agitu uccisa con insensata barbarie da un africano come lei. O Agnese Jobstraibizer, veterana della monticazione, che non riesce a invecchiare i suoi formaggi a malga Cagnon alta perché sono prenotati dagli esperti dei presidi slow food nazionali. Un cenno doveroso a malga Grisotta, dove si allevano mucche e capre, i cui gestori si sono impegnati ad animare il caseificio turnario di Viarago. Un’arte antica che si perpetua grazie alla passione di chi crede che la vita, come la storia, va scritta dall’erba.