C’è un piccolo-grande uomo nella storia di chi studia la Storia. Il fondatore degli “Annales” che hanno aperto e guidato l’interesse degli storici verso l’umano e tutto ciò che può contribuire a formare una “storia”, leggende comprese. Sembra un’ovvietà, oggi, ma l’autore della “Società feudale” e “La strana disfatta”, o della “Apologia della storia o dello storico” ha davvero cambiato l’approccio alla materia. Ce ne occupiamo perché a metà giugno cade l’ottantesimo anniversario della tragica fine di Marc Bloch, studioso ebreo trucidato nella Francia occupata dai nazisti.
Talora ci accompagna la sensazione che lo storico, così come in genere lo scienziato, sia un individuo avvolto nelle sue ricerche e parimenti avulso dalla realtà. Come tutte le percezioni non verificate, si tratta di sciocco pregiudizio.
Il 16 giugno di quest’anno – dieci giorni dopo l’ottantesimo anniversario del “D–Day” lo sbarco in Normandia – cade un altro anniversario, forse non così rilevante, ma altrettanto importante per chi si occupa, a qualunque titolo, di storia e del suo studio. In quella data infatti si ricorda la morte di uno dei più grandi storici europei di ogni tempo: Marc Leopold Benjamin Bloch.
Lione, terza città della Francia dopo Parigi e Marsiglia, fra i suoi monumenti annovera anche il “Memorial National de la Prison de Montluc”, un Luogo della Memoria di grande valore simbolico e narrativo per la storia francese, ma anche europea e quindi anche nostra. Si tratta di un vecchio forte militare, trasformato in prigione ancora nel 1921 e divenuto poi, tragicamente, celebre per essere stato il luogo della detenzione della Gestapo, posta agli ordini dell’SS-Hauptsturmführer Klaus Barbie, “il boia di Lione”. Quelle mura inghiottono, durante l’occupazione tedesca, le urla di disperazione e di dolore di oltre 15 mila prigionieri e dei quali più di mille muoiono di fame, di stenti e di torture. Fra di essi moltissimi ebrei francesi e non solo, raccolti in attesa di essere trasferiti a oriente e sterminati.
La sera del 16 giugno 1944 un gruppo di 29 prigionieri, fra i quali il più anziano è un professore di 57 anni, viene caricato sui camion che escono dal forte/carcere e si addentrano nella notte. Dopo un’ora di viaggio circa, gli automezzi si fermano davanti a una radura nei pressi di Saint Didier de Formans. I detenuti scendono e vengono allineati. Due tedeschi e due borghesi imbracciano i fucili mitragliatori. Una sventagliata di colpi e la terra si inzuppa di sangue. Poi, un’altra raffica per zittire i lamenti e porre così fine a una rappresaglia voluta per vendicare un’imboscata del “Maquis” contro i nazisti. Fra i morti che giacciono in quell’erba, c’è un ragazzino che sta accanto a quel professore nell’ultimo istante. Gli assassini non sanno probabilmente chi hanno ucciso. Per loro si tratta solo di ebrei e partigiani, anonimi fra i tanti ammazzati. Eppure quel professore dall’aria borghese e simpatica che giace nel suo sangue, è uno dei più straordinari storici europei di ogni tempo, appunto Marc Bloch.
Nato a Lione nel 1886 in una famiglia ebraica di origine alsaziana e non praticante. Suo padre, Gustave, è uno storico e sua madre, Sarah Ebstein, una fine intellettuale. Dopo gli studi superiori entra all’università della Sorbona a Parigi, studiando storia medioevale, appassionandosi al metodo della ricerca interdisciplinare, prefigurato dal sociologo Emile Durkheimer (1858-1917).
Nel 1905 viene chiamato agli obblighi di leva e, in tale contesto, verifica di persona l’ancora alto grado di antisemitismo che impregna l’esercito francese, nonostante “l’Affaire Dreyfuss”. Dopo un anno di servizio, rientra nella vita civile e assume la cattedra di storia e geografia in un liceo di Montpellier, ma, al contempo, segue i corsi di storia medioevale a Berlino e a Lipsia. Grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri viene così in contatto con la tradizione storiografica tedesca.
Rientrato a Parigi, vince un’altra borsa di studio della Fondazione Thiers e, nel 1911, dà alle stampe il suo primo lavoro di ricerca, che è anche la sua tesi di dottorato, sulla scomparsa della servitù della gleba in alcune regioni della Francia. Nel 1913 è ad Amiens per proseguire gli studi e lì lo coglie lo scoppio della Grande guerra. Si arruola come volontario e partecipa alle grandi battaglie del fronte occidentale: Ardenne, Argonne, Marna e Somme, ottenendo i gradi di capitano del Servizio Informazioni, quattro citazioni all’Ordine del Giorno dell’Armée, la Legion d’Onore e la Croce di Guerra.
La fine del conflitto gli riserva un primo incarico universitario a Strasburgo e il matrimonio con Simone Vidal, dal quale nascono sei figli. Nel 1924 Bloch pubblica uno dei suoi più celebri e importanti lavori – “I re taumaturghi” – e tre anni dopo ottiene la cattedra di storia medioevale a Strasbrugo, stringendo, nel frattempo, amicizie preziose con molti intellettuali, fra i quali Lucien Febvre, che gli sarà amico per sempre ed Henry Pirenne.
Nel 1929 esce il volume “I caratteri originali della storia rurale francese”, che è forse la sua opera più nota ed apprezzata e con la quale introduce il metodo dell’interdisciplinarietà nella ricerca storica. Dopo aver provato invano, negli anni Venti, a fondare una rivista internazionale di storia sociale ed economica, riesce finalmente ad avviare, insieme a Febvre e Pirenne, l’esperienza della rivista “Annales d’historie économique et sociale”, con la quale si gettano le basi dello studio comparato delle civiltà e della storia del pensiero, con un apporto metodologico che è rimasto vivo fino ai giorni nostri.
Nel 1936 diventa titolare della cattedra di storia economica alla Sorbona e due anni dopo, con Marcel Halbachs, fonda l’“Istituto di Storia economica e sociale”, che ha per scopo la ricerca e lo studio dell’influenza dei fattori economici sulla storia occidentale. In quegli anni escono anche i due volumi sulla “Società feudale” che raccolgono l’ultimo grande contributo organico di Marc Bloch e che hanno un’immediata, enorme, risonanza in Francia e all’estero. L’aggressività nazista che si muove nella consapevolezza della debolezza politica delle democrazie liberali, porta nuovamente l’Europa alla guerra. Nonostante sei figli, i dolori dell’artrite reumatoide contratta nel precedente conflitto mondiale e la professione universitaria che lo esenterebbe dagli obblighi militari, Bloch, che è un vero patriota, decide comunque di arruolarsi e viene assegnato al Comando supremo. Ma tutto crolla repentinamente e anche lui si ritrova nel vortice della sacca di Dunkerque, dove assiste al crollo di ogni certezza. Ripara in Gran Bretagna con le truppe francesi superstiti ma chiede subito di poter rientrare in Francia, per stare vicino alla famiglia.
Il 22 ottobre 1940, dopo l’armistizio, il professore viene escluso dall’insegnamento a causa delle sue origini ebree. Gli viene offerta una cattedra a New York che però rifiuta per non dover abbandonare il figlio, ormai in età di leva militare e quindi impossibilitato a poter lasciare la patria. Sono momenti molto duri per la famiglia Bloch e solo l’intervento di un vecchio allievo di suo padre, divenuto Segretario di Stato per l’Educazione nazionale nella Francia di Vichy, gli consente di poter ottenere una cattedra, nella succursale di Clermont-Ferrand dell’università di Strasburgo. Le precarie condizioni di salute di sua moglie impongono però a Bloch, nel 1941, di trasferirsi nelle più salubri temperature di Montpellier, dove continua a scrivere, seppur in condizioni molto difficili, vergando le pagine di quell’“Apologie pour l’histoire ou Metier d’historien” (Apologia della Storia o della professione di storico), che verrà poi pubblicata postuma nel 1949 a cura dell’amico Lucien Febvre.
Quando i nazisti invadono anche quel simulacro di Stato che è Vichy, Bloch avverte, ancora una volta, il dovere di battersi per la sua patria. Aderisce pertanto ai movimenti resistenziali – in particolare a “Franc Tireur” – con i nomi di battaglia di “Narbonne” prima e “Blanchard” poi, diventando in breve, grazie anche alle sue esperienze militari, uno dei responsabili della Resistenza nella zona di Lione, città dove si è trasferito con la famiglia. Forse per la delazione di un giovane partigiano torturato, Bloch viene arrestato dalla Gestapo l’8 marzo 1944. I nazisti sanno chi è e conoscono il suo ruolo nell’organizzazione resistenziale. Vogliono farlo parlare a tutti i costi e così lo torturano per tre lunghi e dolorosissimi mesi. Ma Bloch non parla. La sua tempra morale lo sorregge e non fa alcun nome; non rivela nulla e si chiude in un silenzio coraggioso e orgoglioso. Il 16 giugno, come ricordato, lo fucilano e lo seppelliscono in una fossa comune. Solo dopo la guerra il suo cadavere viene ritrovato e inumato sotto una lapide che recita: “Dilexit veritatem” (Ho amato la verità), forse il più adatto elogio funebre per un uomo e un intellettuale straordinario.
Di lui scrive l’amico e collega Lucien Febvre: “Marc Bloch non è un grande storico per aver letto molti libri o collezionato molti documenti. Ancor meno per aver legato il suo pensiero e la sua prassi di storico a una filosofia (…) Bloch è un grande storico perché ha sempre recato, nel suo lavoro, il senso e la sollecitudine della vita; di quella vita di cui ogni vero storico non si stanca mai di conoscerne il gusto.”
Il suo apporto alla storiografia europea è molto difficile da sintetizzare, ma è di valore assoluto. Bloch infatti imprime una sorta di “rivoluzione” al metodo della ricerca storica perché estende il campo della stessa a elementi fino a quel momento del tutto esclusi o marginalizzati, come le leggende. Ad esempio, nello splendido lavoro “I re taumaturghi”, egli immette cose che sono considerate, allora e da tutti, folklore perché esulano, apparentemente, dalla tradizione della narrazione storica, dedicata in via esclusiva al protagonismo di sovrani, diplomazie, complotti, battaglie, grandi avvenimenti e personaggi di spicco. Senza tralasciare queste componenti e la loro rilevanza, Bloch allarga lo sguardo dello storico anzitutto alla sfera sociale entro la quale contestualizza i singoli fatti e li collega con lo sviluppo dell’economia, della geografia e della sociologia, aprendo la storia alla contaminazione preziosa con le scienze umane, attraverso un approccio interdisciplinare.
È con questo metodo nuovo e ricco di stimoli che egli dà vita, con Febvre e Pirenne, a quella “scuola degli Annali” che, pur non ignorando le suggestioni del materialismo storico, conduce la ricerca sul terreno della complessità. Contribuisce in modo determinante a ridisegnare lo studio della storia, mescolando antropologia; memorialistica; ambiti locali, nazionali e continentali; politologia e biografie, per costruire infine un racconto corale e capace di trasformare l’aridità narrativa della ricerca in una piacevole forma di letteratura. In tale percorso, Bloch disvela tutto il suo carattere di umanista e tutta la sua attenzione nel porre al centro del lavoro di storico, l’uomo e la sua vicenda, sia esso il grande autore della storia o lo sconosciuto amanuense o il servo della gleba. Scrive Bloch: “L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente.”
È la grande lezione dell’intellettuale ebreo-francese; una lezione che deve molto anche alla sua identità non disgiunta dal profilo dello studioso, come lui stesso così riassume: “Sono ebreo. Se non di religione – che non pratico affatto, come nessun’altra religione – almeno di nascita. Non ne traggo motivo di orgoglio particolare, né di vergogna, essendo – almeno lo spero – uno storico abbastanza serio da non ignorare che le predisposizioni razziali sono un mito e che la stessa nozione di razza pura è un’assurdità particolarmente flagrante quando, come in questo caso, si pretende di applicarla a ciò che in realtà fu un gruppo di credenti, reclutati a suo tempo in tutto il mondo mediterraneo così come turco-cazaro e slavo. Non rivendico mai la mia origine, salvo che in un caso: quando mi trovo davanti un antisemita!”
Bloch è insomma una bussola di navigazione in un tempo dominato dall’incertezza. È un uomo che crede nell’indispensabilità della storia per comprendere la realtà e le sue antinomie e per fornire, infine, gli strumenti essenziali per l’orientamento delle coscienze.
1 commento
Grazie Renzo, tu storico, per aver ricordato Bloch eroico faro per quanti si interessano anche di Storia. Soprattutto sul piano interdisciplinare che di molto riduce la solita fuorviante narrazione della storia scritta dai vincitori.