Una folla di amici e di sostenitori di “Chico Forti free” ad attendere nel rione di Cristo Re a Trento l’ergastolano trasferito dal carcere della Florida al penitenziario di Verona e che ha ottenuto la concessione di una rapida visita alla mamma di 96 anni. Tutto molto bello, tutto comprensibile, meno la “caciara” per la visita strettamente privata di un detenuto condannato all’ergastolo per un delitto di 25 anni fa negli Stati Uniti. Sennò gli americani potrebbero dire che avevano ragione a tenersi stretto l’ergastolano. Questo non aumenta la considerazione che negli USA hanno del nostro Paese ma soprattutto non fa gli interessi di Chico Forti. Il quale è arrivato a Trento verso le 15 (di oggi, mercoledì 22 maggio) ma il pulmino della “penitenziaria” è entrato nell’androne del palazzo dove vive la signora Forti e un gruppo ha potuto vedere da lontano e salutare l’amico a lungo atteso.
Siamo consapevoli che restare in silenzio sarebbe la cosa più saggia. Tuttavia, in troppi sembrano impegnati e scatenati con ogni mezzo e con provocazioni a volte inopportune. Il “caso Chico” ha suscitato motivi di riflessione, di curiosità, di profonda divisione fra due mondi e due amministrazioni della giustizia, forme e modi di solidarietà, due visioni sulla congruità della pena. Resta l’immagine di un morto stecchito, su una spiaggia della Florida. Diversi possono essere i motivi per cui qualcuno è rimasto vittima di una esecuzione. I delitti hanno alle spalle origini diverse, passioni, vedute contrastanti, sgarbi subiti, oppure interessi, valori, beni contesi, controlli sui traffici o su atti, non sempre limpidi.
Chico Forti condannato negli USA all’ergastolo senza sconti è legato a un omicidio per una questione di beni materiali: un albergo, che doveva passare di mano fra un possidente australiano e l’acquirente trentino. In mezzo c’era l’obiezione del figlio del venditore che riteneva la compravendita poco chiara, aveva sollevato dubbi e posto qualche paletto. È stato trovato morto ammazzato con un colpo di pistola (arma acquistata con la carta di credito di Chico Forti) su una spiaggia americana. La giustizia a stelle e strisce, non quella afgana, ha giudicato l’immigrato trentino condannandolo all’ergastolo “fine pena mai”.
Il paese dell’economia libera, il paese dei miracoli economici possibili, lo Stato dei Paperoni e degli zii ricchi d’America non ha avuto alcun ragionevole dubbio. Una giuria popolare ha decretato la colpevolezza di Chico Forti. Per più di vent’anni non ha mai voluto rivedere il processo o dar corpo ai dubbi dei parenti e dei comitati di sostegno e solidarietà.
È comprensibile la gioia alle stelle e la soddisfazione degli “innocentisti”, dei congiunti che hanno lottato per un quarto di secolo, degli amici più stretti, per il rientro in Italia del detenuto Enrico Forti da Trento. Un Paese, l’Italia, che si è dimostrato generoso e di colpo sburocratizzato. Funzionari forti e veloci, con in prima fila la presidente del Consiglio dei Ministri, la signora Meloni “detta Giorgia” la quale è andata personalmente all’aeroporto di Pratica di Mare ad accogliere l’ergastolano restituito dagli USA al suo Paese d’origine. Neanche fosse un Capo di Stato. Ma tant’è, siamo in campagna elettorale e anche la restituzione di un ergastolano può essere sfoderata davanti agli elettori come un trofeo di efficienza del Gabinetto da lei presieduto. Come dire: dove altri hanno fatto soltanto annunci e hanno fallito, noi portiamo a casa i prigionieri in casa altrui. Uno su tutti, in verità, perché per altri (compresa la sinistrorsa Ilaria Salis che è andata a rompere le scatole in casa del camerata Orban) non pare esserci stata analoga cura. Quanto meno non c’è stata la Grancassa sfoderata per il nostro conterraneo.
In carcere da sabato a Verona, per Chico Forti i magistrati di Venezia hanno firmato immediatamente la richiesta di un incontro tra l’ergastolano e la sua amata mamma che ha 96 anni ed è impossibilitata a muoversi dalla sua abitazione in piazza general Cantore a Trento. Tanta efficienza nel concedere “ad horas” la possibilità di una rapida sortita dal carcere e di una trasferta a Trento ha suscitato la protesta dei rappresentanti degli agenti di custodia. Non già nei confronti di Chico Forti quanto nella disparità di trattamento con altri detenuti bisognosi di incontrare i congiunti in fin di vita.
Ecco, un po’ di discrezione, un po’ di tatto (strategico) potrebbe essere utile anche ai fini giudiziari, visto che per ottenere il rientro in Italia del condannato negli USA la Corte d’Appello di Trento ha sancito con propria sentenza che l’Italia riconosce Forti come un ergastolano e che come tale sarà considerato e trattato. Tutto normale? Proprio no. È lecito qualche dubbio sulla mancata discrezione da parte di tutte le parti in proscenio. Così come il padrinato politico sfoderato in questa vicenda. Il presidente del Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige che si fa fotografare fuori dal carcere di Verona dopo una visita-lampo all’ergastolano Chico Forti pare un tantino fuori norma. Ma si sa, il galateo istituzionale non è merce comune.
Sarebbe utile (oltre che necessario) un comportamento più sobrio da parte di tutti: politici (in campagna elettorale, candidati in primis), amici e “tifosi” (di che?) compresi coloro che amano i canederli e ambirebbero un invito, meglio se con foto fra mamma e figlio che si rivedono dopo 16 anni, il tempo di un permesso che è stato concesso per urgente ed umana compassione.
1 commento
Come non condividere, caro Pier, un punto di vista che è anzitutto buon senso.
Certo, sarebbe stato bello vedere lo stesso trasporto di “Giorgia” per il detenuto sardo, scarcerato dopo 17 anni di prigione, perchè innocente. Ma evidentemente non aveva molti “fans club” e nessuno se lo ricorda più.
Renzo