È morto la scorsa notte, nella casa di riposo del clero diocesano, a Trento, don Vittorio Cristelli, uno dei preti più conosciuti, una delle voci libere e critiche della diocesi di S. Vigilio. Aveva 93 anni. È stato un prete intransigente sui principi, disponibile al dialogo a tutto campo, magnanimo e misericordioso con i più deboli. Ma è stato anche un giornalista con la schiena dritta, con la penna felice, alla perenne ricerca della verità. Perché, diceva, ogni medaglia ha il suo rovescio e, spesso, è più ciò che sta dietro di quello che si vuol far vedere e credere.
Nato a Chatelineau in Belgio (28 novembre 1930) dove la famiglia era emigrata da Miola (il papà faceva il minatore), divenne prete nel 1955. In quasi settant’anni ha detto 25 mila messe. Per più di vent’anni è stato il direttore del settimanale diocesano “Vita Trentina” dove ha allevato una pattuglia di giornalisti che poi hanno frequentato altre “chiese” sono approdati in altre “parrocchie”: dalla Rai, all’Ansa, dall’Adige, all’Alto Adige, all’Ufficio Stampa della Provincia, senza mai dimenticare le origini e gli insegnamenti del “maestro”.
Vittorio Cristelli ha varcato la soglia dell’Infinito dopo una vita intensamente vissuta. Ha cominciato a fare il viceparroco a Mori (1955-1957) e a Oltrisarco (Bolzano) dal 1957 al 1961, ha fatto il catechista a Trento e studiato filosofia all’università di Padova dove si è laureato nel 1965. Dal 1967 al 1989 è stato direttore del settimanale diocesano “Vita Trentina”, mentre dal 1962 al 2005 ha svolto l’attività di docente alla scuola di Servizio sociale e molte altre attività, compresa quella di conferenziere in giro per l’Italia.
Considerata una delle penne più brillanti del giornalismo trentino, don Cristelli ha sempre rivendicato quale caratteristica del giornalista il ruolo di “cane da guardia” nei confronti del Potere: politico, economico, sociale. E il giornalismo come “voce di chi non ha voce”. Come il S. Sebastiano che figura sulla pala d’altare della chiesa di San Rocco, al suo paese, Miola di Piné, ha attirato nei decenni i dardi dei benpensanti e di quella parte di clero che mal digeriva la sua direzione del settimanale diocesano. L’arcivescovo Gottardi ne ha sempre difeso la libertà; il suo successore, l’arcivescovo Sartori, lo “licenziò” su due piedi salvo poi pentirsi, anni dopo, quando, incontrandolo, gli aveva detto: “Ho sbagliato io a mandarti via, ma hai sbagliato tu a obbedire”.