Nel 1957 un prete e professore di Sociologia della val di Fiemme, Franco Demarchi (1921-2004) fondò a Trento una Scuola di preparazione sociale per preparare i giovani del Trentino a un impegno sociale e politico nell’amministrazione dei loro comuni di origine. Il progetto fu poi portato avanti da un altro prete, Vittorio Cristelli (1930), fino alla fine degli anni Ottanta quando l’impegno passò in mani “laiche”. Azzolini, Tonini ed altri. Certo, era una scuola che nasceva da una costola del partito cattolico, o sedicente tale, la Democrazia Cristiana degli anni Cinquanta. Tuttavia contribuì a creare una classe dirigente soprattutto nelle valli del Trentino. Poi i tempi mutarono, la crisi dei partiti politici con il tintinnar delle manette di “mani pulite” (anni Novanta), la nascita dei partiti-personali, la deregulation anche morale del Paese, hanno favorito la crisi attuale: l’esercizio della delega a tutti i livelli perché nessuno si prende più la responsabilità personale. Oggi, più che mai, ci sarebbe bisogno di una scuola di alta formazione politico amministrativa perché l’accorpamento dei comuni più piccoli o l’obbligo alla cogestione burocratica hanno dimostrato in tutta evidenza che non si sono raggiunti gli effetti sperati. Intanto si è snaturalizzata l’appartenenza e si sono anestetizzate le comunità. Con i nomi più fantasiosi, partoriti da fervide menti e mal digeriti dalle comunità, si sono creati nuovi comuni (per incorporazione dopo referendum) e nuovi toponimi che solo un appassionato di sciarade o di parole crociate poteva partorire: Borgo Chiese, Sella Giudicarie, Altavalle, Tre Ville, Ville di Fiemme, tanto per citarne alcuni, che impongono il ricorso a Google-maps. (af)
Il grido d’allarme non è nuovo. La provincia autonoma di Trento è particolare in molti suoi aspetti. È costellata di comuni (vent’anni fa erano 223) di ogni dimensione. Alcuni oggi vanno annoverati fra gli ex comuni, tuttavia la popolazione delle entità amministrative accorpate o fuse resta ancora (e per fortuna) una comunità identitaria. La storia rimanda i ricordi di sane, efficienti e rigorose amministrazioni costellate da figure di sindaci (anche chiamati podestà). Erano personaggi e figure esemplari, riferimento di valori nobili e vanto per tutti. Accanto a un buon sindaco spesso c’era il segretario, la “mente pensante”, il comandante in capo della compagine amministrativa. Assicurava la popolazione che l’amministrazione, come le idee e il buon senso, lui e il sindaco marciavano in abbinamento fecondo con norme, leggi e indirizzi capaci di mantenere l’operato entro il binario della legalità e del rispetto delle norme. Ecco: l’orgoglio di indossare la fascia tricolore era supportato da uno staff di gente preparata, da uomini e donne che vantavano conoscenze, competenza e senso di appartenenza. Erano di supporto a sindaci e assessori i quali potevano amministrare con il buon senso e l’ambizione di far bene senza avere patemi di incorrere in una miriade di ostacoli, limiti, e difficoltà. Le quali dilatano e prolungano i tempi della realizzazione di progetti ambiziosi cui ogni comunità mira.
Oggi il lamento è diffuso, le difficoltà certificate. Le fusioni e gli accorpamenti dei comuni, nonostante il voto maggioritario delle comunità interessate, oggi sono mal digeriti. Alla luce dell’esperienza di pochi anni si avvertono insoddisfazioni e recriminazioni poiché gli auspicati e proclamati vantaggi di una riforma istituzionale calata dall’altro si stanno rivelando uno specchietto per le allodole: pochi vantaggi, scarsi risparmi, burocrazia diffusa.
Vent’anni dopo la riforma questo appare ormai chiaro dalle cronache. E la tormentata vicenda del comune di Lases lo sta a testimoniare. Il problema di una amministrazione efficiente, di amministratori capaci, di personale di supporto esiste. La giunta provinciale trentina, spesso pellegrinante nei comuni per dare un segnale e prendere atto dei problemi, è spesso sollecitata a rispondere a carenze di personale amministrativo di supporto e di garanzia per chi deve districarsi in una marea di norme: delle leggi antiche e recenti, nazionali e locali, europee e statutarie. A queste si sommano le direttive o si scontrano con il buon senso richiesto dai cittadini.
Viviamo in una provincia autonoma, abbiamo un catasto diverso da tutti, abbiamo una storia amministrativa di antica origine, abbiamo una struttura territoriale segnata nel tempo ma siamo allo sbando, allo smantellamento di una organizzazione socio culturale per carenza di personale di supporto agli amministratori.
Nell’ultima tornata elettorale a Lona-Lases, una comunità che non riusciva ad eleggere un sindaco da anni si è palesata la ricerca di amministratori che siano loro stessi il personale di cui avranno bisogno per dare certezza e legalità agli atti.
Più che il saggio del paese, il sindaco deve essere il più “lezù”, il più preparato, quello che lavora in Provincia o in qualche ministero; un pensionato colto con un passato nella Magistratura o in qualche autorevole ufficio. Sennò finisce che a fare il sindaco, anziché un uomo o donna del popolo, scelto perché persona perbene anche se magari senza grandi titoli accademici, sarà un funzionario capace e preparato ma estraneo alla comunità.
Certo ormai sono pochi i Donchisciotte disposti a roteare contro i mulini a vento se il Sancho Panza della situazione, anziché fare lo scudiero, abbandona l’illuso al proprio destino.
Molte amministrazioni faticano a trovare candidati disposti a fare il sindaco o gli amministratori comunali e non sembra sufficiente ad invogliare il loro impegno l’indennità connessa all’incarico.
Serve qualcosa di nuovo, di serio e profondo. Una provincia con competenze in campo scolastico, organizzazione della pubblica amministrazione, politiche del lavoro, formazione professionale e decentramento amministrativo per assicurare equilibrio territoriale deve formare il personale. Deve avviare un corso specifico per operatori delle pubbliche amministrazioni. Deve rendere appetibili e rispettati questi impieghi, destinare risorse e carriere. Ci sono scuole per cuochi, per addetti a molte funzioni, protezione civile compresa; per operatori turistici, sportivi e agricoli. Serve soprattutto una scuola per i pubblici funzionari. Serve indurre avvocati, geometri, architetti, urbanisti ed economisti, ad abbracciare quel ramo del mondo del lavoro che destina il loro operato al sostegno e funzionamento della pubblica amministrazione delle comunità.
La Provincia autonoma di Trento lo può fare; può destinare le risorse necessarie per creare persone competenti e motivate e dare supporto agli amministratori che possano interpretare con saggezza e senza timori i bisogni di una comunità.
Basti pensare alla semplicità di un tempo: edifici scolastici in ogni comune, spesso utilizzando lo stesso progetto; ambulatori comunali, servizi assistenziali e di guardia dei boschi e dei campi che trovavano nei comuni una regìa di competenza. Erano altri tempi, certo. Ma oggi, nel tempo delle fibre ottiche, di comunicazioni tempestive audiovisive, di livelli di istruzione elevata e diffusa, di mobilità generale, è necessaria una comunità di riferimento ben amministrata, dotata di personale motivato e ben preparato. Serve anche a ribadire che l’era dei comuni virtuosi non è passata di moda e che le comunità hanno voglia di restare tali, rifiutando la perfida devitalizzazione che passa dalla chiusura dello sportello bancario, del negozio di generi di prima necessità, e magari pure di uffici comunali che ne certifichino residenza e vita. Mantenere vivi i comuni è vitale e lo si ottiene solo con la formazione del personale. Come si faceva un tempo, quando l’impegno per l’amministrazione della cosa pubblica era patrimonio comune.