Da quindici anni si discute, si ricorre, ci si azzanna anche davanti alla magistratura amministrativa sui progetti e sulla collocazione del Nuovo ospedale di Trento e Rovereto. Ovvero del NOT, Nuovo Ospedale del Trentino. È già stata individuata l’area su cui dovrebbero sorgere le strutture ma è ancora tutto in alto mare. Anzi, sott’acqua. Da qui l’idea (bizzarra?) dell’architetto Pier Dal Rì di cancellare tutto, di ripartire da un’altra collocazione, di fabbricare il NOT sul dosso di San Rocco. Dove le esondazioni dei fiumi non arrivano, dove la “città della salute” potrebbe essere un’eccellenza. Ecco la sua provocazione.
Super Trento o Trento da superare? Sfido un cittadino normale a capire cosa significhi “Super Trento”, escludendo le squadre di calcio, di pallacanestro o di pallavolo, in molti restano perplessi e faticano a ipotizzare la Trento che sarà. Quella città che dovrebbe fare sintesi tra i sogni e le opere verso un futuro fantastico, tecnologico, vivo e vivibile, conservato ma ammodernato.
Una Trento insomma, che sappia conciliare il concilio della Chiesa cattolica che l’ha segnata negli ultimi cinque secoli di storia e da cui fatica a liberarsi, quasi fosse soggiogata al passato e ai suoi simboli.
Sentir parlare di “Super Trento”, di città del futuro, di Trento stellare, Smart e via deliziando, c’è da sperare che in tanti sognino almeno in grande. Perché sognare costa poco, non è vero?
Vedendo il via alla costruzione della “Trento dei sogni”, con il primo sotto passo della strada tangenziale che servirà Ravina e il futuribile ospedale, non posso non collocare questo primo lotto fra le iniziative urgenti che prendono il via ma certo classificabili come ideali per la città futura.
Vedo tracce di strada accanto all’Adige, un bel ponte con una rotatoria tinta di verde ed un sottopasso quasi all’altezza dell’alveo. Già dal rendering, la città del futuro mi fa paura. Vedo già dei muri di sopralzo. E immagino le scritte pararsi il fondoschiena: “È sconsigliato il transito quando piove.”
Siamo in un tempo nel quale non valgono solo le perizie, gli studi, le garanzie tecniche che, per legge, debbono le opere. Valgono pure le notizie di cronaca, le esperienze altrui, i consigli di saggi, (ignoranti, magari, ma saggi).
E che cosa dicono chi conosce bene la città lungo il fiume? Dicono che fabbricare una strada accanto al fiume, con un quartiere di case e di garage, e collocarci pure un ospedale con tutti i servizi e sottoservizi è da miope (per usare un eufemismo).
Con il mutamento del clima, con le precipitazioni che assomigliano ai monsoni tropicali, il fiume potrebbe esondare. E, ad ogni buon conto, tre metri sotto il livello del terreno, in prossimità dell’area scelta per il nuovo-futuribile-chissà? Ospedale, le falde si gonfiano e le idrovore non saranno sufficienti ad evitare allagamenti.
Col mio ragionamento prendo il via da dove abito, dove ho radici e godo di una posizione privilegiata e fantastica: sotto il dosso del Casteller, a ridosso di San Rocco di Villazzano.
Da qui ipotizzo il mio ospedale ideale: un grande complesso per blocchi edilizi, di bella architettura, che sappia contenere nei giusti spazi, anche in zone separate ma interconnesse, tutte le branche della medicina, ogni tipo di reparto, laboratori. Con spazi che servano per degenze, lezioni universitarie (visto che abbiamo una facoltà di medicina), visite, riabilitazioni e tutte le attività connesse. Servizi di supporto anche per il personale, spesso femminile, come un asilo nido, comprese pure le residenze per professionisti, studenti e visitatori. Utopia, probabilmente, ma non così irrealizzabile come taluno sarebbe portato a credere.
Il comune di Trento possiede una vasta area strategica a ridosso della città, con vista sulla valle e sul corso del fiume. Un’area di possibile sviluppo edilizio, dove nel 1882 il genio militare austriaco, raso al suolo un piccolo santuario, vi fabbricò un forte a difesa della città verso sud. Ma il dosso di S. Rocco, perché è di questo che si parla, fu a lungo destinato alla raccolta della legna da ardere per il riscaldamento e per le cucine dell’ospedale Santa Chiara.
Il dosso a sud di Villazzano, in gran parte vivaio forestale e centro faunistico per la cura di animali selvatici, orsi compresi, potrebbe essere “sacrificato” in nome e per conto della collettività. Molti ettari di bosco ceduo fra Trento e Rovereto con, alle spalle, la Vigolana e la Valsugana; ai piedi l’aeroporto di Mattarello; una grande area, solida e rocciosa, sarebbe al riparo da alluvioni della Fersina e/o dell’Adige.
Qualcuno potrebbe bollare questa proposta come una follia, partorita l’indomani dell’anniversario centenario della nascita di Franco Basaglia, lo psichiatra che spalancò le “fabbriche dei matti”. Eppure, a pensarci bene una proposta simile non è proprio una follia.
Un ospedale nel verde, con la possibilità di passeggiate per i convalescenti, con laboratori anche scavati in roccia se serve; un ospedale nel quale studenti di medicina possano specializzarsi…
Trento dovrebbe saper cogliere l’attimo, lasciare ai gretti i pregiudizi, tornare a progettare in grande. Perché un ospedale non è affare di pochi o di cordate immobiliari. È patrimonio comune e, come tale, le decisioni che lo riguardano vanno condivise. Anche con chi, al momento, non sta nella stanza dei bottoni.
1 commento
Idea bellissima, certamente realizzabile se nella stanza dei bottoni vi fossero persone di buonsenso e lungimiranti!
Bravo come sempre Pier