Calano anche nel 2023 i neonati in provincia di Trento. Mai così negli ultimi vent’anni: appena 3.611 nati (1.718 femmine, 1.893 maschi). Su 3.548 parti, 63 sono stati con 2 gemelli e i lieti eventi si sono verificati nei reparti di ostetricia degli ospedali di Trento e Rovereto. Ad ogni buon conto la denatalità è un fenomeno che chiama in causa il mutamento di stile di vita e di costume (la diffusione dei metodi contraccettivi e non solo) ma interroga urgentemente la politica. Per le scelte fatte o malfatte e per sussidi alle giovani coppie e alle famiglie numerose spesso soltanto promessi. O rinviati.
L’inverno demografico sta provocando qualche mal di pancia ai piani alti del Palazzo dopo che qualcuno ha spiegato a lorsignori che se non c’è stato il tracollo (mille nati in meno in Trentino, rispetto a dieci anni fa) è stato solo perché gli immigrati extracomunitari hanno contribuito con un quarto del totale: 816 dei 3.611 nati nel 2023 hanno genitori arrivati qui da Paesi che non fanno parte della Comunità Europea. Se poi si fa l’ecografia al pancione dell’intera provincia di Trento si scopre che a Cavalese, nell’anno appena passato, si sono avuti 137 parti; 5 nati in più rispetto al 2022, 25 in più dell’anno precedente ma sei in meno riferiti al 2020.
Per non parlare di Cles dove i nati nel 2023 sono stati 232, dieci in meno rispetto al 2022. E pensare che nel 2004 Cles aveva registrato 524 neonati.
Vent’anni fa a Cavalese vennero al mondo in 299; nel 2005 ben 323, un baby-boom.
Il focus è su Cavalese per le note polemiche seguite al mantenimento, a spese consistenti, del “parto per Fiemme”. Difeso contro ogni ragionevole e oculata gestione delle risorse di una sanità che più malata probabilmente non si può. E anche oggi, di fronte ai dati incontrovertibili di una gestione “in perdita”, il presidente della Provincia autonoma di Trento ha dichiarato a “IlT” che i punti nascita di valle – Cles e Cavalese – non rischiano affatto la chiusura: “Giusto fare verifiche e valutazioni, ma non si decide solo sui numeri. Posto che la sicurezza dei parti è garantita ovunque, un punto nascita in valle ha un valore che va ben oltre le tabelle di fine anno”.
Certo, un valore elettorale, come si è visto nelle appena passate elezioni provinciali dell’ottobre scorso. Basta guardare i tabulati delle zone di riferimento dei due ospedali periferici con “neonati a bordo” (Cles e Cavalese) e la cartina di tornasole segna il successo elettorale della destra. In Val di Non: Fratelli d’Italia 19,9%; Lega Fugatti Presidente,14,4%; Noi Trentino per Fugatti, 10,9%, ovvero 45,2%. Stesso discorso per la Val di Sole con Fratelli d’Italia al 23,1%; Lega Fugatti Presidente il 12,3%; Noi Trentino per Fugatti il 10,4%, per un totale del 45,8%.
Se qualcuno pensava di togliere la cicogna all’ospedale di Cles riponga le convinzioni o i desideri in un cassetto.
Stesso discorso per l’ospedale di Cavalese dove il “parto per Fiemme” resta: a dispetto della casistica, del buonsenso e della spesa. In val di Fiemme, a parte gli exploit del PATT (25,1%) che ha mandato a Trento la sindaca di Predazzo, Maria Bosin; e di Campobase che ha brindato al successo (16,3%) con Michele Malfer; la Lega Fugatti Presidente ha ottenuto il 14,5%; Noi Trentino per Fugatti, 7,9%.
Nel Comun General de Fascia, col plebiscito delle due liste locali, Noi Trentino per Fugatti presidente, 6,3%; Fratelli d’Italia, 4,2%; Lega Fugatti Presidente, 3,7%.
Nel Primiero che, parzialmente, fa riferimento sanitario a Cavalese, Noi Trentino per Fugatti ha ottenuto il 26,7%; la Lega Fugatti Presidente il 10,3%.
Discorso analogo in val di Cembra: Noi Trentino per Fugatti ha conseguito il 16%; Lega Fugatti Presidente il 14,3%. Con questi numeri “un punto nascita in valle ha un valore che va ben oltre le tabelle di fine anno”.
Come no? Se non volano le cicogne volano le aquile. Chi le ritiene tordi se ne faccia una ragione.