Doveva saperlo ben prima di abbandonare la sua creatura “Agire” per approdare in “Fratelli d’Italia” che il motto della casa per caso è: “Credere, obbedire, combattere”. E che non è: “Credere (in Dio), agire (per il meglio), combattere (per chi sta peggio)” come par essere il programma che Claudio Cia manifesta da quando è stato nominato assessore provinciale. Carica e “carega” che il “Gauleiter” di Bolzano vorrebbe levargli da sotto il sedere perché di ostacolo al suo piano: ottenere la poltrona di vicepresidente per la signora Gerosa e molto altro.
Cosa peraltro promessa (vatti a fidare delle promesse di Fugatti!) al momento della stipula del patto (di latta) che doveva tenere assieme, nelle urne e dopo, la coalizione di centrodestra. La signora non ha gradito lo sgarbo di un assessorato dimezzato (Istruzione ma non la vicepresidenza) e il “Gauleiter”, che quel patto aveva siglato, indossato l’orbace, fa il muso duro e la voce grossa.
Disposto perfino a togliere di mezzo il “morbido” neo assessore Cia, dandogli il benservito dopo nemmeno avergli lasciato stappare lo spumante. Ciao-Cia, “fuori dalle balle”. L’invito perentorio, da “libro e moschetto” del Ventennio, si è scontrato con l’ira dei calmi. Mai umiliare l’avversario, neanche se, di primo acchito, pare un perdente.
Così, dopo aver calcato con grande imbarazzo l’emiciclo del Consiglio Provinciale, girovagato per giorni in cerca di un conforto che i Fratelli-coltelli evidentemente non gli hanno garantito, ieri mattina (S. Barbara, patrona di chi maneggia l’esplosivo) Claudio Cia è salito sul “suo” scranno. Ed ha trangugiato l’amaro calice: “Gli piaccia o no (a Urzì, il commissario regionale della fiamma tricolore) io vado a occupare la scrivania che Fugatti mi ha affidato: assessore alle politiche per la casa, alla disabilità, mobilità e trasporti”.
Detto e fatto. Apriti cielo: non era ancora planato col sedere sulla poltrona che da Bolzano (o da Roma dove è deputato) il commissario ha inviato all’insubordinato un messaggio perentorio: “Poiché sono ancora in corso le trattative per la formazione degli organi consiliari e delle giunte provinciale e regionale, viene ribadita l’opportunità di astensione dal ruolo di assessore fino alla conclusione della vertenza interna alla maggioranza e con il presidente della giunta. Nel caso aveste assunto posizioni diverse o nel caso vi foste insediati presso l’assessorato a cui, senza accordo con il partito, siete stati incaricati, vi intimo di rassegnare immediatamente le dimissioni, con effetto immediato”.
“Ciao-Cia” ha fatto orecchie da mercante e, come ha dichiarato in una commovente intervista a Donatello Baldo (IlT di oggi, martedì 5 dicembre 2023, p. 12) “solo il presidente della giunta mi può togliere le deleghe, non certo Urzì”. Ancora: “Nella mia vita sono stato anche in convento e tra i frati l’obbedienza è una virtù. Obbedienza che non è mai imposizione, ma sempre comunque una decisione frutto del confronto leale aperto. Obbedire non significa prostrarsi. Nemmeno in convento, figuriamoci in politica.”
Meglio il saio dell’orbace, par di capire. Il fatto è che il “Gauleiter” pare essersi infilato in un “cul de sac”, all’angolo senza apparente via di uscita. Perchè un conto è contare su 5 consiglieri compatti e pronti alla pugna; altro è perderne uno per strada prima ancora di cominciare. Perché sarà pur vero che Fugatti non è un’aquila, ma sa far di conto. E se non ha concesso la vicepresidenza ai “Fratelli” con cinque seggi, perché adesso dovrebbe cedere alle pretese di chi si ritrova in mano con sole quattro carte? Che non sono quelle del poker perché tra i quattro, l’unico asso di cui, in questo momento, Urzì può fidarsi è la signora Gerosa. Sugli altri pendono gli appetiti che si possono saldare o sbriciolare. Dipende dal menù.
Resta il dilemma: diseredare il ribelle Cia e scendere a quattro o tenerlo in seno, come una serpe velenosa? Peggio: rischiare di tenerlo sotto l’orbace come un cilicio? Un rompicapo per chi aspirava a ben altre vendemmie dalle urne trentine. Solo di passaggio, rammentiamo le pretese dell’Italia alla fine della Grande guerra quando, a Parigi, voleva fosse onorato in pieno il “patto di Londra” del 26 aprile 1915. Ottenne meno di quanto stabilito e ciò fece gridare al Vate del fascismo (Gabriele d’Annunzio) che quella dell’Italia era una “vittoria dimezzata”. Ebbene, in quel frangente, Winston Churchill (1874-1965) sibilò: “L’Italia ha grandi appetiti, ma pessimi denti”. Ecco, anche Urzì pare avere grande appetito. Che sia il mite Cia a metterlo a dieta?