Il candidato che vorrei. Ovvero, il candidato che, secondo noi, poteva essere indicato a chi domenica 22 ottobre voterà per un determinato raggruppamento politico, in una certa area di aggregazione. Paradossalmente abbiamo proposto solo alcuni nomi che figurano nella coalizione di centro-sinistra. Avevamo contattato, in verità, anche alcuni candidati del centro-destra ma chi ha rifiutato, chi ha declinato l’invito, chi si è detto disponibile a inviare un proprio testo, già bell’e confezionato. Grazie, anche no. Qualcuno temeva che le domande poste senza preavviso nascondessero qualche trabocchetto. Probabilmente, chi candida nei partiti che hanno gestito per cinque anni la Provincia (già autonoma) di Trento temeva si chiedesse conto di alcune decisioni indigeste, di alcune gestioni improvvisate, di alcuni pasticci poco onorevoli. Oppure non volevano proprio avere a che fare con noi. Ce ne faremo una ragione. Sempre pronti, anche in futuro, a fare domande per ottenere risposte. Per essere chiari: dovessero cambiare maggioranza e governo provinciale non faremo sconti ad alcuno. Intanto, l’importante è che gli elettori, domenica, vadano a votare. Occhio: si possono esprimere due sole preferenze e, del caso, dovranno assicurare la parità di genere: un candidato ed una candidata. Pena l’annullamento della seconda preferenza. Intanto, ecco una riflessione del nostro Pier Dal Rì (af)
Walter Pruner, Simone Santuari, Mirella Nones, Andrea de Bertolini, ecco alcuni nomi che in codesto foglio liquido hanno trovato una vetrina elettorale sotto la rubrica “Il candidato che vorrei”. Non potete immaginare, come le scelte non siano passate inosservate. Chiaro a tutti, anche ai più allergici e sprovveduti, che i candidati intervistati fanno parte di una sola area, quella del centrosinistra. Supporto al cambiamento, al radicale rinnovo, al pensiero di chi ci scrive, al ripristino di pratiche democratiche e popolari antiche e che propongono il dott. Valduga quale candidato presidente. Si ci sarebbe molto da dire. Per mesi abbiamo scritto, punzecchiato, a volte pure provocato, usando l’ironia. Abbiamo cercato di stanare chi stava coperto, svegliato chi amava il pisolino. Ci siamo sentiti apostrofare come cecchini del “fuoco amico”, risparmiando le stilettate al “nemico”. A parte che in politica non ci sono nemici ma solo competitori, militanti in altri raggruppamenti, inconsciamente non volevamo riconoscere che la gestione della cosa pubblica, l’autonomia provinciale, fossero tanto gracili e ammalate da dover chiamare al capezzale un sanitario. Tanto grave da dover chiamare un oncologo. Pareva fin dagli esordi che l’impresa fosse ardua, lunga, improbabile, dal risultato incerto e impegnativo. La campagna elettorale volge al termine, siamo ai titoli di coda, i riti sono gli stessi da sempre, le reti televisive impazzano con la vendita degli spazi promo-pubblicitari. Poche ore e finirà, finalmente. Abbiamo dimenticato qualcosa o qualcuno? Si, molti. Tutti coloro che hanno chiesto il diritto di vetrina, tutti coloro i quali, benché persone perbene, secondo il nostro pensiero stavano dalla parte sbagliata.
Ognuno voterà chi crede. Qualcuno andrà all’incasso, altri dovranno saldare piaceri; altri non potranno “tradire” familiari o amici. In troppi, probabilmente, si fidano dello zio o del conoscente. Qualcuno, lo spero, si è fatto un’idea leggendo, informandosi o partecipando ai dibattiti. Le riprese televisive volanti di questi appuntamenti, hanno documentato una transumanza di sedia, figure cooptate per “bella presenza”, comparse che poi scompariranno, utili solo per la disponibilità a gustarsi l’oblio giornaliero di una dose di politica stupefacente. Quando finirà saremo lieti di aver contribuito al dibattito, registrato commenti, faccine che ridono e manine plaudenti. Il 23 ottobre si volta pagina, comunque vada. Non sarà un plebiscito per il centro-destra, nonostante la parata di ministri e sottosegretari, di capipartito e portaborse romani.
Per i prossimi cinque anni (a meno di crisi repentina da risultato sul filo di lana) avremo un nuovo governo dell’autonomia provinciale. Starà a chi l’ha ancora a cuore fare in modo che il Trentino non diventi l’ottava provincia veneta. Perché va bene amare una vita spericolata, ma svendere un patrimonio (lascito dei Padri) per un piatto di lenticchie (sia pure di Castelluccio) sarebbe criminale.
In attesa delle urne, cordiali saluti. Senza il braccio teso.