In tempo di campagna elettorale i toni si alzano, le discussioni si fanno vivaci, le tifoserie si infervorano. Un tempo, tanto tempo fa, c’era una maggioranza chiamata “silenziosa”. Votava e taceva, taceva e vinceva. Pier Dal Rì, che ha qualche capello bianco, se la ricorda bene.
C’era una volta chi veniva definito appartenente alla cosiddetta “maggioranza silenziosa”, taceva e vinceva. Proprio così. Il potere, un tempo, si basava sui silenti devoti, su candidati dedeli ed elettori granitici. Un tempo c’era chi si professava il “faccendiere delle elezioni”, l’uomo di fiducia di qualche candidato il quale poteva addirittura cantare anzitempo “Vinceròoooo” e contare su un voto sicuro, già molto prima dello spoglio e degli esiti elettorali ufficiali. L’importante era essere designato o indicato da qualche potentato che assicurava pure il risultato.
Una volta, l’elezione per taluni candidati era quasi sicura e data per scontata ben prima del voto. Per tale ragione, la prima conquista era l’esser scelto, contattato e cooptato, per essere in lista e partecipare alla competizione. Di solito si arrivava dalla gavetta, in rappresentanza di una categoria economica, di un sindacato dei lavoratori, di una corrente di pensiero, di una fede associativa ben definita. In altre parole si doveva essere considerati un cavallo vincente prima dello start. Il gioco poi lo facevano altri, i cosiddetti “galoppini” coloro che più trotterellavano di qua e di là per assicurare la spartizione dei consensi dentro una lista virtuosa. Lista che aveva fra i contendenti i leader delle correnti, i pilastri della democrazia che a quel tempo era considerata sacra e cristiana. Nella DC (la Democrazia Cristiana), due contadini erano eletti sicuri. E nel PCI (Partito Comunista Italiano) un sindacalista CGIL doveva avere un posto certo. Inoltre c’era (e c’è ancora) chi si chiamava Chiara, come la Lubich, e chi veniva dal mondo del turismo, dello sport o dall’Accademia, perché una testa pensante poteva sempre essere utile. All’Autonomia, soprattutto.
A guardar bene, la selezione e la immissione in lista ora è un’altra faccenda, tale che produrrà qualche prevedibile scompenso. Tutti sono costretti ad investire in pubblicità (per la gioia del mercato editoriale), per farsi conoscere, con la tecnica riservata a i prodotti da carosello o da “consiglio per gli acquisti”. Povera politica, trasformata in un supermercato delle promesse elettorali. E poveri candidati, trattati alla stregua di budini o bastoncini di pesce surgelato, prodotti buoni solo da stuzzicare il palato ma non quello dei buongustai. Eppure, in tutto questo circo aleggia una domanda che contiene una speranza. Ci sarà ancora una maggioranza dei “silenziosi”, come un tempo? Del tempo, quando molti avevano le idee chiare ma non lo dicevano ad alcuno. Erano gelosi come i cercatori di funghi, e pure un po’ sornioni. Sapevano che il mare di chiacchiere, le bandiere svolazzanti, gli slogan chiassosi e sguaiati venivano poi sepolti dal popolo dei silenti, e loro divenivano i modesti vittoriosi capaci di non farsi coinvolgere dalla moda e dai modi. E se quel popolo stesse covando ancora quell’antico stile? Quello di esprimersi all’ultimo momento, dentro l’urna? Senza andare al mare (che il 22 ottobre non è ancora d’inverno ma è meglio stare in provincia) per togliersi dalle scarpe quei sassolini fastidiosi e dar anima a una scelta con sorpresa, per dire che il tacere non fu mai così fruttuoso? In barba ai pullmini bardati, con foto giganti degli aspiranti consiglieri, all’invasione televisiva e dei presidi dentro i telegiornali, scavalcando i “santini” che stanno al santo come il diavolo all’acqua santa, e le postazione ai mercati e nelle piazze; al di là di tutto quanto fa “social” e messaggio on line, ecco prender corpo una nuova maggioranza che tace, che ne ha piene le tasche, ma che stavolta, stravolta dalle promesse mai mantenute, nella scatola dell’urna elettorale vuol depositare la sua scelta.
Per dire no a questo bombardamento di immagini e di slogan, per dire: “Ho taciuto molto, ho subito tutte le vostre corbellerie. Adesso tocca a me. Anzi, a noi (senza alzare la mano destra con il braccio teso).