Ci siamo. Quasi. In Trentino le liste sono in dirittura d’arrivo: intanto si sono depositati i simboli. Il tempo delle scelte (“l’ora delle decisioni irrevocabili”) batte ai confini della Storia. Mentre si avvicina il voto, l’imbarazzo cresce. Sono stati presentati 29 partiti e depositati 50 simboli. In provincia di Bolzano, dove il voto è legato al sistema proporzionale e non alle coalizioni, si presentano 16 liste con 488 candidati. Tuttavia, se non leggiamo male i fondi del caffè, pare stia venendo meno quel senso di disgusto e di nausea che per anni ha generato il sentimento del rifiuto, dell’astensionismo attivo, della fuga al mare di craxiana memoria.
Nella compilazione delle liste, nella ricerca e nelle “rose” dei candidati, nella volontà di coprire tutti i mondi della rappresentanza sociale, pare si sia voluta dare voce ai “territori” come taluni chiamano le valli, forse per darsi un tono da politici nazionali. È dilagato, pare, anche il delicato compito di dire di no e di zittire sul nascere le insistenti proposte di candidatura degli ambiziosi, degli oligarchi impresentabili, portatori di interessi corporativi raramente cristallini e trasparenti. È quanto appare, almeno nello schieramento del centrosinistra autonomista che ha concluso da poco le operazioni di stesura delle liste e si prepara a renderle pubbliche.
Paradossalmente, l’attuale legge elettorale per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Trento non aiuta a semplificare il quadro politico. L’elettore deve scegliere un candidato ed una candidata solo in una delle tante liste che sostengono Valduga, così come dovranno fare coloro che opteranno per “il buon governo” (?) di Fugatti, come recita lo slogan delle gigantografie già appese sui tabelloni promo-pubblicitari, o Divina o gli altri candidati presidente. Vince la coalizione che ha ottiene anche un solo voto in più delle concorrenti. E vincere, anche con meno del 40% dei voti validi espressi, vuol dire ottenere subito la maggioranza (18 consiglieri) dei 34 seggi disponibili. Agli altri, perdenti, resterà la possibilità di assicurare al Trentino una opposizione meno all’acqua di rose (salvo rarità) di quanto è capitato di vedere nei cinque anni appena conclusi.
Certo, se un cittadino potesse scegliere tutti i trentatré trentini (più il presidente) che vorrebbe veder trotterellare verso piazza Dante, a Trento, potrebbe cogliere il buono che c’è in quasi tutte le liste. Si verrebbe a costituire in tal modo un Consiglio Provinciale di qualità come capitava di vedere ormai molti anni fa. Temo non sarà così. Si formano gli abbinamenti, le strane coppie. Al poker della politica trentina non si vince come con le carte. La scala del palazzo di piazza Dante non è come “scala quaranta” e il “poker d’assi” dell’amministrazione resterà solo nei sogni d’autunno di un ex dirigente provinciale.
Peccato: avrei votato volentieri tutti i miei candidati preferiti, che figurano in molte liste, anche tra gli avversari del mio cartello di riferimento. E questo in onore di una democrazia partecipativa di tutte le componenti serie, colte, preparate e garanti di un’autonomia ormai da capezzale, privata di orgoglio e di partecipazione, pronta ad essere svenduta per un piatto di lenticchie padane. Se va di questo passo diventeremo l’ottava provincia del Veneto e il Trentino tornerà a far parte, come nel Ventennio, della Venezia Tridentina.
La politica trentina dovrebbe mettere in campo i suoi uomini e le sue donne migliori; le idee più serie e suggestive; i valori storici e fondanti più radicati e le energie necessarie e giovani per una sfida pulita e alla luce del sole. Credo pure che andrebbero oliate le cerniere dei cancelli ai confini della Provincia e riposizionati gli “smarlossi” per chiudere porte e portoni ai troppi ciarlatani, da palco e da selfie, che producono solo confusione, attizzano le tifoserie con una politica incendiaria e improduttiva. Abbiamo ottimi pompieri ma non possiamo costringerli ad inseguire gli imbonitori. A parte chi ha sgovernato fino a oggi, tutti gli altri dicono che serve voltar pagina. Tutto questo accadrà se ogni lamento, ogni gesto di sconforto, ogni amarcord di quando il Trentino non era “piccolo e solo”, faceva scuola ed era un esempio, se tutto questo si trasformerà in un voto di svolta nell’urna. Lo implorano le mille e mille voci di chi sospira, allargando le braccia: “No-ghe-sen”.
Par di sentire il Coro dell’Adelchi del Manzoni: “Dagli atri muscosi, dai fori cadenti, dai boschi, dall’arse fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor, un volgo disperso repente si desta…”
È ora di mettere in campo i migliori, quelle persone che hanno un’idea di sanità che funzioni; di una mobilità moderna e funzionale; di un’appartenenza all’Europa oltre le desuete dichiarazioni di facciata; di una scuola seria e capillare; di una solidarietà attiva e produttiva; di una economia sostenibile e solidale; di una cooperazione degna del fondatore.
Come tutti i prodotti in vetrina, anche i candidati devono essere soppesati e valutati per la loro coerenza e la loro storia personale. Il tempo dei selfie, dei gradassi e degli smargiassi dovrebbe finire la mattina del 23 ottobre. Basta solo che gli elettori lo vogliano.