Un dipinto di Giuseppe Angelico Dalla Brida (Caldonazzo 1874-Mezzolombardo 1959), profugo a Mittendorf an der Fischa, nella bassa Austria, durante la Grande guerra (1914-1918) riaccende la memoria, richiama l’immagine sfuocata (ma solo in fotografia) della nonna che quel dipinto aveva ricevuto in cambio di un piatto di minestra, prolungato nei giorni. E incornicia riflessioni sull’ieri e sull’oggi. Dalle processioni devote alle processioni per essere in lista.
Forse il problema sta nella scarsa dimestichezza con i libri di storia, con i racconti di famiglia, le narrazioni dei nonni, le riflessioni sulla vita, gli stenti, le grandi opportunità, le prospettive assicurate a tutti, le possibilità di essere liberi e di osare percorsi impegnativi.
Nella saletta d’ingresso della casa della mia nonna di cui ero un affascinato e devoto visitatore, facevano bella mostra molti quadri che, con occhi da bambino, guardavo con stupore e ammirazione. Molti erano del pittore Giuseppe Angelico Dalla Brida che aveva donato alla nonna come riconoscenza per la ospitalità ricevuta nei locali della casa rurale. Molti di quei dipinti sono diventati il bottino di venditori ambulanti, i cosiddetti “cazzottari” pure ospiti della nonna nel loro peregrinare. Scambiavano i loro utensili che declamavano come “indispensabili” con quadri che definivano “robetta da bancarella”. La nonna acquistò in tal modo la prima pentola a pressione, la coperta elettrica ed altre diavolerie della modernità.
Non nego che, figlio della figlia della nonna, ero pure il suo cucciolo e il suo coccolo. Lei per me era e resta un simbolo, un punto di riferimento, una guida, un rifugio, un esempio che ha poi guidato le scelte della mia vita umana e professionale.
Uno dei quadri sulla parte d’ingresso della casa della nonna rappresentava un corteo devoto all’interno lager di baracche del campo di concentramento di Mitterndorf an der Fischa. Il prete portava la comunione ai reclusi e condannati. Quel dipinto, con tutti i racconti connessi fa parte del patrimonio di famiglia.
Donna colta, ricca, con un marito che aveva un molino e una segheria ma che, improvvisamente, restò vittima di crisi bancarie e fu costretto a lasciare il paese e la famiglia per l’Australia, lasciandosi alle spalle tutti i problemi economici, moglie figli compresi. Furono momenti difficili.
Quel dipinto straordinario del Dalla Brida mi ha portato spesso a riflettere e a fare domande, anche quelle proibite, anche quelle che ancora si evitano. Perché c’erano le “città di legno”, i lager, i campi di concentramento? Perché portavano la comunione sotto un ombrello, su strade sterrate e vuote? Chi erano i profughi nonna? E qui la risposta era difficile perché i Trentini facevano parte dell’Impero ma la popolazione che era stata “costretta” ad ospitarli, sia pure nelle baracche, li considerava nemici perché parlavano la lingua del nemico. Già capivo che stavo dalla parte dei disperati.
Grazie alla nonna, ai suoi racconti, alla sua signorilità, alla sua eleganza naturale, alle sue attenzioni e alla sua cultura, assorbita nel collegio delle suore, ho maturato una mia idea sul secolo breve, sulla guerra perduta da Austria e Germania che pose le basi per la seconda, più devastante. Che fece crescere la malapianta del fascismo e di tutti gli “ismi” che hanno funestato il Novecento. Quel dipinto, conservato nel caveau di una banca, racconta l’esodo e lo sradicamento da una terra che chiedeva soltanto autonomia.
Ecco perché oggi sono a disagio, perfino sbalordito, ferito nell’intimo, osservando la più tranquilla e naturale disinvoltura di varie persone, che conosco bene, tutte in processione per un posto in lista, nell’aderire in massa al partito che, piaccia o no è nemico dell’autonomia. Peggio: è frutto dell’eredità malata della Grande guerra che portò al fascismo. Si dirà: sono elezioni provinciali quelle che verranno, cosa vuoi che sia. Siamo tutti “fratelli”, no? No, la fratellanza è altra cosa. Non si può far sempre finta di niente.