“Unboxing”, in inglese, è lo spacchettamento, il disimballaggio di un prodotto di consumo, registrato su un video corredato da una descrizione del prodotto e una dimostrazione pratica dell’uso. È anche il titolo di un romanzo, il secondo di Filippo Campobasso. Un libro per l’estate proposto da Renzo Fracalossi.
Filippo Campobasso è uno psicologo e psicoterapeuta barese che lavora anche come Giudice onorario presso il Tribunale dei Minori del capoluogo pugliese. Fin qui nulla di originale. Eppure Campobasso è posseduto, fors’anche a causa del suo lavoro, dal demone dell’osservazione acuta del prismatico animo umano e questa peculiarità, propria dello scienziato, si coniuga, in maniera del tutto originale, con il bisogno urgente del racconto, carattere invece essenziale del letterato. Psiche e parola insomma, nel segno di una antica radice classica che ispira indubbiamente la scrittura graffiante – e talora “scomoda” – di questo romanziere quarantenne che ci propone, non solo una avvincente storia individuale, ma anche uno sguardo disincantato, forse disilluso, ma comunque vero e profondo su alcuni mali di certo meridione italiano.
Recentemente infatti Filippo Campobasso ha dato alle stampe il suo secondo romanzo, con l’enigmatico titolo di “UNBOXING” (Ed. Gelsorosso – Bari – 2022 – pp. 209 – 15 euro), dopo il felice esordio con il volume “La scimmia con l’accappatoio viola”, uscito nel 2014.
Nella parabola esistenziale dell’architetto Giulio Montesano – il complesso protagonista di queste pagine – l’autore propone una lettura, quasi in presa diretta grazie al ritmo ed all’efficace prosa di Campobasso, dell’evanescente confine fra affare e malaffare, quale chiave di penetrazione dentro il corpo di una parte della società meridionale, dei suoi vizi e delle sue debolezze, attraverso la costruzione di una narrativa di gande fascino e di straordinaria presa sul lettore. E così, le pagine si susseguono in un crescendo avvolgente e che riesce difficile interrompere, come si conviene a tutti i romanzi veri.
Campobasso è, indubbiamente, un autore che ha letto molto, perché solo così è possibile affinare un proprio stile originale ed autentico, uno stile che mescola, con sapienti dosaggi, spunti letterari diversi. Se l’avvio infatti ricorda la claustrofobica compressione dell’Io kafkiano, rinchiuso in un contenitore che tanto assomiglia alla “Metamorfosi” del grande intellettuale ebreo-boemo, poi è quasi un altezzoso sprezzo intimo degli altri a richiamare alla mente le righe di Scott-Fitzgerald, al pari del cinismo di certe figure di Roth o Zweig. E chissà se forse la presenza di una antica, lontana ed insepolta radice austroungarica dell’autore non abbia innervato di sé quelle descrizioni del distacco, ma anche della crisi interiore, del protagonista che tanto ricordano certe letterature mitteleuropee a noi così affini.
Su questo fondale dipinto con plurali suggestioni, irrompe poi la potente ed intatta fascinazione di Venezia che, in alcune pagine, diventa essa stessa personaggio del racconto che riesce a creare le condizioni affinché, fra calli, canali e “sprizz” veneti, il racconto possa sfumare dal tratto psicologico verso le più adrenaliniche dimensioni del thriller.
In quel passaggio si compie la scrittura del romanzo che, come un gorgo, risucchia il lettore fino ad un riuscitissimo “coup de theatre” finale, premessa, a sua volta, per un finale amaro ma non scevro di speranza.
Nell’avventura umana del protagonista, Campobasso riesce a parlarci delle mille debolezze fragilità dell’umano che ci abita, invitando chi legge ad un esame introspettico e carico di riflessioni, ma anche ad una analisi su di un’epoca così “leggera” e imperniata sempre più sull’apparire anziché sull’essere, dove dietro le facciate del perbenismo ricercato ed esibito, si celano abissi gonfi solo di vuota ambizione e di miseria valoriale.
“UNBOXING” però non è solo una lettura di svago, ma uno specchio riflettente un tempo incerto e claudicante, dove personaggi come Montesano affollano il quotidiano e, purtroppo, talora lo determinano. Ecco perché questo è anche un romanzo di forte e coraggiosa denuncia, capace di accendere molte luci su mondi che, “quassù al nord”, ci appaiono distanti e sconosciuti, spesso prigionieri, come siamo, di stupidi pregiudizi ed inutili retoriche.Poste queste premesse, la strada fin qui percorsa proficuamente da Filippo Campobasso deve aprirsi a nuovi orizzonti, non foss’altro per consentire al lettore di gustare qualche altro frutto succoso di una pianta/fantasia che ci appare oltremodo rigogliosa. Buona lettura.