Venerdì 28 luglio, a Mezzocorona, una “cena in vigna”, nella culla del Teroldego, in un maso tra il fiume e la montagna, uno scrigno di terra che nel suo viaggio di discesa dalle valli del Noce si è adagiata sul piano rotaliano. Qui ha incontrato le tracimazioni di un Adige fertile tanto da creare un territorio unico per uve di qualità. Il Teroldego su tutto e che in questa zona ha preso residenza stabile.
Lavorare le vigne a Mezzocorona ed in piana Rotaliana è pratica antica. Da sempre le case contadine, i masi, furono luoghi di convivialità, punti di approdo temporaneo per viandanti, sfollati, lavoratori stagionali ed aiutanti d’azienda famigliare, i “famej”, e commercianti. Prima delle cantine sociali c’erano i commercianti, i mediatori, con lo sguardo rivolto verso il mercato tedesco. Trasportavano il vino nelle botti, su carri trainati da cavalli.
Immagini da museo della civiltà contadina, archivi della memoria che si trovano ancora nelle case contadine di antica origine. Adesso, la coltivazione è altra cosa: non ci sono più le cantine sotto casa, gli esperti agronomi con visioni diverse, i commercianti che si accaparravano le partite di uva più matura, i migliori terreni ad alta resa e facevano trepidare gli altri, coloro i quali dovevano offrire il proprio prodotto quando il tempo era quasi scaduto ed il prezzo sempre poco remunerativo. Oggi? Niente di tutto ciò: una grande cantina, un colosso internazionale del vino che ha preso anche il suo “quasi nome”: la Mezzacorona di Mezzocorona ed assorbe il prodotto di tutti i soci diffusi in tutto il Trentino. A costoro assicura la giusta remunerazione per uve prodotte nelle quantità ammesse. Non solo: ne cura poi tutte le indicazioni agronomiche, i trattamenti e le prescrizioni per una gestione collettiva del vigneto dei singoli. In tal modo il socio tipo ha il compito agevolato; può anche leggersi un libro o dedicarsi agli hobby i preferiti,
Anche se non ha frequentato l’Istituto agrario di San Michele, un contadino che segue le indicazioni è agevolato a prescindere dalle sue conoscenze agronomiche che in taluni casi possono divenire addirittura un pesante e frustrante ingombro. Manca qualcosa? No o forse sì. mancano la poesia e la passione per qualcosa di diverso, di distintivo, di personalizzante, di anti-conformistico, per non sentirsi solo il numero di un cartellino o una sigla che viene assegnata ad ogni socio. Per aiutarlo, certo, ma anche per controllarne l’operato.
Lo scorso 2022, per il Teroldego fu un’annata particolare: pieno raccolto, buona gradazione, tempo clemente e produzione generosa che ha obbligato molti a trasformarsi cantinieri in casa e…per caso. Si sono recuperate botti, cisterne, damigiane; individuati luoghi adatti alla lavorazione e conservazione; si sono risentiti profumi di mosto, scacciato moscerini che giravano, vocio di amici che andavano di cantina in cantina a dispensar consulenze e consigli, ad aggiustare qualche errore, ad assaggiare (tanto assaggiare) e pontificare sul vino con un pezzo di speck e qualche lucanica in mano.
Debbo dire che una crisi di abbondanza ha reso felici non solo tordi e merli ma anche molti “vinificatori per caso”. Ha favorito convivialità amicali fra chi sotto la pergola (e non sotto un cavolo) è nato e chi ha scoperto quanto sia gradevole il rito del trasformare l’uva in vino. E pure il suo approccio culturale da perfetto cittadino. Ecco, la “cena in vigna” di fine luglio 2023 può essere un augurio per una agricoltura diversa, amorevole quasi, divertente, ricca di significati e di messaggi positivi, poiché anche il “Pil della felicità” ha una propria quotazione.
Al “Maso delle rose” sarà proposto un menù nel quale il Teroldego sarà principe assoluto di ogni piatto. Si potrà parlare e confrontarsi con chi di vino ci capisce. Son convinto che sì potrà dire, magari, che quell’uva per tutti clandestina, condannata al calpestio e a divenir concime, curata e conservata per una antica antipatia allo spreco dell’uomo di campagna ha trovato lo scorso anno più mani e più cuori che hanno regalato ai grappoli ben altra natura di ciò che una grande azienda non può offrire: diventare vino. E con esso il piacere di qualche momento e di qualche serata come quella che si prospetta e nella quale più che ai conti ci si dedica ai canti.