È tempo di giro d’Italia, ora è al sud. Siamo solo all’inizio e la sagra è riservata alle comparse, chiamate “gregari” o, come in politica, “portaborse”. Talvolta ci sono le fughe per mettere in mostra il marchio dello sponsor o le scaramucce per conquistare una maglia di vari colori; per salire sul palco e bearsi del bacio delle miss, stappare una bottiglia di spumante tanto per inondare i tifosi. Nelle prime due settimane la pancia del gruppo fa corona, solitamente, ai capitani e alla maglia rosa. Così il mondo delle due ruote.
Leggendo i giornali, in questi giorni ho trovato due notizie su fogli diversi che mi hanno ricordato il Giro d’Italia. La prima, interessantissima, era riferita a un’iniziativa di albergatori ed operatori turistici della val di Fassa. La seconda, un’ampia intervista al dott. Francesco Valduga, “maglia rosa” designata del centro sinistra.
Mi sono piaciuti molto gli operatori del turismo di Fassa che pensano al futuro, che pongono domande difficili, analizzano la situazione senza paura, con radiografie come fosse una indagine clinica su un paziente, per ora in salute. Si parla del turismo montano e pensano già alle patologie possibili dietro l’angolo. C’è paura che possa presentarsi una possibile crisi per eccesso di presenze. Il troppo stroppia, si diceva una volta. Si teme, in quel caso, che possano affievolire l’appeal della montagna del silenzio, meditativa e rigenerante, trasformata in un caravanserraglio dei divertimenti mondani. Complimenti, anche per il passaggio, saggio, di cercare un miglior rapporto fra valle e valligiani per recuperare il concetto di comunità. In val di Fassa non tutti sono operatori turistici ma tutti sono ladini. Che questo lo dicano gli operatori fa ben sperare. Allo stesso modo piace pensare che la montagna vada vissuta per come è e non per come il mercato la vorrebbe e gli spot pubblicitari la presentano. È cosa rara, in tempi di record di presenze, dire che serve ridurre e contenere gli arrivi e che si deve puntare più sulla qualità e meno sulla quantità. Giusto poi puntare su un migliore rapporto fra residenti e ospiti. Leggendo tutto questo davanti al televisore che trasmetteva le immagini del giro d’Italia ho intravisto una “maglia rosa” ben protetta, convinta di poter contare su uno squadrone di gregari, di far parte di squadre alleate e amiche, di contare su molti direttori sportivi che elaborano strategie e alleanze non per vincere le tappe ma per puntare al giro. I ciclisti passeranno anche in val di Fassa dove già si annusa profumo di elezioni.
Per passare al secondo argomento, pensavo che una “maglia rosa”, in Trentino non debba contare sui gregari. Penso che un’intervista, dovendo rileggerla tre o quattro volte per tradurre il politichese nel “pratichese” risulti difficile e complicata. Se poi cerchi un po’ di chiarezza resti deluso. È arrivata l’ora della determinazione, della lungimiranza, di chi pensa al futuro, a una svolta per la propria valle; pensa al lavoro di domani, alla qualità della vita di una comunità alpina e alle sue attività economiche compatibili con l’equilibrio. Di solito, anche in medicina, prima di usare il bisturi o formulare una diagnosi con relativa terapia si si ricorre ad esami clinici e analisi di laboratorio. Si richiede il consulto con colleghi esperti, ma poi non si sta in gruppo, se la “maglia rosa” è destinata alla vittoria finale. Per il momento qui c’è solo il camice bianco.
Una vittoria, al giro ma soprattutto nelle urne, non è frutto del “non dir nulla per dir tutto”. Per coltivare le campagne di cui il Trentino ha bisogno servono contadini coraggiosi ed esperti.
Caro dott. Valduga chi affida riflessioni e critiche a questo “foglio liquido” tifa per lei. Sotto il camice bianco vorremmo vedere la “maglia rosa”, esibita all’ultima tappa. Ma chieda ai suoi “consiglieri”, che la seguono anche sul piano tattico, di aiutarla a cominciare la fuga verso il traguardo. Divagare porta fuori strada.
Le rammento, signor candidato presidente, l’incontro di un suo illustre predecessore, molti anni fa, in un paese della Valsugana. Rispondendo alla richiesta di un elettore che chiedeva alloggi popolari, il candidato esclamò serafico: “Ha ragione, faremo la politica della casa”. E l’elettore, smoccolando da par suo: “Eh, no, caro signore. Non so che farmene della politica della casa. Qui servono case, no politiche cioè chiacchiere. Quelle fatele al bar, se vi pare”.
Con tanti auguri.