Quando accadono eventi straordinari e drammatici che coinvolgono il collettivo, le narrazioni spesso possono subire successive trasformazioni, funzionali a rendere il racconto più confacente agli obiettivi del narratore. Succede così fin dal tempo delle favole. Più il lupo è grosso e cattivo e tale da ingurgitare una nonna intera e viva, più quella figura improbabile spaventa l’uditorio infantile, garantendo al narratore una piena regia dell’intero racconto e delle sue conseguenze. Su questo la riflessione del Golem.
I toni di questi ultimi giorni pare non esentino da questo processo dialettico anche la tragedia di Caldes che necessiterebbe forse di qualche silenzio in più e che invece sta cambiando, oltre alla percezione della convivenza e delle sue problematicità con i grandi predatori, addirittura anche la narrazione politica di questa terra. Si tratta di un mutamento iniziato impercettibilmente e andato poi via via strutturandosi, fino a ridurre la complessità dell’intera vicenda a quello che ormai sembra uno scontro “personale” e diretto fra l’orso e il presidente della Provincia autonoma di Trento, Fugatti.
Forse infatti a qualcuno non è sfuggita la progressiva sparizione dalla comunicazione istituzionale di ogni forma plurale. Non si parla più di Giunta provinciale, di maggioranza provinciale, di esperti e veterinari o di strutture tecnico-burocratiche. Adesso è il Presidente che, vestiti gli abiti mediatici di un eroe cavalleresco, affronta da solo l’orso per salvare le misere esistenze di un fantomatico popolo della montagna che, secondo questa nuova narrazione, vive in condizioni pressoché ai margini delle possibilità umane.
Gli indizi di questo cambio di passo confermano quindi, da un lato la centralità del tema in chiave elettorale e, dall’altro, la crescente convinzione personale del Presidente che pare sentirsi chiamato ad affrontare, con la consapevolezza di un Highlander, per il quale “alla fine ne rimarrà uno solo”, il titanico scontro con l’orso-mostro, nel quale riversiamo tante delle nostre paure, più o meno espresse. La gente parteggia sempre per l’eroe e il gioco mediatico dà quindi i suoi frutti immediati, almeno sul piano locale.
Non servono a nulla qui la ragione e il buon senso. Tutto è passione e così anche le “libere interpretazioni” della realtà, fatte dall’eroe, scivolano via dall’attenzione generale. Pochi sottolineano, ad esempio, che il limite di cinquanta orsi non è il massimo consentito, bensì il minimo adatto ad evitare l’estinzione ed ancor meno colgono il rischio insito nella retorica dei “poveri trentini” che qui piace tanto, ma che provoca reazioni negative nel resto del Paese e genera un pericoloso vittimismo locale che ci isola e ci rende arroganti e insopportabili. Quasi nessuno, infine, rammenta che, soprattutto nell’ultimo quinquennio, non si è fatto nulla di concreto, sperando che, manzonianamente, tutto si quieti e si assopisca.
Nel proseguo di questa sorta di “saga nordica” poi, Fugatti/Artù ha trovato sostegno nella sua “tavola rotonda”, composta non tanto dai suoi Assessori o dalla sua maggioranza o dall’intero spettro delle forze politiche, quanto da un certo numero di Sindaci/cavalieri pronti a battersi contro l’orso-drago. In questo, anche aizzando lo scontro fra Giustizia amministrativa e Presidente/eroe che, ormai padrone dell’onda emozionale, promette, per la fine dell’anno, prima la “deportazione” e poi l’eliminazione fisica di almeno settanta orsi. “Di trentadue che lui ne ha…Povero il re e povero anche l’orso…ah beh, si beh…”.
Qualcuno sorriderà per queste supposizioni, eppure la nuova narrazione incide sul rapporto diretto fra leader e popolo e toglie i filtri della critica. Lo abbiamo imparato nel Novecento. C’è sempre un “Lui” che possiede una verità comoda per tutti e le ricette per ogni problema. Così la fiducia aumenta a dismisura, mentre cala nei confronti dei suoi possibili competitori. Sta avvenendo anche qui, fra le Alpi trentine, dove i concorrenti di Fugatti paiono aver perso, almeno in questa fase, ogni minima visibilità: l’una confinata nell’assedio dell’ITEA e l’altro in una perenne e silente estasi mistica.
E mentre la “saga” prosegue, l’autonomia speciale appalta le sue funzioni allo Stato, non costruendo ancora un serio e razionale dialogo istituzionale costante con Roma e Bruxelles su questi temi. Accetta l’imposizione di un Commissario straordinario e nazionale per la gestione dell’accoglienza sul proprio territorio e dimentica ogni competenza diretta per la nomina dei vertici di uno dei più prestigiosi centri di ricerca. Di altro, per il momento, le cronache recenti non dicono.
Il Golem