Correva l’anno 2019, era il 22 novembre, quando dopo una contrastata assemblea al PalaRotari la maggioranza dei soci della Cassa Rurale Lavis-Val di Cembra-Mezzocorona decise (1.265 i voti a favore, 512 contrari e 5 astenuti) la fusione con la Cassa Rurale di Trento. Ermanno Villotti, il presidente, che sarebbe diventato vicepresidente della Cassa di Trento, cercò di giustificare il matrimonio con la nascita di “una banca cooperativa più robusta”. Disse ai contestatori dell’evento che sarebbe nata “una banca più robusta ma animata dagli stessi principi e dalla stessa attenzione al territorio”. Chi temeva la fusione perché paventava dismissioni e chiusure fu zittito come un inciampo sulla via del progresso: il futuro radioso di “una banca cooperativa in grado di garantire prodotti e servizi ottimali”. Chiusure comprese. Dichiarò il direttore generale Pojer: “Una Cassa Rurale con le radici nel territorio e la testa nella modernità”. Lo stesso che il 16 marzo 2023 ha fatto conoscere la decisione dei vertici della banca: entro l’autunno si tagliano i rami secchi.
Il giornale “Il T-quotidiano” ha annunciato che la Cassa di Trento (destinata a diventare la Banca di Trento), dopo aver perso l’aggettivo “Rurale” provvederà a chiudere entro settembre 9 filiali. Non perché i conti siano in rosso (il bilancio 2022 ha chiuso con quasi 19 milioni di euro di utile) ma si chiude “per essere più efficienti”. Più vicini ai soci (che contano nulla), agli anziani (che contano meno di zero), alle piccole comunità (che si vedono impoverite di un ulteriore servizio) non ha alcun rilievo. Niente più servizio della Cassa di Trento a Pressano, Sardagna, Cadine, Cimone e Garniga, Lases, Montesover, Faver e Grumes.
Simone Santuari, il presidente della Comunità della valle di Cembra, che quella sera del PalaRotari aveva contestato la fretta e la smania di fusione con Trento, letta la notizia che i vertici della banca vogliono chiudere gli sportelli di Montesover, Lases, Grumes e Faver, ha aperto il cassetto della delusione e della rabbia. Ed ha manifestato al giornale “Il T” tutta la sua amarezza di amministratore che cerca di tenere vive, coi denti, le comunità di villaggio. E per dare seguito alla sua protesta verbale è andato alla filiale di Cembra della Cassa di Trento per farsi cancellare da socio e chiudere il conto. Con ciò riscontrando la condivisione e il plauso dell’architetto-contadino Pier Dal Ri il quale non ha mai digerito la gestione e i risultati della serata della fusione al PalaRotari. (af)
Si lo so: quella di Simone Santuari, presidente della comunità di Cembra, che vuota il sacco ed abbandona la Cassa “ex rurale” è proprio una brutta faccenda. Questa volta la brutta Faccenda non è una signora poco attraente della zona di Verla. È una questione seria che oggi sul giornale che è anche di proprietà della Federazione delle Cooperative, viene ben sviluppata, con due pagine e richiamo in prima.
Inutile dire che mi pare completo, ben curato e con dovizia di particolari. Come si dice in questi casi: chapeau! Se poi lo dico io, sempre avaro e sospettoso su quel foglio, il mio giudizio vale il doppio. Perché il tema che solleva Simone Santuari, dopo il PalaRotari è stato un mio tormentone. È uno degli argomenti che in molti ormai ex cooperatori abbiamo portato a conoscenza dei lettori, soprattutto su altre testate. Testate che ora sono silenti quando non indifferenti e propense ad annunciare solo i bilanci trionfali e le riorganizzazioni con esuberi del personale e a tacere sulla desertificazione delle valli. Mai avrei pensato che il “T” dedicasse tanto spazio a questo argomento, che non limasse neppure una virgola. E che la Cooperazione, nella propria rassegna stampa, indirizzata e diffusa a tutti i soci cooperatori, ne desse opportuno risalto. Mi è giunta notizia di tutto ciò la mattina presto, prima che iniziassi la mia giornata sotto una pergola, da amici abbonati al servizio poiché fedeli cooperatori.
Simone Santuari, lo debbo dire pubblicamente, mi è sempre piaciuto: calmo, pacato, saggio, sensibile e generoso. Lo definirei il sosia che vorrei essere: una voce che, sin dalla notte del PalaRotari, lo ha contraddistinto come una gran brava persona, subito schierato, senza remore, a difesa dei bisogni dei suoi convalligiani.
Pacato (sin troppo), delicato e paziente, perfino credulone, forse anche un po’ ingenuo in una valle nella quale non mancano i faccendieri (da faccenda) e gli oligarchi federali. Quelli dal cuore di porfido e il pelo sullo stomaco che neanche lo Jeti … Sono coloro i quali avevano garantito che più del profitto a loro interessassero i servizi che la Cassa avrebbe erogato con prodigalità a chi in valle voleva continuare a vivere. Ecco, se il “T” ne parla e il mondo Cooperativo col suo silenzio acconsente, vuol dire che è in atto qualcosa di vero e di serio.
Io penso che potrebbe accadere quanto, in vario modo, si vocifera, hanno detto e scritto in molti e tanti hanno auspicato. Mi viene un dubbio, ed uso un altro cognome diffuso in valle, che forse nel mondo Coop, escluse le banche, qualcosa fiutano e probabilmente non sono tutti … Simoni.
Ero fra coloro che, il primo lunedì utile dopo il PalaRotari, poterono diventare “ex soci” della Cassa Rurale. Altri non potevano; altri erano rimasti intimoriti dal messaggio notturno, pre-assemblea, che paventava disastri e conseguenze gravi per chi avesse seguito i ribelli. Non tutti hanno potuto sedersi sull’argine del fiume ed attendere i risultati; capire quante bugie erano state propalate da quel palco. Non tutti hanno avuto la fortuna e la temerarietà di noi pionieri che hanno chiuso subito il conto. Per quanto mi riguarda, dopo un anno ho incassato 2,58 euro. Mi sono rivolto a una delle tante banche sul territorio la quale, non avendo le agevolazioni previste per le BCC, paga completamente le tasse. Lo sappiamo che le defezioni sono state tante e non mi stupirei se i soci cacciati fossero additati adesso quali colpevoli per la chiusura degli sportelli. Il fatto è che, anche in questa campagna elettorale ipotizzata viva e focosa, il mondo Coop più che vantarsi di ciò che fece don Sturzo dovrà imitare ciò che fa ora lo struzzo.
Debbo un “grazie” a Simone Santuari. Abbiamo detto, apertis verbis, tutte le buone ragioni che il cuore ci dettava; abbiamo battuto tutte le strade del dialogo, dalle riunioni intime a quelle allargate; abbiamo calpestato (e sofferto) i corridoi dei tribunali, abbiamo verificato come la gente sia veramente della buona gente. Troppo buona. È difficile capire perché un movimento, che sulla buona gente ha fondato le fondamenta, stia ora minandone i principi che sono il vanto della sua vitale sussidiarietà. Anche a leggere le riflessioni di quanti in Trentino possono essere considerati i padri, i padrini, i figli e taluni pure i padreterni del mondo Coop, ho la sensazione che taluni abbiano percepito il pericolo. E cioè che attorno ai pascoli si sono pericolosamente aperte crepe e burroni tanto che, alla sera, il rientro dei bovini si fa più problematico. Inutile annunciare nuove mungitrici se le stalle restano vuote. Ecco anche l’assessore alla cooperazione, che in materia di stalle vuote è certamente un esperto, qualche levata di scudi verso i nuovi Lanzichenecchi dovrà pur auspicarla con forza. Finora, nel dibattito in vista delle elezioni provinciali traspare una certezza: chi tocca il filo del credito cooperativo muore. I Trentini sono buoni, fors’anche creduloni. Ma quando l’acqua arriva ai gioielli di famiglia si affidano a madonne e Santuari.
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