L’annuncio della chiusura entro l’estate del convento di Trento dei frati cappuccini è stato pubblicato dal giornale “Il T” nell’edizione del 15 marzo. Una decisione in tal senso era nell’aria fin dal dicembre scorso ed è stata ratificata a Padova dal capitolo provinciale (il parlamentino dei frati) della provincia veneta di Santa Croce che ha giurisdizione sui 240 frati che vivono nei 25 conventi di tre regioni: Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Da sei anni, quindi, vi fanno parte anche i frati trentini, ridotti a una ventina, la maggior parte dei quali anziani. In una intervista pubblicata da “Il T”, il Ministro provinciale dei cappuccini, Alessandro Carollo, 47 anni, da Thiene (Vicenza) dice che “è stata una scelta sofferta ma non si poteva fare diversamente. Il crollo delle vocazioni, l’età avanzata dei religiosi e la riduzione del loro numero, non consente più di tenere in vita alcuni conventi”. Entro l’estate ne saranno chiusi tre: Trento, Bassano del Grappa e Rovigo.
Che fine farà il convento di via della Cervara a Trento, fabbricato 180 anni fa per consentire il trasferimento (1842) dei frati che vivevano nel convento di S. Croce (oggi sede della FBK, la fondazione Kessler)? Risponde fra Alessandro Carollo: “La diocesi di Trento, con quale sono in corso colloqui, ha già manifestato l’interesse a prendersi carico dei fabbricati e dell’attività legata al convento”. In particolare: la mensa “della provvidenza” avviata da fra Fabrizio Forti (morto a 67 anni nel 2016) e che dal 2000, con l’aiuto di circa 400 volontari, assicura la cena a persone senza casa o con gravi difficoltà economiche. C’è pure un servizio di distribuzione di pacchi viveri a 160 famiglie indigenti. E poi la biblioteca nella quale sono conservati 172 mila volumi fatti confluire anche da altri conventi trentini dismessi: Ala e Tonadico. Fra qualche mese, il “pace e bene”, la consueta frase di saluto dei frati (quelli di origine trentina non l’hanno presa bene proprio per niente) si perderà nei cassetti della storia. Infatti, la chiusura decisa dai Cappuccini rimanda alla fine del Settecento quando la soppressione di ordini religiosi e conventi fu decisa dall’imperatore di Vienna.
TUTTO COMINCIO’ CON IL “RE SAGRESTANO”
Il decreto di soppressione degli ordini religiosi fu diramato a Vienna da Giuseppe II d’Asburgo-Lorena (1741-1790) nell’autunno del 1781. Con tale decreto furono smantellati duemila conventi ed altrettante confraternite religiose, compresi gli eremiti, i cosiddetti “fratelli del bosco”. Furono costretti ad attaccare il saio a un chiodo 38 mila tra frati e monache che non praticavano la cura degli infermi e l’educazione della gioventù. Lo Stato etico volto al sociale ma, da figlio dell’illuminismo, con la sottomissione alle leggi della ragione. Nei territori dell’impero d’Austria restarono operativi circa 27 mila religiosi.
Sua madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo (1717-1780), aveva tentato, sena successo, di tenerlo sottomesso alla Chiesa di Roma. Cresciuto da un precettore gesuita che gli aveva fatto fare indigestione di norme e di divieti, divenuto imperatore, tra il 1781 e il 1785 Giuseppe II aveva diramato disposizioni “di tolleranza” nei confronti delle confessioni religiose diverse dal cattolicesimo: luterani, calvinisti, ebrei, ortodossi.
L’imperatore di Vienna intendeva in tal modo sovrapporre alla Chiesa cattolica il controllo dell’autorità dello Stato. Lo infastidivano, tra l’altro, le questue e le raccolte di denaro tra i devoti, denaro che poi finiva nelle casse della Chiesa di Roma. Insomma un’esportazione di capitali all’estero ante litteram. Creò un fondo di religione che avrebbe distribuito secondo il suo disegno. Anche i principi vescovi di Trento furono nominati dall’imperatore e, successivamente, confermati dal Papa di Roma. Per aver messo mano alla riforma e alla soppressione degli ordini religiosi, Giuseppe II finì nei libri di storia con il nomignolo di “re sagrestano”.
I CONVENTI E GLI ORDINI RELIGIOSI A TRENTO
Nel 1146, a Trento, fu rifondata (o riformata) l’abbazia di S. Lorenzo, situata fuori le mura della città, di là dall’Adige, abitata da monaci che seguivano la regola di S. Benedetto da Norcia (480 circa – 547 circa), fondatore del monachesimo occidentale.
Non era passato un secolo che, per ordine di papa Gregorio IX, nel 1234 i Benedettini furono costretti a consegnare il monastero ai confratelli di un nuovo Ordine religioso, i Domenicani, e a ritirarsi in un altro convento sotto il Doss Trento, vicino alla chiesa di S. Apollinare, fatto costruire dai monaci Benedettini di Vallalta (Bergamo) tra il 1146 ed il 1180.
Nel convento dei Benedettini, a S. Apollinare, avevano trovato rifugio per alcuni anni anche i frati “minori” di S. Francesco, che erano arrivati in città verso il 1221. Avevano predicato nella festa di S. Michele (29 settembre) e mentre un gruppo di costoro proseguiva verso la Germania, quattro erano stati lasciati a Trento “per edificazione del popolo”.
Nel 1248 i frati Minori costruirono un loro convento in quella che è attualmente Piazza Venezia e che dal 1828 ospita le suore Canossiane. Fra Pacifico realizzò poi un secondo convento a Riva del Garda (1266).
Nel Quattrocento dai Conventuali francescani si staccarono gli Osservanti che, nel 1452, a Trento costruirono il convento, intitolato a S. Bernardino, in prossimità delle “giare” del Fersina, tra via Grazioli e viale Trieste. A causa delle frequenti inondazioni del torrente, i religiosi trasferirono nel 1694 le celle ed il chiostro sul dosso dove permangono tuttora, tra via Grazioli e via Valsugana. Gli Osservanti (meglio conosciuti come Francescani) si insediarono con altri conventi a Arco (1481), Borgo Valsugana (1599), Pergine (1607), Rovereto e Cles (1631), Mezzolombardo e Campomaggiore [Lomaso] (1661), Cavalese (1669).
Nel clima di rinnovamento che precedette il concilio Tridentino, dal filone dei frati Francescani nacquero i Cappuccini. Il fondatore Matteo da Bascio, nel 1525 ottenne da papa Clemente VII la facoltà di restaurare il primitivo spirito francescano: maggiore austerità, disciplina, povertà totale, vita eremitica e libera predicazione. I Cappuccini fondarono conventi a Rovereto (1575), Arco (1585), Trento (1599) [accanto alla chiesa di S. Croce, a fianco del vecchio ospedale di S. Chiara], Ala (1606), Condino e Malè (1742).
A Trento furono realizzati anche due monasteri femminili dell’ordine di S. Chiara. Le monache furono dette le Clarisse. Uno detto di “S. Michele”, poi monastero di S. Chiara dal 1227 e fino al 1810 [si trovava accanto al vecchio ospedale cittadino che da questo prese il nome]; l’altro accanto alla chiesa della SS. Trinità (dal 1519). Qui, dopo la secolarizzazione napoleonica del 1810, furono ricavate le aule della scuola superiore, oggi liceo classico “G. Prati”. Le Clarisse, presenti anche a Rovereto (1646) e Borgo Valsugana (1672), dopo la soppressione del 1810 sono tornate a Borgo il 25 agosto 1984.
Nel quartiere tedesco della città di Trento (S. Marco), fin dal Medioevo c’erano gli Eremitani di S. Agostino. Nel 1625, per iniziativa del Magistrato consolare, furono chiamati a Trento i Gesuiti i quali, al principio del Settecento, fabbricarono un collegio e una chiesa, dedicata a S. Francesco Saverio, in fondo a via Belenzani. I Gesuiti furono soppressi nel 1773 da papa Clemente XIV che non aveva saputo – o potuto – resistere alle pressioni delle monarchie europee che temevano lo strapotere politico e civile (oltre che religioso) dei seguaci di S. Ignazio di Loyola. La Compagnia di Gesù fu ripristinata nel 1814.
Nel 1644, alle Laste, arrivarono i Carmelitani, favoriti dal patronato del condottiero Mattia Galasso il quale intendeva in tal modo procacciarsi un passaporto per l’aldilà. Il conte Galasso è sepolto sotto il pavimento, nella cappella del Simonino, accanto alla chiesa di S. Pietro a Trento. Nell’Ottocento, il convento delle Laste e l’annesso santuario furono trasformati in caserma per i soldati austriaci e stalla per i cavalli. Dal 1838 al 1870 il convento carmelitano delle Laste divenne un Triplice Istituto: per le partorienti, gli esposti e le mammane. Vi andavano a partorire le ragazze-madri (“per celare il frutto della colpa”, scrivevano i preti). Molte di loro lasciavano il figlio all’istituto degli esposti. Da qui i neonati erano poi trasferiti nelle valli (altopiano di Piné, Cembra, Cavedine) e allevati da famiglie contadine. Fu il destino di 8.700 di 11.800 neonati in 38 anni alle Laste.
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