Tito Maccio Plauto, commediografo latino, tra il 212 e il 207 a. C., nell’Asinaria (II, 4, 88), “la commedia degli asini” scriveva che “lupus est homo homini”, l’uomo è un lupo per l’uomo. Ciò che è accaduto sulla costa meridionale del “mare nostrum” è una tragedia, trasformata in tragica farsa dalle dichiarazioni di chi, per mandato, per servizio e per dovere avrebbe il compito di evitare che tutto ciò debba accadere. Se non si è in grado di farlo, si abbia almeno il pudore di tacere.
Qualche anno fa, a Lomé, in Africa, a Maria Assunta Zecchini (morta a 85 anni il 20 luglio 2022) domandammo le ragioni che muovevano frotte di giovani uomini e donne verso il nord del mondo. L’ottuagenaria missionaria laica di Molina di Ledro, da cinquant’anni tra i diseredati dell’Africa subsahariana, disse amaramente: “In Africa ci sono guerre, carestie, malattie. Non c’è futuro per i giovani che sono il 70% della popolazione. Se ne vanno da qui perché hanno poco da perdere. Rischiano la vita per schiantarsi ai piedi dell’Europa. Se ce la fanno e riescono a mandare a casa 50 euro al mese, danno da vivere a tutta la famiglia allargata”.
In questi giorni un ministro della Repubblica Italiana ha dichiarato che coloro che si sono schiantati davanti alla sabbia della spiaggia di Crotone se la sono andata a cercare. Che non dovevano partire. Andiamo a prenderli noi. Ipse dixit.
Andiamo a prenderli noi. A parole. Che fanno il paio con quelle dell’altro suo degno collega, quello con il crocifisso al collo e il rosario tra le mani: “Aiutiamoli a casa loro”. Gli aeroporti italiani sono pieni di aerei cargo in partenza per l’Africa, la Turchia, la Siria, per portare aiuti e sviluppo. Come nel 1967-1970, quando ci fu la guerra civile del Biafra, il tentativo di secessione delle province sudorientali della Nigeria. Alle popolazioni che morivano di fame l’Italia inviò una nave di aiuti umanitari. Compreso un numero indefinito di confezioni di pillole: per digerire.
I benpensanti che si commuovono a corrente alternata, di fronte alle immagini dei cadaveri portati a riva dalla risacca, hanno fatto girare sui social interrogativi del tipo: “Perché vengono da clandestini”? “E poi, hai visto che hanno il telefonino”, come se quello strumento oggi fosse ancora indice di ricchezza. Vengono da clandestini perché nei loro Paesi d’origine non ottengono il passaporto per espatriare e nei Paesi d’arrivo ben difficilmente avrebbero il visto per entrare.
Così va (male) il mondo nel 2023 ai confini sud dell’Europa che brucia armi e capitali nell’incendio ucraino alimentato dai missili di Mosca.
E le navi del soccorso? Quelle dei volontari sono confinate nei porti, possibilmente lontani dal fronte del bisogno. Già duemila anni fa Publio Virgilio Marone, nel suo poema epico, l’Eneide, scriveva:
“Huc pauci vestris adnavimus oris. Quod genus hoc hominum? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Si genus humanum et mortalia temnitis arma, at sperate deos memores fandi atque nefandi”.
“In pochi a nuoto arrivammo qui sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro, che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia; che ci dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra. Se non nel genere umano e nella fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli dèi, memori del giusto e dell’ingiusto”. (Eneide, Libro I, 538-543)
Virgilio scrisse tutto questo tra il 29 e il 19 a. C. Sono passati duemila anni e nulla sembra essere cambiato.