Pur essendo nel mondo cooperativo da una vita, Geremia Gios, già sindaco di Vallarsa, non ha timore di esporsi e di dire una parola chiara su ciò che sta accadendo nel mondo del credito cooperativo. Anche perché quel mondo lo conosce dall’interno essendo stato tra i candidati alla presidenza della Federazione delle Cooperative Trentine. Al punto che non ha timore di mandare a dire al presidente della Cassa di Trento, Fracalossi e al suo vice, Villotti: fate un passo indietro e date le dimissioni. In particolare, si riferisce alla progettata fusione tra la Cassa rurale Novella-Alta Anaunia e Cassa di Trento. Il dibattito innescato dall’annuncio ha causato preoccupazione e timori sul futuro dell’autonomia di gestione dell’intero comparto del credito cooperativo. Sul tema, Geremia Gios (1949) è intervenuto dalle colonne del “Nuovo Trentino” (direttore: Paolo Mantovan). Ora ribadisce i concetti sul nostro foglio liquido, iltrentinonuovo.it.
Dopo alcuni periodi difficili, negli ultimi decenni del secolo scorso le Casse rurali vedono una nuova stagione di sviluppo. Alla fine, al fine di garantire una serie di servizi a costi contenuti nella gestione dei capitali e nell’informatica, si dà vita a strumenti consortili tra cui Cassa Centrale delle Casse rurali (oggi Cassa Centrale Banca/CCB), Fondo Comune delle Casse Rurali, Phoenix (oggi Allitude) . Tali società hanno successo e iniziano ad operare anche con soggetti non trentini. L’aumento delle dimensioni che ne segue porta a condizionare le modalità con cui operano le singole casse rurali anche se queste ultime sono, in teoria, le proprietarie di tali società. Si ha così un rovesciamento dei ruoli invece di essere le società consortili al servizio delle casse rurali sono queste ultime al servizio delle prime. In maniera analoga nelle casse rurali l’obiettivo non è più, crescendo molto in dimensione e nella capacità di condizionamento dell’operatività delle singole Casse rurali. In maniera dapprima impercettibile, poi via via in misura sempre più evidente, l’obiettivo della gestione della singola Cassa rurale passa dal soddisfare l’interesse dei soci a quello di rispondere alle esigenze della stessa cassa.
Possiamo chiederci allora cosa significa per una Cassa rurale esercitare il credito in una logica mutualistica. Sostanzialmente avere differenze minime nei tassi praticati ai grandi e ai piccoli clienti, erogare il credito basandosi anche sulla fiducia che si può riporre in un dato operatore e non solo sulle dimensioni della sua azienda, essere un punto di riferimento credibile e affidabile per chi non può permettersi di pagare consulenti in ambito finanziario, avere con i clienti un rapporto basato sulla fiducia e non burocratizzato e in conseguenza rispondere velocemente alle richieste dei clienti, cercare di aiutare, anche con opportuni consigli, chi fa fatica a restituire il prestito. I soci dovrebbero avere condizioni di favore anche per far sì che partecipino attivamente alla vita sociale non delegando tutto al consiglio, ma portando il loro contributo tutte le volte che è possibile e scegliendo consiglieri onesti e affidabili. A loro volta presidente e consiglieri dovrebbero indirizzare la gestione della banca verso gli obiettivi statutari senza delegare tutto a direttore e funzionari.
Per contro se l’obiettivo è quello di consolidare l’azienda i tassi d’interesse saranno molto diversificati (a chi è grande ed ha alternative tassi bassi sui prestiti e alti sui depositi a chi è piccolo e senza alternative l’opposto). Ancora per decidere se dare o meno un prestito si utilizzerà un algoritmo (vale a dire procedure automatiche basate su parametri standard) soci e clienti in difficoltà vedranno rapidamente messi all’asta i loro beni.
Su come vanno le cose attualmente gli esempi potrebbero essere molti ma bastano i seguenti due. Il primo è relativo al fatto che, ultimamente, il credito al consumo è gestito da una società esterna a tassi molto alti (quando i tassi per i prestiti ai grandi investitori erano inferiori all’1% quelli al consumo erano attorno all’8%). Il secondo è relativo al fatto che circa un anno fa gli immobili messi all’asta per inadempienze bancarie erano, in Trentino, circa 1.000 mentre in Alto Adige meno di 100. Al tempo stesso i soci si disinteressano della gestione anche perché in occasione delle assemblee i bilanci sono praticamente incomprensibili, i consiglieri da eleggere non sempre sono conosciuti, lo spazio per il dibattito molto ridotto e, a volte, a votare contro si ha l’impressione che ci possano essere conseguenze negative. Il sistema sostituisce la mutualità relativa all’esercizio del credito con forme di solidarietà ottenuta attraverso la distribuzione di parte degli utili alle associazioni ed alla comunità locale. In tal modo si aumenta il consenso sociale, ma senza che questo si trasformi in partecipazione attiva alla vita della Cassa rurale medesima. Si avevano soci, ora si hanno clienti e beneficiati. La gestione viene sempre più affidata a consulenti esterni o è una conseguenza delle decisioni prese dalle società consortili che sfornano, a ripetizione, regolamenti che le singole Casse rurali sono obbligate ad approvare.
Infine un numero crescente di presidenti, consiglieri, direttori, inizia a sentirsi inadeguato a fronte della crescente complessità che la gestione della Cassa rurale comporta e vede nella fusione una modalità onorevole per “passare la mano”.
In un quadro di crescente difficoltà a rispettare i principi mutualistici si inserisce la riforma del credito cooperativo voluta del governo Renzi che si concentra sugli aspetti finanziari trascurando quelli sociali e quelli relativi ad una corretta gestione. L’occasione viene colta da Cassa Centrale Banca, il cui obiettivo è crescere senza valutare le eventuali ricadute in Trentino, per creare un gruppo nazionale in alternativa ad Iccrea (che raggruppa più di metà delle Casse rurali italiane). Il gruppo viene approvato dalle Casse rurali trentine cui viene fatto credere che, in tal modo, il sistema di credito cooperativo locale si sarebbe rafforzato. Sulla base di tale affermazione, infondata, come mostrano le evoluzioni attuali, la stragrande maggioranza dei consigli delle Casse rurali si adegua non valutando la possibilità di utilizzare strumenti alternativi che consentono maggiore autonomia alle singole casse. Fra questi ultimi, ad esempio, il fondo di garanzia (IPS) utilizzato in Alto Adige. Le poche voci critiche (tra le quali la Cassa rurale di Rovereto) vengono ignorate.
Va da a sé che, contrariamente a quanto alcuni affermano, la strada seguita non era obbligata dalle normative comunitarie o nazionali. Ad esempio in Germania vi sono 5000/6000 Casse rurali, negli Stati Uniti 15.000/16.000 piccoli Istituti di credito locali. In Trentino si è scelto, più o meno consapevolmente, di mettere al centro la finanza non i soci. In altri termini si è scelto di utilizzare metodi di gestione propri delle banche che operano in funzione del profitto trascurando il fatto che il credito cooperativo era nato per rispondere alle esigenze dei soci, Questi ultimi in larga maggioranza famiglie o piccole imprese. Le dimensioni ottimali sono molto diverse se si sceglie di operare in una logica finanziaria piuttosto che in una logica basata sulla fiducia. In questo secondo caso, come spiega la teoria sulla gestione dei beni collettivi, è molto difficile superare i 2000/3000 soci.
Contrariamente a quanto ancor oggi qualcuno afferma, la strada scelta non era obbligata e neppure necessaria. Seguire tale strada ha comportato applicare le regole europee pensate per le grandi banche (del resto Cassa Centrale Banca è una società per azioni) con conseguente difficoltà a rispondere alle specifiche esigenze locali. Inoltre tra le conseguenze dirette di tali scelte si possono ricordare: un aumento dei costi a causa della duplicazione (tra Cassa Centrale Banca e Casse rurali) di diverse funzioni; la perdita di discrezionalità e, quindi, di vicinanza alla realtà locale; la definitiva perdita di importanza dei soci; credito alle famiglie e alle piccole imprese difficile, tempi di istruttoria lunghi, importanza della conoscenza diretta pari ad un intorno di zero.
In altri termini nella nuova situazione le ragioni della nascita delle Casse rurali non sono più considerate, si riducono le quote di mercato, i soci non controllano più la gestione che è (in pratica) definita da direttore e Cassa Centrale Banca, vi è necessità di ulteriori fusioni. Fusioni che ora interessano non più le piccole Casse, ma lo stesso gruppo delle Casse rurali che ha definito la strategia negli anni passati ed ora scopre, con sgomento, che ciò che era ritenuto auspicabile per le entità minori, vale anche per loro.
Ora che i buoi in parte sono usciti ed in parte stanno uscendo dalla stalla la Federazione Trentina della Cooperazione che, in passato, tacitamente ha consentito quando non agevolato l’evoluzione che ha portato a questa situazione, scopre che per l’intero movimento cooperativo possono esserci dei danni e cerca di intervenire in ritardo e con scarsa credibilità. Quest’ultima persa quando, in occasione di una contestata (anche nelle modalità di conduzione dell’assemblea) fusione tra Trento e Lavis, si era ritenuto, per non disturbare il manovratore, di non prendere posizione in relazione all’istanza dei soci che chiedevano modalità trasparenti di decisione.
Cosa si può fare allora per cercare di limitare i danni? A questo punto ritengo che, per l’attuale sistema del credito cooperativo trentino sia praticamente impossibile operare in una logica di mutualità degna di questo nome. Ormai nella maggior parte dei casi il rapporto di fiducia tra cassa rurale e soci è venuto meno. Così come non c’è più, in moltissimi casi la disponibilità dei medesimi soci a sacrificare sia pure in minima parte gli interessi personali immediati a favore di quelli collettivi di lungo periodo. Senza una base sociale consapevole, interessata e partecipe non si può avere mutualità effettiva.
Il percorso avviato non può che essere completato con nuove fusioni, il potenziamento di Cassa centrale, il passaggio da Cassa rurale tradizionale a banca del territorio a proprietà diffusa (per ora). Scegliere una via di mezzo, dando luogo ad una guerra di posizione strisciante rischia di far perdere al Trentino dopo la mutualità nel credito anche la banca territoriale.
Ricordo, infatti, che in Cassa Centrale Banca le Rurali trentine sono in minoranza e che, a fronte di divisioni interne, il passaggio del controllo del gruppo bancario dal Trentino ad altro luogo diventa probabile. In proposito va osservato che quest’ultimo è un altro elemento sottovalutato da parte di chi ha favorito il processo in atto.
Infine va osservato che il capitale su cui si basa l’operatività dell’attuale conglomerato Casse rurali/Cassa Centrale è stato accumulato (in parziale esenzione di imposta) da generazioni di soci. Pertanto sarebbe giusto e doveroso che questi ultimi fossero chiamati a decidere se lasciare tale capitale alla futura banca o gruppo bancario unico o destinarlo a progetti di utilità sociale. Tra questi ultimi potrebbe esservi la rifondazione su basi nuove di entità che gestiscono il credito con autentica modalità mutualistica. Entità di cui Trentino ha un forte bisogno. Al tempo stesso i principali responsabili di questa evoluzione negativa per l’intera comunità trentina dovrebbero avere il pudore di lasciare le cariche ad oggi ricoperte nelle Casse Rurali e nel movimento cooperativo.