Metti una sera a cena. In quel di Nogaredo, dove il 14 aprile 1647 otto donne, accusate di essere “streghe” furono processate, condannate a essere decapitate e poi bruciate. Si chiamavano: Domenica Chemelli, Lucia Cadaven, Domenica Graziadei, Caterina Baroni, Ginevra Che Mola, Valentina Andrei, Isabella e Polonia Graziadei. Non erano che le ultime vittime di una caccia forsennata alla ricerca del demonio. E chi se non la donna, nell’oscurantismo della Chiesa del Medioevo, poteva dare corpo e carne al diavolo? In quattro secoli, tra il 1400 e la fine del 1700, in tutta Europa, fra 50 mila e 150 mila donne furono torturate, seviziate e, la maggior parte, bruciate sul rogo. La prima esecuzione della quale si ha notizia è del 1231, l’ultima, in Francia, nel 1757. Tanto orrore in nome di un potere e di una religione che fece strage e strame di innocenti. Colpevoli solo di essere donne e di essere, magari, tentate di rivendicare frammenti di libertà. È ciò che accade di questi tempi in Iran e in altre contrade dell’oscurantismo del mondo.
Un tema pesante per introdurre una serata leggera, un “baccanale” del tempo moderno, con vini, carni e contorni. Tali da richiamare al nostro architetto-vignaiolo, Pier dal Ri, immagini e abbinamenti fra la tavola e briciole di storia.
Nogaredo 1647. La data ricorda uno degli ultimi processi alle “streghe” e loro condanna al rogo. Ebbene, Tiziano Bianchi, colto promoter di vini e di tutto il suo narrare, mi ha mandato la locandina per informarmi che, con Rosaria Benedetti, avrebbe organizzato un “evento” all’osteria del Gallo nero, proprio a Nogaredo. Mi sono incuriosito. Nella piazza del centro lagarino, un incontro di carni alla brace, gli sterpi e le sterpaglie, con vini toscani. Visto il programma ho esteso l’invito ad amici che so non si sottraggono mai a simili torture quando anche il mistero e la sorpresa fanno da contorno. Se la via dell’inferno è lastricata di rinunce, a volte il sentiero del paradiso enogastronomico è a due passi da casa. Una trattoria che non conoscevo, benché trentino doc e origine del nord rotaliano, quasi ammuffito per età ed una mista, pigra, stanzialità, figlio del Teroldego e delle brezze altoatesine. Non sapevo dell’esistenza di questa contaminazione a sud dei Murazzi.
Un gallo nero di nome e di fatto, gestito da Vittorio, toscano verace, che non parla ma canta il “toscanese” puro. I vini proposti eran simil toscani, prodotti da un’azienda del 1885, “rotalianissima” e amica, di Paolo Endrici e famiglia. Il quale è andato a piantar radici in Maremma, “la budellona”. Radici, va precisato, di barbatelle del Sangiovese con vista mare. È rimasto, peraltro, con i piedi ben piantati a S. Michele all’Adige, all’ombra del “castello delle cento finestre”, affacciate su quella piana che si distende tra l’Adige e il Noce e manda vino in tutto il mondo e che è sempre un gran bel vedere. Ho diffuso la voce, perché intrigato, che in quel di Nogaredo il profumo della carne alla brace, il ragù di cinghiale e il lardo spalmato sui crostini, avrebbero fatto il fatale incontro con i vini della sterpaia dell’amico Paolo Endrici, rappresentati in quella sede dal figlio Daniele e il suo intimo staff aziendale.
Tutto perfetto, osteria piena, un Vittorio su di giri che ci ha accolti con tutte le “c” toscane al posto giusto e una tavolata, la mia, prevalentemente al femminile.
Donne che amano il vino, competenti, una addirittura, la mia cara moglie, quasi vegetariana, a conferma che talvolta la suggestione e il piacere della convivialità possano avere il sopravvento anche sul menù.
E le streghe? Nulla di quanto temevo. Al mio tavolo c’erano solo fate, ma il fuoco allegro e la legna ben accatastata mi avevano fatto temere il peggio. Il vino rubino poi, rosso e carico come il sangue di drago, nonché tutti i resoconti storici del 1650 che per l’occasione mi ero ripassato, riguardavano proprio quella piazza, appena fuori dalla trattoria. Ecco, un po’ me l’hanno fatto temere e rammentato.
Basta poco per rendere tutto suggestivo: un cantiniere in stampelle per una “gamba rotta” in campagna; una tavolata di donne eleganti che portano il bicchiere dalla bocca al palato come solo loro sanno fare. Un sottofondo di borbottio toscano fra il titolare e i camerieri e le chiacchere di un ragazzo il quale, con la sorella assente alla serata e tuttavia presente nei discorsi, prova ad addentrarsi nel mondo del vino. Un mondo dove mamma e papà, mio colto coetaneo, tengono ancora ben saldo il timone sia pure con un guinzaglio familiare, lungo e fecondo quanto basta, per seminare futuro nel mondo del vino.
A Nogaredo, in quella trattoria di streghe e Galli neri, ho capito che quel futuro ci sarà. Per rassicurare tutti, la sorella di Daniele, Lisa Maria, contitolare d’azienda ha dato di recente alla luce il primo simbolo di una continuità delle donne nel vino di casa. La bimba, non a caso, ha un nome ben augurante: Futura.