Nella Marcialonga del cinquantenario che si è disputata l’ultima domenica di gennaio nelle valli di Fiemme e di Fassa irrompe la presenza reale (o fantastica?) di un principe di sangue svedese. Il quale, raggiunta Canazei con gli sci ai piedi, ha disertato il punto di ristoro sulla pista e si è accomodato, solo e divertito, nella sala da pranzo di un hotel stellato. Dove, tra i commensali, s’era riparato pure Pier dal Rì. Il quale, portando nel cognome qualche rimasuglio di nobiltà, ha annusato il blasone e ne racconta l’epilogo in questo testo sapido come le pietanze che hanno accompagnato la sua partecipazione alla Marcialonga. Divenuta, grazie al personaggio misterioso, un racconto gustoso dell’altra faccia della medaglia del fondista.
Una cronaca dalla Marcialonga come la mia, penso che nessuno la avrà mai raccontata. Parliamo di una valle dell’impero romano a statuto speciale e feudale, che viene riconquistata, annualmente ma pacificamente, dai nuovi vichinghi, armati di lancia con punte ricurve e strani lunghi bastoni per spingersi all’assalto. Dopo un’oretta di Pasqualotto, ottimo giornalista sciatore che mi rassicurava alla tv del “tutti partiti”, anche noi siamo partiti, via Bolzano-val d’Ega, con l’astuzia strategica di chi, avendo abitato per anni a Canazei, contava qualche pagina di esperienze in più sul libro delle astuzie per evitare ingorghi probabili. La nostra mèta era importantissima. Si conosceva già il nome di chi era salito per primo sul podio a Cavalese, fasciato con alloro e medaglia.
Ad ogni buon conto, noi avevamo un traguardo diverso e, per certi versi, di prestigio per festeggiare una nostra amicizia con una “magnalonga”. Chez Rossi, il re di Fuciade, nel nuovo gioiello di Canazei, l’hotel degli artisti. Meglio rimandare la visita a dopo pranzo, per non rischiare di restare a bocca aperta senza poter gustare il celebrato menù. Non descrivo la carte, la cortesia del personale, la sontuosità originale degli arredi, le opere d’arte esposte che, da sole, valgono la vista. L’albergo è sito là dove i fondisti della Marcialonga girano per inforcare la via del ritorno. Nell’immaginazione collettiva si dice che, a quel punto, il più è fatto. Lo si pensa anche se la gara è soltanto all’inizio. Attraversando la pista per raggiungere il nostro posto a tavola abbiamo incrociato fondisti ciondolanti, bellissimi, felici e genuini, convinti che il Calvario, al confronto, non era dissimile. Credo che, in questi casi, la categoria dei “bisonti” sia inappropriata. Si tratta, infatti, di cerbiatti feriti, estremamente bizzarri e già appagati. Parevano ubriachi di vino e di frizzante incoscienza per ciò che ancora li aspettava più oltre. Sembravano turbati dal dubbio se fossero stati capaci di stringere i denti e lo stomaco fino alla fine. Era già passato mezzogiorno e la sala si stava svuotando di quanti non volevano perdere la chiusura del “cancello” a Canazei. Il varco dove scatta il primo invito cortese alla resa, a lasciar perdere con il resto della gara. Il racconto potrebbe finire qui.
Per i golosi aggiungo che il tavolo si era riempito subito di leccornie, “saluti” della cucina, bottiglie della cantina, screziate di polvere a rammentarne l’età (ed il prezzo). Piatti ben descritti, coi bovini da carne che avevano brucato fuori dalla porta, nei prati all’ombra del Gran Vernèl; il fungo era stretto parente di un porcino locale pur se emigrato altrove in cerca di miglior clima; il mugo era stato portato al cuoco direttamente da un cervo il quale, ogni mattina, fa visita alle fioriere d’ingresso. Tutto straordinariamente ordinario. La sala era rumorosa quanto la vita consente ma con vetrate che permettevano di esser aggiornati sulla gara che continuava con lo sbarramento ancora aperto. Già si sapeva che i due vincitori della 50. edizione della Marcialonga, maschile e femminile, indossavano i colori dei Paesi del grande Nord.
Già si vociferava che fra i partenti figurasse il principe di Svezia, appassionato di sci e valido atleta. Nessuno lo aveva ancora notato, intervistato o ripreso. Bravo lui a celarsi come un cervo nel bosco e bravi pure gli organizzatori che lo avevano lasciato in pace.
Ecco siamo a buon punto con il nostro pranzo e il tavolo piccolo, vicino al mio, viene occupato da un signore distinto, alto, atletico, elegante nei tratti. Saluta con un cenno e ci salutiamo come usa fare fra persone educate. Il mio sguardo gli ha comunicato molte cose, che lui, ne sono certo, ha compreso. Complimenti per la scelta, la sosta merita, è la medaglia d’oro per il suo palato visto che ormai non guadagnerà più il podio con lo sci. E lui si leva con discrezione il pettorale e lo ripiega, per evitare che possa essere scambiato, disonorandolo, per un bavaglio. O, forse, per togliere al curioso cronista in disarmo la possibilità di risalire alle sue generalità, di capire chi aveva preferito un pasto stellato rispetto al banco della pasta e luganega e del brûlé dei frati.
Con l’ignoto commensale ci siamo scambiati cenni di comune apprezzamento con un calice in mano e la garanzia della sua origine non irlandese. Il nostro pranzo è proseguito con il classico gozzoviglio piacevole del dopo pasto, la convivialità, gli onori allo chef e al proprietario gallerista. Tuttavia, con l’occhio continuavo a coltivare la mia curiosità regale. Consumato il desinare, il vicino di tavola, con discrezione e signorilità, si è rimesso il pettorale, ha saldato il conto, ha calzato gli sci ed è ripartito per destinazione ignota.
A quel punto, la Marcialonga del cinquantesimo, quella della presentazione in volo, la pista in città, il record di partecipanti, la giornata di sole e la neve da favola, resta in questo piccolo dettaglio. Un francobollo che molti non hanno potuto notare e vivere e che mi ha fatto balenare una supposizione. Che il principe svedese si sia concessa una sosta-pranzo degna del suo rango, con discrezione scandinava, prima di guadagnare il traguardo fra coloro che si sono concessi una piccola pausa.
La narrazione, da sempre condita con la fata Moena, la bella Soreghina, gli gnomi del bosco e il re Laurino, potrebbe essere il corollario ideale per un principe svedese che sosta a Canazei, mangia spaghetti alle cime di mugo, beve un sorso di Pinot nero e si rimette il pettorale, tenuto nascosto come un tovagliolo sulle gambe stanche. Solo per evitare che un cronista curioso potesse magari diventare un pifferaio magico.