Esce nei giorni di Natale un libricino (112 pagine) di rapida lettura. Già il titolo, “Cantami qualcosa pari alla vita”, muove la curiosità e stimola la fame di spiegazione delle parole. Perché di queste scrive Marcello Farina, il quale, da uomo della Parola, da prete della Chiesa di Trento, restituisce dignità e significato a: “Desiderio; gratitudine; bellezza; felicità; serenità; semplicità; gratuità; leggerezza; pazienza; umiltà; ascolto; ospitalità; perdere; sofferenza; noia; testimone; spiritualità; rinascere; abilità; incanto”.
Sostantivi e verbi, parole astratte, che danno concretezza alla vita di tutti i giorni. Che restituiscono un volto ai sentimenti delle persone che incontri per strada o sul posto di lavoro; ai giardini pubblici o nei luoghi della sofferenza. Tutti temi sviluppati nel corso degli anni sulle pagine della rivista “Tracce” e che sono approdati in libreria nella pubblicazione aggregata per i tipi di ViTrenD, l’editrice libraria di “Vita Trentina”.
Marcello Farina, già docente di storia e filosofia nei licei, fa largo uso (come suo stile) di citazioni e di rimandi ad autori della teologia e della filosofia: da S. Agostino a Dietrich Bonhoeffer; da Friedrich Nietzsche; da Wystan Hugh Auden a Franz Kafka, da Byung-Chue a Kari Hotakainen; da Georges Bernanos a Blaise Pascal; da Emily Dickinson a Rainer Maria Rilke, da Charles Péguy fino a Vasco Rossi. Non poteva mancare la grande filosofa del Novecento, più volte citata negli interventi e nelle pubblicazioni di Marcello Farina: Hannah Arendt: “Ci si ricorderà di affermare che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare?”.
Forse è da qui che prende le mosse quel “Cantami qualcosa pari alla vita”, agganciato al pensiero di scrittori e poeti. Un testo che denota la vastità della conoscenza e della sintesi che Marcello Farina sa fare del suo essere Homo Philosophicus. Vale a dire colui il quale riassume in sé il pensatore, l’artista e il matematico. Tutto questo potrebbe mettere in soggezione il lettore se non ne sollecitasse l’approfondimento.
Citando Rilke, Marcello Farina scrive: “Nasciamo, per così dire provvisoriamente, da qualche parte; soltanto poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno, più definitivamente”.
Nel dialogo con i lettori attraverso la distesa delle parole, l’autore rimanda a Paolo Ricca il quale rammenta che “il dialogo è fatto, almeno per metà, di ascolto… ed è l’ascolto che ci fa crescere”. Certo, l’ascolto impone umiltà, “ma essere gentili e umili non equivale ad essere deboli e accomodanti”. La relazione ha bisogno, scrive Farina, del volto dell’altro. E la civiltà dei volti “è in contrapposizione con la nostra civiltà che è quella dell’io arrogante, prepotente, invadente, che ha cooperato a creare gli squilibri e le tragedie del nostro tempo”.
Di citazione in riflessione potremmo continuare fino all’anno nuovo. Questo scrigno di parole recuperate e dispiegate da Marcello Farina va aperto nelle notti di fine dicembre come una lanterna che rischiara il cammino. Per i credenti sono i giorni che recuperano la nascita di un bambino ebreo di nome Yehoshua ben Yosef, Giosué figlio di Giuseppe; per chi ha altri riferimenti culturali è il tempo dei giorni corti e delle notti lunghe. Alle quali affidare il riposo e la riflessione: sul tempo che non lascia scampo. Perché la vita ritorna. Quando i giorni sopravanzeranno la notte, nel vortice del pensiero che fa rifiorire l’umanità.