Proseguiamo con il prof. Vincenzo Calì nell’esplorazione delle vicende che hanno accompagnato lo sviluppo del museo di storia del Trentino. Anche per comprendere le ragioni che, negli ultimi anni, hanno portato alla Fondazione del Museo storico in Trento.
Il progetto del museo prendeva concretamente forma con una prima mostra allestita nel giugno del 1922 nelle tre sale del “Magno palazzo” messe a disposizione dal direttore dell’ufficio Belle arti, Giuseppe Gerola, sotto la cui guida l’intero complesso del Buonconsiglio andava lentamente riprendendo l’antico splendore, offuscato da cent’anni di occupazione militare.
Il 29 giugno del 1923 si tenne al castello, sulla base dello statuto che aveva già avuto l’approvazione del consiglio comunale, l’evento tanto atteso dell’adunanza costitutiva della società del museo. L’assemblea provvide ad insediare la direzione del museo composta dal presidente, il sindaco di Trento Giovanni Peterlongo, i membri di nomina comunale: Vittorio Zippel, Bruno Bonfioli, Giovanni Ciccolini e il segretario comunale Riccardo Pedrolli. Vi faceva parte anche una rappresentanza dei 120 componenti l’assemblea stessa: Giuseppe Gerola, Guido Larcher, Giovanni Rigoni e Giuseppe Cristofolini.
L’incarico di direzione fu quindi affidato a Bice Rizzi, la quale si era attivamente adoperata già nel biennio precedente per la riuscita dell’impresa e si avvalse, dal 1924 in poi, della preziosa collaborazione di Ezio Mosna, entrato nel frattempo a far parte della direzione. Le cattive condizioni in cui versava il castello del Buonconsiglio resero particolarmente difficoltoso l’allestimento del museo. Dalle iniziali salette della giunta Albertiana, contigue alla sala del Tribunale di guerra, solo nel 1924 si estese ad altre tre sale.
Con gli anni Trenta gli urgenti lavori di restauro del piano nobile del Buonconsiglio, divenuto nel frattempo museo nazionale, su richiesta di Giuseppe Gerola comportarono il primo consistente spostamento del museo al secondo piano di Castelvecchio. L’allestimento, secondo il progetto inizialmente pensato, poté dirsi completato solo nel 1939 con la risistemazione della “sala della vittoria” curata da Remo Wolf all’interno della torre d’Augusto. Al museo non mancò in quei primi vent’anni di vita il sostegno di molti cittadini con lasciti e donazioni che contribuirono ad incrementare notevolmente le collezioni, gli archivi e la biblioteca. Dando così alimento alla preziosa collana di pubblicazioni del museo, come non venne mai meno il flusso dei visitatori che da ogni parte dello Stivale giungevano al luogo da cui, per dirla con Amelia Rosselli, madre di Aldo, Carlo e Nello, “trasudava amor di patria più che in ogni altro luogo d’Italia”.
Non favorì certo la crescita del museo il venir meno dello spirito dello statuto che individuava nel primo cittadino l’autorità preposta alla guida della società del Museo. Con il consolidarsi del regime fascista la città di Trento passò sotto gestione commissariale. Dal 1928 i vari podestà succedutisi (Prospero Gianferrari, Mario Scotoni, Bruno Mendini) delegarono la loro funzione scaricando la rappresentanza istituzionale su Guido Larcher e il carico organizzativo sulle esili spalle della direttrice.
La sostanziale indifferenza del regime alle sorti del museo trova conferma nel seguente passo autobiografico che Bice Rizzi inserì nella cronistoria dei primi cinquant’anni di vita dell’istituzione: “Ci sia consentito un ricordo personale. Tra il 1939 e il 1940 il federale di Genova in visita al museo accompagnato dal federale di Trento e da vari personaggi del fascismo locale, volle vedere anche la biblioteca. Rivolgendosi a chi scrive espresse il rammarico che ‘non fossi dei loro’. Risposi che mi era difficile esserlo, vivendo giornalmente tra pareti tappezzate di libri risorgimentali parlanti un altro linguaggio. Seppi poi, da un partecipante al banchetto serale, che il federale di Trento, con disappunto, precisava come in città tre donne gli dessero particolarmente fastidio: Ernesta Battisti, la consorte di un colonnello di cui purtroppo mi sfugge il nome e chi scrive. Comunque, ero in buona compagnia”.
Nel frattempo, durante il Ventennio, la contrapposizione al mondo germanico non venne delegata ai soli musei storici di Trento e Rovereto, ma si avvalse di mezzi ben più efficaci, finalizzati a una vera e propria musealizzazione del territorio: l’arco piacentiniano, voluto dal fascismo a Bolzano per celebrare la vittoria nel luogo dove doveva sorgere un monumento ai caduti austriaci; gli imponenti ossari; il mausoleo battistiano sul doss Trento, con il parallelo smantellamento a Bolzano del monumento a re Laurino e lo spostamento del monumento al poeta medioevale Walther von der Vogelweide.
L’allestimento del museo, secondo il progetto inizialmente pensato, poté dirsi completato solo nel 1939. Con il consolidarsi del regime fascista, con il patto d’acciaio e l’asse Roma-Berlino, il museo di Trento entra in una sorta di letargo. Imballate in diciotto casse le raccolte, dopo il bombardamento angloamericano di Trento del 2 settembre 1943, Bice Rizzi è costretta dal precipitare degli eventi a riparare a Marostica. Il prezioso materiale del museo, rimasto in balia dei nazisti prende la strada di campo Tures, prima tappa verso il Reich germanico dove, secondo i programmi della Kulturcommission nazista, avrebbe dovuto entrare a far parte della raccolta di trofei dei popoli sottomessi.
Rientrata a Trento nel maggio del 1945, Bice Rizzi fu nominata dal sindaco Luigi Battisti commissaria per il museo. Riprese il lavoro di recupero e ricostituzione delle collezioni, impresa che lei stessa definì né facile né breve, con il valido aiuto della nuova direzione composta da figure quali Nino Andreatta senior e di Giulio Benedetto Emert. Tendeva a valorizzare il contributo dei trentini alla lotta di liberazione, come il nuovo nome del museo imponeva. Fu allestita una sala dedicata alla resistenza e iniziarono a pervenire all’archivio e alla biblioteca le prime testimonianze della lotta antifascista e antinazista.
Sconfitto il nazifascismo, il modello nazionale che fin dalla nascita era stato la principale ragion d’essere del museo lasciò il posto all’opera di documentazione sugli episodi salienti della resistenza. Ciò avvenne senza soluzione di continuità rispetto alle vecchie sale espositive del museo, che mantennero l’impostazione degli anni precedenti riferiti alla narrazione di eventi quali la guerra civile spagnola, le campagne in Africa e in Estremo oriente.
2 – continua; (la precedente puntata è stata immessa in rete il 29 novembre 2022)