Il treno e l’autostrada, il traffico pesante e l’inquinamento, passando per i costi del carburante. Torna a tenere banco il dibattito, seguito da sussurri e grida, sulla conclusione dei lavori di quella che, da mezzo secolo, è chiamata Pi-ru-bi. Vale a dire l’autostrada della Valdastico che dovrebbe unire l’alto vicentino con la zona di Rovereto. E innestarsi come una bretella nell’asfittica A22, a due corsie, asse viario tra il nord Europa e il sud Italia. Promessa e voluta dagli esponenti democristiani dell’epoca (Piccoli, Rumor e Bisaglia), mai completata per l’opposizione dei “territori”, cioè di ambientalisti e popolazioni al seguito, il completamento dell’autostrada della Valdastico torna ad animare il dibattito. Le aquile di piazza Dante volano basso ma hanno una gran voglia di “menare le ali”. Chi non ha schiuso loro le uova nell’urna (e sono la maggioranza delle teste pensanti) punta ad altro: alla salvaguardia dell’ambiente non ancora devastato, all’uso razionale delle risorse, al treno del futuro che sarà. Ma anche l’alta velocità si scontra con le proteste di chi la dovrà subire nella fase di realizzazione. Tra il partito del dire e del fare si inserisce l’arch. Pier Dal Rì che annoveriamo tra i “liberi pensatori”. Perché tutto si lega e molto si s-lega. (af)
Strade sì o no. Se debbo dirla tutta, chi scrive è sempre stato per il sì! I romani si sono distinti come popolo colto moderno ed innovatore per la loro capacità di urbanizzare i luoghi dove si erano stabiliti. Le loro città erano dotate di acquedotti, di cloache, di strade e piazze ma anche di servizi che ritenevano utili per il benessere: terme, calidarium, impianti sportivi, teatri e arene per il divertimento popolare.
Oggi, essere contrari alle strade e al rinnovo o potenziamento delle ferrovie, a parer mio, è un controsenso storico, un abbassare l’interruttore del progresso ed assumere iniziative di interdizione ideologica e politica per rallentare, interdire o per modificare le soluzioni che vengono proposte.
Da chi? Non c’è dubbio: da chi è chiamato, in quel momento, a governare i territori. In Trentino, da sempre o quasi, parlare di strade e di ferrovie è argomento che mette in moto centinaia di comitati. È un tema che “scotta”, che accende quello spirito di gruppo per aggregare i volontari pensanti i quali, ormai, disertano con certificata allergia ogni iniziativa dei partiti.
Eppure abbiamo le ferrovie e una rete stradale che risale ai tempi dell’impero austroungarico; qualche tratta interna a quelli del podestà di Trento Paolo Oss Mazzurana e un corposo rinnovo provinciale di gallerie e passanti realizzati non appena la PAT (Provincia Autonoma di Trento) è subentrata nelle competenze statali.
Tutto ciò anche per il decisionismo un po’ spiccio dell’allora assessore Silvano Grisenti che visse i tempi della “magnadora piena”. Ora, sul tappeto e pure sotto, assieme alla polvere di tutta questa storia, troviamo la celebre strada che porta il nome di tre politici del Giurassico: Piccoli, Rumor, Bisaglia, la mitica Pi.Ru.Bi, per gli amici. Il dibattito è perenne, forse mantenuto in vita per animare gli animi e dare motivazioni alle fazioni in gioco. Rende frizzante il dibattito, quasi una sfida infinita fra Prosecco e Trentodoc. Inutile per una soluzione condivisa ma utile per mascherare i bocconi amari di tutto quanto non funziona.
Ecco si dirà, finalmente una voce positiva che invita a fare, a concludere quel sogno di un grande Veneto che sgronda sull’asta nord dell’Adige per poter intercettare e veicolare i traffici importanti da e nei mercati dove si parla tedesco.
Dispiace, ma non è così. Pur essendo, da sempre, favorevole a ogni tipo di strada, di sentiero, di pista ciclabile, di carreggiata agricola, dico “no” alla Pi.Ru.Bi e ne spiego qui le ragioni.
Esiste un progetto sovraregionale, oserei dire europeo, che prevede i grandi flussi di traffico che solcano l’Europa: da Lione a Budapest, da Palermo ad Amsterdam. E, guarda caso, passano tutti da e per Verona. Sia per i treni come per i mezzi gommati, Verona è quello che si definisce un nodo importante; un punto di scambio; un bivio per cambiare direzione pure il vettore.
Ci si riempie la bocca di intermodalità, che non c’entra nulla col calcio, e che significa trasferire sui treni gran parte dei traffici che ora sono incolonnati sull’autostrada trasformata ormai in una camionabile.
Sono anni che questo obiettivo è condiviso e perseguito in sedi governative ed Europea. Basti citare il tunnel ferroviario del Brennero, il grande interporto e centro intermodale di Verona. In attesa del completamento del tunnel e della piena capacità di trasporto della linea ferroviaria che sarà rinnovata, si sono adottate molte soluzioni tampone: un interporto zonale a Lavis, qualche provvedimento di limitazione della velocità e di sorpasso in autostrada, qualche miglioramento viario sulla Valsugana. Tutto, tuttavia, nei limiti della provvisorietà.
Ecco, non serve essere un profeta per capire che, se si vogliono governare i flussi ed avere il territorio sotto controllo, bisogna poter indirizzare i traffici lungo le vie programmate. Lo capiscono tutti che non servono, anzi sono dannose, le scorciatoie e i passanti in diagonale (vedi la Valsugana) per accorciare i percorsi e risparmiare sulle tariffe. Immaginate come sia difficile far caricare il proprio camion sul treno a Verona se arrivando da est sbuca a Rovereto.
Voglia di Veneto? Probabile, vista la partita. Tutto nasce da un desiderio di relazioni turistiche, di contatti amichevoli con le popolazioni che, per un breve periodo, assieme ai Lombardi furono nostri fratelli? È la voglia di immergersi nella valle dell’Astico che fu per lungo tempo, almeno l’alta valle, “austriaca”?
Se questo fosse, sarebbe ora di rimettere in sesto la strada e renderla un percorso fluido, scorrevole, ambientalmente piacevole e ricco di spunti per soste e visite. Può essere una bella e condivisa soluzione ma chiamiamola come si conviene: “Strada dei nostri politici che furono”. Vi si metta, però, un’adeguata segnaletica che dirotti i bisonti delle merci nei punti programmati per il proseguimento del loro viaggio in ferrovia. Altrimenti, saranno inutili tutti gli sforzi e gli investimenti che ben tre Nazioni, supportate dall’Europa, stanno facendo.