L’aquila di San Venceslao al dr. Dino Pedrotti, 90 anni, il neonatologo trentino che ha sconfitto la mortalità infantile. Sarà consegnata dal sindaco di Trento, Ianeselli, nel corso di una cerimonia a Palazzo Geremia, a Trento, martedì 8 novembre alle 17.30
L’aquila figura sul gonfalone della città di Trento dal 1930 ma è lo stemma ufficiale dal 1407, al tempo dell’insurrezione di Rodolfo Belenzani contro il governo del principe-vescovo Giorgio di Liechtenstein (1390-1419). Fu adottata come simbolo anche dalla Provincia autonoma nel 1988. Il sigillo della città è attribuito dal sindaco a persone, enti o associazioni che si sono particolarmente distinte nel servizio alla comunità trentina. Stemma del regno di Boemia dal 1198, l’aquila fiammeggiante di San Venceslao fu donata, nel 1339, dal re di Boemia a Nicolò da Bruna (Brno) il quale, l’anno prima, era stato designato dal re Giovanni di Lussemburgo quale principe (e vescovo) di Trento.
Novant’anni, laurea in biologia e, successivamente, in medicina e chirurgia; due anni di specializzazione a Pavia. Dino Pedrotti ha trascorso una vita tra le mura dell’ospedale infantile di via della Collina, a Trento, dove ha cominciato come Assistente (1961-1965), Aiuto-primario (1965-1985). Ha concluso quale Primario (1985-1997) del reparto di neonatologia da lui promosso. Andato in pensione, ha proseguito il servizio alla casa di cura S. Camillo fino al 2012, quando è stato chiuso il reparto di maternità.
Racconta il dott. Pedrotti: “Se all’Ospedalino abbiamo salvato tanti bambini, il merito va condiviso con una trentina di infermiere che andavano a prendere i neonati con l’autolettiga della Croce Rossa nei quattordici punti nascita della provincia e, a rotta di collo, li trasferivano all’ospedalino”. Non c’erano le culle termiche. I neonati erano collocati in una valigia; aveva un’apertura per far passare il tubicino dell’ossigeno e una boule con l’acqua calda per mantenere la temperatura costante.
“In ottomila viaggi, in tutta la regione, non si è avuto mai alcun incidente”. Una grande fortuna, è il caso di aggiungere, poiché nessuna delle infermiere era assicurata contro gli infortuni. “Un impegno volontario di straordinaria umanità”.