Le aquile hanno perso le piume e, probabilmente, anche un po’ di cresta. È una delle cartoline regalate dalle urne in provincia di Trento. La coalizione di destra porta a Roma cinque parlamentari (Biancofiore, Testor, Cattoi, Ambrosi e de Bertoldi); quella di centrosinistra deve accontentarsi del senatore Patton e della deputata Ferrari.
Pietro Pattón porta il cognome di un generale, Pàtton, che fu comandante della Settima armata americana che guidò lo sbarco in Sicilia (luglio 1943); poi della terza armata che consolidò lo sbarco di Normandia (giugno 1944). Tra le sue frasi celebri: “Meglio combattere per qualcosa che vivere per niente”. Il Patton trentino è un uomo mite che fa il contadino e il presidente della cantina di Lavis. Da metà ottobre sarà senatore della Repubblica Italiana, eletto con il raggruppamento di “Alleanza democratica per l’Autonomia”.
Ecco, Pietro Patton, 65 anni, da Meano, con i suoi 47.904 voti (41,1%) approderà a Palazzo Madama, a Roma, con il compito, lui che è fratello di frate Francesco “custode di Terra Santa”, di fare il “frate custode” dell’Autonomia trentina. Difensore a Roma di un territorio che dell’autonomia, probabilmente, non sa che cosa farsene. Visto che anche qui, come nel resto del Belpaese, il 25% degli elettori ha scelto Fratelli d’Italia. Ovvero il partito che più nazionalista non si può. Ed hanno un bello sbraitare i leghisti alla Zaia i quali, non da oggi (e lo hanno fatto, inutilmente, soprattutto quando al governo comandavano i “loro”) chiedono con insistenza l’autonomia regionale. Affidare un tema così delicato alla signora Meloni è come chiedere a Dracula di custodire le sacche di sangue dell’Avis.
Pietro Patton è il presidente della cantina di Lavis. Ma il brindisi per l’avvenuta elezione lo ha fatto a Cembra, nella cantina che a suo tempo fu inglobata, non senza infuocate polemiche, nella La-Vis di Lavis. Un brindisi veloce nella valle che, a dispetto del trend provincial-nazionale, ha votato in modo massiccio i seguaci di Alberto da Giussano. La val di Cembra, infatti, domenica 25 settembre, ha di gran lunga preferito la candidata del Carroccio, Martina Loss (2.455 voti). A Pietro Patton, che gareggiava con i colori dell’Alleanza democratica per l’Autonomia, sono stati attribuiti 1.752 voti. Grazie anche all’impegno e all’ingegno del consigliere provinciale Alessandro Savoi (Ciónfoli), la Lega ha sbaragliato in tutti i sette comuni della valle. Con una sola “patta”. Incredibilmente, a Giovo, sia Patton che Loss hanno ottenuto esattamente 503 voti ciascuno. Patton: a Verla, 286 voti; Palù, 124; Ville, 93. Loss: 239 a Verla; 164, Palù e 100 voti a Ville.
Epperò, nonostante la vulgata padana, in pochi anni lo spadone dell’Alberto da Giussano si è ammosciato. Dal trionfo del 2018, con il 27% dei voti, il partito del Carroccio è crollato all’11%, travasando i voti ai Fratelli d’Italia (fratelli-coltelli?) che dal 3,5% di cinque anni fa sono saliti al 18,8%.Niente male per un partito che qualche mese dopo le politiche del 2018 aveva conquistato il palazzo di piazza Dante. Che ha gestito come sapeva e come poteva la pandemia; che ha organizzato in house il concerto “spericolato” del Blasco nazionale; che tiene le riunioni di giunta nelle valli; che vagheggia e foraggia ospedali di periferia; che cancella con invidiabile nonchalance appalti milionari come quello del Not; che fa di ogni immigrato un delinquente e di ogni erba un fascio. A proposito del quale, invitati a “fasciarsi”, anche i Trentini hanno preferito l’originale. Slegati e confusi, convinti dal pifferaio magico di aver vinto ancora una volta, ai leghisti (di casa) non resta che piangere.