Saranno i mesi invernali a dire se e quanti bicchieri meriti la vendemmia dell’anno di pandemia, di guerra alle porte di casa e di elezioni politiche nazionali. Tempo due settimane e, “del ribollir dei tini, va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar”. Da oltre un mese, un giovane neolaureato, è impegnato nei campi della collina di Pressano e della piana Rotaliana in una vendemmia a macchia di leopardo. Queste le sue riflessioni, sulla porta della cantina di casa.
Anche quest’ anno volge all’autunno e, nella regione trentina, la stagione che dipinge di fuoco il territorio significa una cosa sola: vendemmia. Un detto comune è che in vendemmia “no se se lava e no se se segna” (non ci si lava e non si prega) stando ad indicare come non ci sia posto per pensieri e fatti al di fuori della buona riuscita del raccolto.
Inserire anima e corpo in vendemmia andrebbe fatto almeno una volta nella vita, così da comprendere cosa sia la fatica, la terra, l’agricoltura portata avanti spesso in ambienti ostici come solitamente ci si trova a lavorare in regione. Si finisce per apprezzare maggiormente cosa sia la vita contadina e cosa voglia comunicarmi ciò che sto bevendo all’interno di un calice. Un fresco laureato come il sottoscritto che vive però una seconda vita legata a filo diretto con la vite e l’ambiente agricolo-vitivinicolo, in vendemmia c’è stato molte volte. Sarà il retaggio antico delle famiglie rurali, sarà l’ambientazione amena di un maso storico, ma qui la parola vendemmia è qualcosa che si prende davvero sul serio. Sulle colline trentine la raccolta dell’uva si pratica da tempo immemore, da famiglie le quali fondavano la propria economia sulla campagna. Se l’annata andava male, non v’erano assicurazioni o contributi ma si faceva un altro buco sulla cinghia. Il lavoro era manuale e con mezzi, per noi antidiluviani, pesanti, poco performanti. Eppure le vecchie generazioni sono coloro che, piccone alla mano hanno scolpito il territorio, pezzo per pezzo, regalandoci con la loro fatica e le schiene spezzate, ciò di cui noi godiamo oggi. La raccolta è una sfida con sé stessi, significa lavorare sodo, ogni giorno, anche per un mese se gli ettari sono molti. E fa male tutto il corpo, e sembra non finire mai. Però una frase che risuona sempre, che probabilmente potrebbe essere scolpita all’entrata della regione trentina, è “mai zeder”. Mai cedere. Ed è nell’animo della vendemmia. Perché finito quel periodo ti senti in grado di affrontare qualunque sfida.
La vendemmia poi ha un’enormità di lati positivi. Si conoscono persone nuove, ci si ritrova attorno ad una tavola imbandita, si conoscono e si imparano quantità enormi di cose sull’uva e sul vino. Ci si ferma d’un tratto con un bicchiere di vino, a guardare l’ambiente che ci circonda, in silenzio. Quella sfumatura di blu che le montagne assumono verso sera. Lo sguardo di un amico. E si comprende la felicità del rallentare.
Grandi parole spese per un momento nell’agricoltura trentina. Dopo tutto questo c’è un dunque. Dunque, quest’anno, com’è stata la vendemmia?
Partendo dal fattore clima, che è fondamentale, abbiamo avuto uno degli inverni più miti che si ricordino in regione, seguito poi da un’estate con assenza di precipitazioni, per la quale un’annata simile và ripescata nel lontano 2003. Questo ha portato ad avere due facce di una medaglia che mostra problemi e punti a favore.
Nei pro inseriamo sicuramente la mancanza di malattie ormai endemiche nella vite quali oidio e peronospora, che date a livello fungino, senza umidità né precipitazioni, non sono riuscite a svilupparsi. Dunque a livello di sanità del prodotto, c’è stato sicuramente un buon risultato. Di contro questo clima non ha favorito l’acidità nelle uve. Che cosa significa tutto questo? Che quest’anno, a malincuore, non sarà certamente una grande annata per il prodotto ormai principe della regione: lo spumante Trento doc. La caratteristica principale delle bollicine trentine infatti è la fresca acidità che accompagna la beva. Assurdo comunque pensare che si possa sempre avere ottime annate, venendo da una, pressoché perfetta per le bollicine, come quella del 2021. Lo si auspica sempre dato che i numeri di questo prodotto sono ormai trainanti per l’economia vinicola interna. Si comincia pure a erodere la “montagna” Champagne, sia per nomea che per qualità, grazie ai prodotti di cui le cantine Ferrari fanno da capofila in regione. Nota a margine, per il quinto anno consecutivo le cantine Ferrari e il marchio Trento doc hanno guadagnato il titolo di “Sparkling Wine Producer of the Year”. In soldoni? Siamo più premiati dei decantati Champagne francesi.
Il resto delle uve segue a ruota. Dove si è patito il caldo non si è ottenuto un gran prodotto mentre in campi vigorosi o che avevano comunque una buona riserva di acqua, il risultato è comunque buono, aldilà di tutto. La cosa che definirà poi il termine del lavoro è la quantità d’acqua che sta precipitando in queste ultime settimane. Dopo molta siccità, le piogge d’autunno fanno ottenere un effetto non proprio positivo per la maturazione dell’uva.
Si è cominciata la raccolta verso la metà di agosto, con ben due settimane di anticipo rispetto al consueto, sintomo e segno di come il cambiamento climatico sia discorso sempre più serio. La maturazione delle varietà è stata piuttosto intervallata, tanto che si sta finendo la raccolta piuttosto tardi. Le vere somme comunque si potranno tirare solo con le prime lavorazioni sul vino vedendone le qualità organolettiche.
Attendiamo dunque dicembre per capire se e quanto ne berremo quest’anno. Ricordando che, come rammenta un detto trentino: “bisògn morir tési perché aldelà no i ten dà”.