Chi l’avrebbe mai detto? Duemila e rotti anni fa ci fu un Signore il quale, volendo redimere il mondo, faceva giochi di prestigio che i suoi accoliti chiamavano “miracoli”. Dopo un comizio (non elettorale), saputo che la folla aveva fame, disse ai suoi di provvedere da mangiare. Gli portarono cinque pezzi di pane e due pesci ed egli, alzati gli occhi al cielo come per dire: “Madonna, in che mani siamo finiti”, con un gesto moltiplicò pani e pesci tanto da sfamare una moltitudine di devoti. Affamati come certi politici. Era tanto bravo nel fare le moltiplicazioni (aveva frequentato la scuola in altri tempi) che furono raccolte molte ceste di “vanzaròti”.
Siamo proprio fortunati. Duemila e rotti anni dopo, nel palazzo delle aquile a Trento siedono i discepoli di quel prestigiatore universale. Capaci, incredibile!, di spendere poco più di sei milioni di euro per un concerto e di far certificare che ne sono tornati indietro ben 44, di milioni (in fila per sei, col resto di due). Miracolo da commercialisti prestati alla politica.
D’accordo. C’è la campagna elettorale e l’elettore medio, distratto dalle minacce nucleari e dal caro-bollette, va ricondotto alla realtà. Gli va ricordato che nel mese di maggio (dedicato al rosario che un tale con aspirazioni da statista teneva al collo, in mano e in ogni dove pur di far credere alle suore e alle vecchiette che lui sì che era un buon cristiano), nel mese di maggio si diceva, ci fu l’apparizione del messia del rock. Venne, vide, vinse. Una bella montagna di quattrini: tutti sudati, sia bene dirlo. Non ha ancora ottenuto la statua equestre e l’intitolazione di una via (magari al posto di Via Maccani), così come promesso e sottoscritto nelle regole di ingaggio. Ma per quei dettagli c’è tempo. Col prossimo governo e una legge “ad personam” (ricorda qualcuno?), sarà più facile intitolare ad un vivente una strada che la normativa vigente consente solo passati dieci anni dal trapasso. E benché il messia di Zocca voglia “una vita spericolata” possiede una zucca fine e non si augura (né noi auspichiamo, ci mancherebbe) una fine precoce. Magari per consentire alle aquile di intitolargli una via.
Passo doveroso anzichenò. Converranno i (pochi) lettori di queste note che spendere sei milioni di pubblico denaro per farne ritornare quarantaquattro (nelle tasche dei privati) merita pienamente la statua equestre e il nome perenne sulla tabella di una strada. Sempre che la Corte dei Conti, fatti due conti, non abbia da riscrivere i fondamentali della matematica. Già, perché a forza di riformare la “squola”, non siamo più sicuri che l’effetto moltiplicatore dei conti, propalato nei comizi, sia quello reale. Ai nostri tempi (siamo vecchi, signor lettore) arrivati alla sintassi del verbo, in latino, ci insegnavano che “spero, promitto e iuro vogliono l’infinito futuro”.
Quanto alle balle elettorali siamo all’infinito passato, che non passa mai.