Il mondo politico è alle prese con la campagna elettorale. Già ci si azzuffa per la raccolta delle firme, per un posto “al sole” che, nonostante la calda stagione, comincia ad essere velato dalle nuvole. Gli appetiti sono tanti, la mensa quest’anno si è rimpiccolita grazie anche alla stellare genialata di ridurre “i posti a tavola”: da 930 a 600. Sgomitando sgomitando, si cercano parentele, innamoramenti e amori nascono e muoiono con un twet nell’iperspazio del web. È la politica, bellezza! E intanto le stelle alpine, appassite all’ombra dell’opposizione, incarnano lo spirito del “liberi tutti”. Riassunto in questo apologo da un arguto Walter Pruner.
In un villaggio del Trentino, nel dopoguerra della ricostruzione, viveva, nella massima indigenza, una famiglia numerosa. Nonni, genitori e figli. Il lavoro era poco, la voglia di riscossa tanta, tanta quanto la povertà che attanagliava l’intera comunità.
La coesione di questa famiglia e il desiderio di arrivare a coronare il sogno di ripresa fecero in modo che i genitori e i figli si impegnassero quel tanto da portare il tenore della famiglia ad un certo benessere. Benessere interrotto, talvolta, da qualche litigio familiare, ma sempre superato.
Negli anni la famiglia nutrì ottimi rapporti nel paese e fu molto integrata. Collaborò con forza d’animo e spirito di generosità affinché anche le condizioni dell’intera Comunità migliorassero. E cosi fu.
Arrivò il tempo della carestia in cui l’intero paese patì e patì molto. I genitori, dopo aver controllato il granaio, e chiamati a raccolta i numerosi figli, decisero di chiudersi all’interno della tenuta con tutto il proprio grano.
Nel frattempo la carestia strinse nella morsa il paese. Chi bussava alla porta della ricca tenuta per chiedere collaborazione e grano, non ricevette risposta.
I paesani bussarono ancora nei giorni a seguire ma si sentirono rispondere che loro, al momento, stavano bene da soli e non avevano deciso se aiutare o meno la Comunità in questa grave carestia.
Batterono ancora al portone d’ingresso i paesani, la settimana seguente, nell’afosissimo mese di luglio, e si sentirono dire che dovevano attendere consigli da alcuni amici del Sud Tirolo.
Poi, a ridosso di quel ferragosto caldissimo, dopo altre numerose chiamate, finalmente arrivò la risposta, quella che i paesani non si aspettavano: dalla tenuta, i Signori dissero che avevano deciso di tenersi le mani libere. Lo sconforto pervase la comunità.
Passò l’estate, arrivo la fine di settembre, la carestia allentò la presa e i forni incominciarono ad emanare un caldo profumo di pane. Nel frattempo, era il 26 settembre, nella tenuta il grano finì, il portone si aprì: i signori, nella solitudine più assoluta uscirono e bussarono alle porte del fornaio che consegnò loro solo il pane raffermo rimasto. I signori, arrabbiati, sbattendo la porta si interrogarono: “Perché questo trattamento? Noi non abbiamo pesato sulla carestia, avevamo del nostro”.
Passò un altro anno e l’ottobre successivo gli stanchi nonni, convocata la famiglia, vollero salutare per l’ultima volta i nipoti, raccomandando loro di fare sempre, comunque, quello che è giusto. Perché, dissero, per ciò che è utile c’è sempre tempo.