Sarà ordinato vescovo domenica 11 settembre, a Perugia, Ivan Maffeis, 59 anni, da Pinzolo, nominato da papa Francesco nuovo arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. L’ordinazione episcopale è un rito compiuto da tre vescovi ordinanti. Nel caso di Ivan Maffeis (1963) il rito sarà presieduto dal suo predecessore sulla cattedra di San Lorenzo, il cardinale Gualtiero Bassetti (1942), affiancato dall’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi (1962) e dal vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve, Marco Salvi (1954).
La nomina di Ivan Maffeis alla cattedra arcivescovile umbra è avvenuta sabato 16 luglio ed ha incontrato vasto consenso e sincero rimpianto fra i devoti e gli amici delle parrocchie di Rovereto e di Terragnolo dove “don” Ivan ha svolto il suo ministero di parroco per meno di due anni. Da quando cioè, nel 2019, è tornato in Trentino dopo aver svolto il suo servizio di prete e di giornalista nella sede romana della Conferenza Episcopale Italiana.
Probabilmente lo ricordano in pochi. Giovedì 17 novembre 2005, il settimanale “Vita Trentina”, direttore Ivan Maffeis, uscì con un singolare titolo in prima pagina: “No grazie”. La notizia fece scalpore al punto che, il giorno seguente, ne scrisse in prima pagina sul Corriere della Sera Gianantonio Stella, una delle più brillanti firme del quotidiano di via Solferino, 28 a Milano. L’incipit: “Saranno anche anni di vacche magrissime, ma il senatore dell’UDC Ivo Tarolli, il fazista più fazista dei fazisti, è riuscito a trovare la mammella giusta. E ne ha spillato 5 milioni di euro, pari ai soldi tagliati per la bonifica dei siti più inquinati, per un convegno interreligioso della diocesi di Trento. Trento dove ha (coincidenza) il suo collegio elettorale. Una scelta così furbina da essere bacchettata dallo stesso settimanale diocesano che di questo convegno non ha mai sentito parlare: grazie, non li vogliamo. Prova provata che per certi sacerdoti, grazie a Dio, contrariamente all’antico adagio pecunia olet: il denaro puzza”.
Che cosa aveva scritto di tanto dirompente Ivan Maffeis, il direttore di “Vita Trentina”? “L’iniziativa personale del senatore Ivo Tarolli che in finanziaria destina alla diocesi di Trento 5 milioni di euro non richiesti, oltre a destare sconcerto e l’imbarazzo dei credenti, getta benzina sul fuoco di un anticlericalismo che giudica la Chiesa con la lente dei privilegi”.
Intervistato da Gianantonio Stella, Ivan Maffeis aveva spiegato: “Come possiamo, noi che facciamo le pulci a certi sprechi dell’autonomia stare zitti e incassare? Se Tarolli li avesse dati a una diocesi povera e disperata come quella di Locri, dove il vescovo, il nostro fratello trentino mons. Bregantini ha gravissime difficoltà quotidiane, non avremmo avuto niente da dire. Nessuno avrebbe osato. Ma a noi, no! Per una cosa che non abbiamo chiesto! Per un convegno di cui non sappiamo niente”.
Per ironia della storia, in quei giorni i vescovi italiani erano riuniti ad Assisi in Umbria (e Maffeis sarà arcivescovo di Perugia e Città della Pieve) ed il povero arcivescovo trentino Luigi Bressan che partecipava all’assemblea della CEI fu canzonato dai suoi colleghi: “Se la tua diocesi non vuole i soldi, fagli dare a noi”. E Bressan era caduto dalle nuvole poichè ancora non sapeva che il suo fidato collaboratore, il direttore di “Vita Trentina” lo aveva messo di fronte al fatto compiuto: “No, grazie”.
Quei cinque milioni rifiutati finirono probabilmente in altri sprechi. Ma questo per dire della libertà di pensiero e del coraggio non solo professionale di quel piccolo prete-giornalista, nominato vescovo dal Papa.
Ivan Maffeis (l’amicizia fraterna che ci lega farà premio sull’omissione di titoli che sanno tanto di orpelli medievali) è un uomo mite. Ed è un uomo buono che odora del profumo delle pecore, come dice Francesco. Lo conferma il messaggio del nuovo vescovo eletto che sabato 16 luglio, a mezzogiorno, è stata pubblicato nella cattedrale di San Lorenzo, a Perugia: “Affido a queste semplici righe, stese con l’inchiostro della speranza e della gioia, il primo contatto con voi. […] Offro la disponibilità ad incontrare e a lasciarmi incontrare nella maniera più ampia e diretta. Con un pensiero affettuoso vorrei raggiungere in particolare i presbiteri, i religiosi e le religiose; quindi, i malati e quanti, per le ragioni più diverse, sono feriti dalla vita e preoccupati per il futuro. Ai rappresentanti delle Istituzioni civili assicuro il contributo della comunità ecclesiale nella ricerca e realizzazione del bene comune”.
Parole scritte con l’inchiostro della disponibilità al dialogo e all’ascolto
Ivan Maffeis non ha mai voluto studiare da vescovo. Ne aveva la stoffa ben prima della nomina di questi giorni, dopo una laurea in scienze della comunicazione, l’insegnamento in due prestigiose facoltà romane (l’università Salesiana e l’università Lateranense), i dieci anni passati a Roma come uomo della comunicazione per conto della CEI, la conferenza dei vescovi italiani, della quale è stato pure sottosegretario, vale a dire il braccio operativo del presidente. Avrebbe potuto finire impantanato nel sottobosco ecclesial-politico della Roma vaticana. Ha saputo far tesoro della sua ingenuità di figlio della val Rendena, di uomo pratico del fare (bene) e goffo nelle chiacchiere da salotto.
Tanto che per non correre il rischio di cui sopra, ogni finesettimana si sobbarcava un viaggio in treno fino a Trento e poi in auto a Pinzolo. Un bacio all’anziana mamma e via di corsa a Sant’Antonio di Mavignola a dire messa per quella piccola comunità. Il “pendolare della Cei”, finito il secondo mandato di cinque anni, nel 2019 è tornato in diocesi a Trento per mettersi a disposizione come semplice prete.
Gli sono state affidate le parrocchie di Rovereto-San Marco e Sacra Famiglia, Trambileno, Vanza, Noriglio e Terragnolo. Ha passato i due anni di Covid a celebrare funerali in quantità industriale. L’ultimo, in ordine di tempo, sabato pomeriggio, due ore dopo la nomina a nuovo arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.
Alle ripetute sollecitazioni a fare il vescovo, fino a qualche settimana fa ha sempre detto di no. Un mese fa, Ivan Maffeis, prete della speranza e della concretezza, aveva anticipato a chi scrive l’intenzione di lasciare la canonica della centralissima parrocchia di San Marco a Rovereto per metterla a disposizione delle famiglie disagiate e di trasferirsi in un miniappartamento di un condominio a Lizzana. Per essere davvero pastore fra la gente.
Doveva fare trasloco ad agosto, ma da Roma è arrivato l’ordine (pare direttamente dal Papa) di mettersi a disposizione della Chiesa universale. Divenne prete nel 1988 e promise obbedienza. Del resto, nella vita non si può sempre dire di “no”.
Quando dodici anni fa prese il treno per Roma lo salutammo dicendogli che prima o poi sarebbe tornato vestito da vescovo. Lui si schermì e si fece una sonora risata. Sua mamma, Licia Binelli, lo guardò con quella tenerezza che solo le mamme sanno esprimere: “Spero proprio di no, povero figlio mio”. La mamma Licia se ne è andata a 79 anni il 20 gennaio 2020. Oggi avrebbe pianto di commozione.