La rassegna di immagini del grande fotoreporter era straordinaria. Ed il visitatore occasionale che assaporò con avidità le sfumature del bianco e nero non mancò di farlo notare all’artista della Nikon: “Splendide immagini, ma è facile scattare fotogrammi insuperabili con l’attrezzatura fotografica che lei possiede”. Il fotoreporter abbozzò un sorriso e non parlò.
La sera stessa, chiusa la rassegna, il celebre fotografo girò per le vie semideserte della città e si infilò in un ristorante che gli pareva adeguato: all’appetito e al portafoglio. Mangiò con gusto e, al momento di chiedere il conto, gli scappò un’occhiata oltre la porta aperta della cucina. Perbacco, quello che vide col cappello da cuoco era lo stesso visitatore della mostra di qualche ora prima. Lo fece chiamare dal cameriere. “Mi devo complimentare con lei, ho mangiato pietanze superlative. Ma certo, è facile far bene da mangiare con la batteria di padelle che si ritrova in cucina…”. Cotto e mangiato.
Il motoscafo dedicato lasciò l’ormeggio al molo di Venezia per attraversare il bacino di San Marco diretto all’hotel Cipriani, alla Giudecca. Ospite di amici dell’aristocrazia veneziana, la coppia in viaggio di nozze in Italia si guardava attorno confusa. Superata la soglia dell’hotel a cinque stelle si avviò verso il ristorante dove era attesa. Per arrivarci dovette attraversare un ampio parco-orto-giardino, inimmaginabile anche alla più fervida fantasia. Al centro del parco, sfavillante come un gioiello, una “baita” di montagna. Una montagna di padelle avvinghiate quasi alla rinfusa, tutte di alluminio, tutte consunte dall’uso prolungato. Uno stupefacente ammasso di pentole, un’idea geniale. Un’opera d’arte, spiegò Vittorio, l’anfitrione, di quello straordinario artista indiano che risponde al nome di Subodh Gupta (1964). Titolo “Cooking the world”, vale a dire: la “cucina del mondo” che in vaste aree del pianeta è fatta solo di una padella di alluminio e molta fame.
Nadia aggiunse che l’istallazione “è stata concepita come luogo di incontro e di discussione, un’opera d’arte relazionale, di condivisione”. Che non è soltanto cibo, evidentemente. Allestita su un’isola della Serenissima che fu terra di incontri e di commerci, di scambio e di confronto tra modi di dire e modi di mangiare, la “baita” di Gupta fa parte delle attrazioni della 59. esposizione Internazionale d’Arte della biennale di Venezia.
L’installazione, per la quale ci sono volute (il calcolo è sempre di Vittorio, che da buon filmmaker sa definire gli spazi) non meno di 40mila pentole e coperchi, fa bella mostra nei giardini “Casanova” del Cipriani. Si potrà visitare fino al 19 novembre. Così il catalogo, ma, c’è da scommetterlo, quella “baita” resterà in Laguna ben oltre la data stabilita.
Quanto al pranzo, sul pontile in vista di San Marco? All’altezza delle pentole, naturalmente.