Un libro, una vita. Intensa come poche. Da politico e parlamentare (per sei legislature: tre alla Camera, tre al Senato); da uomo delle Istituzioni (sottosegretario di Stato in sette governi) e da uomo di partito: della DC, ovvero la Democrazia Cristiana del Trentino-Alto Adige, per finire a fare il commissario del partito nella Sicilia della mafia.
Nato il 17 agosto 1939 (pochi giorni dopo Hitler avrebbe invaso la Polonia e scatenato la seconda guerra mondiale), Giorgio Postal (un passato anche da dirigente della RAI) oggi ricopre la carica di presidente del Museo Storico in Trento. E da appassionato di storia (gli ultimi sessant’anni vissuti in prima persona) ha pubblicato un libro di “Storie di vita vissuta”. Sono ritratti di personaggi trentino-sudtirolesi che hanno costruito l’autonomia di questa regione e contribuito a scrivere la storia di un popolo. Ne ha anticipato una sintesi su Salto-Bz del 7 maggio 2022 un altro appassionato di storia e già uomo-Rai, vale a dire l’imperdibile Maurizio Ferrandi.
Ci sono parecchie buone ragioni per raccogliere dagli scaffali del libraio e per sfogliare le oltre 160 pagine di un libro uscito dai torchi di stampa, a Trento, da qualche settimana. Si intitola “Brani di storia vissuta” con un sottotitolo, “Giorgio Postal racconta” che dice già quasi tutto sull’origine e sul contenuto del volume. La prima ragione è che questo agile percorso nella memoria arriva, oggi, da uno dei pochi protagonisti ancora attivi di quella stagione politica che portò, lungo tutti gli anni 60, dalla grande crisi della prima autonomia del Trentino-Alto Adige e dallo scoppio violento del fenomeno terroristico all’intesa politica che avrebbe condotto, mezzo secolo fa, alla nascita della nuova autonomia provinciale. Non sono rimasti in molti a poter raccontare quegli avvenimenti per averli vissuti in prima persona. Giorgio Postal è uno di loro. Giovanissimo, gli mancava ancora l’esame di laurea per completare il percorso di studi presso la Facoltà di Scienze Politiche a Padova, fu incaricato di svolgere un lavoro di coordinamento e segreteria presso la delegazione democristiana designata partecipare ai lavori della Commissione dei 19, voluta dal Ministro degli interni Scelba con lo scopo di individuare le possibilità di una soluzione politica ad una crisi che aveva raggiunto il suo apice proprio in quei mesi.
Da allora la carriera politica di Giorgio Postal si è sviluppata tutta nell’alveo della militanza nelle file della DC, con incarichi via via sempre più prestigiosi sia a livello nazionale che in campo regionale. È stato presente e attivo, anche e soprattutto come segretario politico dello Scudo Crociato Trentino, nei momenti cruciali di quella lunga, estenuante trattativa che doveva portare, anche sulla base del lavoro fatto proprio dalla Commissione dei 19, alla nascita del Pacchetto. Era presente, e lo racconta nel volume, al vertice segreto convocato a Cavalese, nell’estate del 1965, in casa del notaio Pantozzi tra Aldo Moro, che trascorreva le ferie in un paese vicino e il cancelliere austriaco Joseph Klaus. Fu allora, in una stagione segnata da gravissimi atti di sanguinario terrorismo con i quali si cercava in tutti i modi di impedire ogni forma di intesa tra Bolzano, Vienna e Roma, che fu prospettata l’ipotesi di procedere, di lì in avanti, con una trattativa diretta tra il Governo italiano e la Südtiroler Volkspartei, tra lo stesso Moro e Silvius Magnago, abbandonando il modello della trattativa diplomatica italo austriaca.
Il valore di questo racconto, ed è un’altra delle ragioni per sceglierlo, deriva anche dal fatto che Giorgio Postal a tutta la tematica della questione altoatesina nel secondo dopoguerra non si accosta solo con l’animo del reduce che espone le tappe di un percorso politico e umano personale, ma anche con lo spirito dello storico che su questi avvenimenti ha riflettuto, che li ha approfonditi lavorando sui documenti. Non è un caso infatti che il libro mandato alle stampe dall’editore IASA, porti la firma, in qualità di curatore, di un altro studioso trentino, Mauro Marcantoni, che, proprio assieme a Giorgio Postal, ha dato alle stampe alcuni anni fa una ricostruzione vasta e documentata dei passaggi che portarono, con i lavori della maiuscola commissione dei 19, alla nascita della seconda autonomia.
Il libro nasce sul ricordo degli avvenimenti ma anche e soprattutto sul ritratto degli uomini che li animarono. Postal ricorda con brevi tratti un’intera generazione di politici che si mossero su quel difficile e tormentato palcoscenico. Si affacciano al proscenio più significativi esponenti della DC trentina, in un’epoca nel quale quel partito occupava un posto di assoluta predominanza nel quadro politico locale ma c’è anche spazio, molto rilevante, per chi occupava, al tavolo delle trattative, il posto della controparte sudtirolese. Molte le pagine dedicate all’altoatesino Alcide Berloffa il cui ruolo dell’intera vicenda, esce dalle pagine del volume confermato come assolutamente fondamentale.
C’è un ultimo motivo, forse il più importante, per il quale occorrerebbe che il libro di Giorgio Postal, che tra l’altro continua il suo impegno come Presidente della Fondazione Museo Storico del Trentino, fosse letto e meditato anche in Alto Adige. È una visione, la sua, che viene da un politico, ieri, e da uno studioso, oggi, che si muove, dichiaratamente, da una prospettiva squisitamente trentina. Racconta il travaglio di quel mondo politico, i democristiani soprattutto, ma non solo loro, nel dover far conto, prima e dopo il “Los von Trient” di Magnago, con il fallimento del modello autonomistico degasperiano ma con la capacità di recuperarne le fondamentali ragioni ideali nell’accettazione di una nuova autonomia e nel lavoro compiuto anche a Roma, per far sì che quel progetto andasse in porto. Quello di tenere le spalle ben girate verso sud ed ignorare ostentatamente quel che succede, quello che si pensa e quello che si vorrebbe a 50 chilometri di distanza è un vezzo che, in Alto Adige, non appartiene solo al mondo sudtirolese.
I libri come quelli di Giorgio Postal potrebbero servire a moderare questa attitudine a far capire che esiste comunque una storia comune che va riletta in funzione di un presente e di un futuro nei quali comunità storicamente legate non possono pensare di essere tenute assieme solo da un’autostrada da una ferrovia.