Sono rimasti in pochi a rammentare quel 25 aprile del 1945 quando l’avanzata degli angolo-americani, l’insurrezione nel nord Italia, la tragica fine di Mussolini, lo sbando dei repubblichini di Salò, costrinse i tedeschi alla fuga. Dopo l’8 settembre 1943, il Trentino, l’Alto Adige e il bellunese erano stati aggregati nell’Alpenvorland, la zona di operazioni delle Preapi. Sottratte al controllo della Repubblica Sociale Italiana di Salò, le tre province divennero territorio del Terzo Reich tedesco, amministrate da un Gauleiter, Franz Hofer, Commissario supremo del Tirolo. Responsabile per la provincia di Trento fu nominato l’avv. Adolfo de Bertolini il quale svolse con saggezza ed equilibrio il compito di difensore del “suo” popolo. Dal 25 aprile ai primi giorni di maggio del 1945 lo sbandamento dei tedeschi in fuga dilagò anche per le valli del Trentino. Fu in quei giorni che si consumarono le stragi naziste di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme. A distanza di tanti anni resta il dubbio: si potevano evitare? La maestra Rita Pernbrunner Bazzanella (1920-2016), da Stramentizzo, dichiarò a chi scrive (1995) di aver scongiurato i partigiani, che erano scesi dai boschi della val Cadino, a lasciar passare i tedeschi in ritirata. Con lei anche altre persone di Stramentizzo. La guerra stava per finire: questione di ore o di giorni. “Lasciateli andare”, aveva implorato. Raccontò: “Oltre ai partigiani c’erano alcune “teste calde” in paese che avrebbero voluto mostrare i muscoli, adesso che i tedeschi parevano allo sbando. Lasciateli andare, li implorai. Inutilmente”. Nell’anniversario che ritorna in un anno segnato da una nuova guerra nel cuore dell’Europa, rivediamo i fotogrammi di quei giorni. È storia di ieri, pare cronaca di oggi.
Sul finire del mese di aprile del 1945, sfondata la linea Gotica lungo l’Appennino tosco-emiliano (tra il 9 e il 24 aprile) gli angloamericani erano passati oltre Bologna. Ripiegati verso nord, i militari tedeschi, sbandati e in fuga, si erano uniti al Panzer Korps della 14a armata, dislocato dall’Altissimo al Pasubio. A loro erano stati aggregati gli allievi paracadutisti e i soldati della “scuola di alta montagna delle SS” di stanza a Predazzo. Erano circa trecento uomini, appartenenti alle Waffen SS e alla divisione paracadutisti, i quali si erano collocati nella valle di Fiemme dopo l’8 settembre 1943.
La primavera aveva ancora temperature invernali. In val di Fiemme, i tedeschi temevano attentati da parte dei “ribelli” che si sapevano annidati sulle montagne. Il 28 aprile 1945 era sabato. A Piazzol, nei pressi di Molina di Fiemme, in un conflitto a fuoco morirono un partigiano (Luigi Dal Bianco) e un soldato tedesco.
Il 29 aprile 1945, in una palazzina della Reggia di Caserta si erano tenute trattative segrete che avevano portato alla resa incondizionata delle forze nazifasciste in Italia. Per la firma dell’armistizio fra angloamericani e tedeschi si erano dovute attendere le 14 del 2 maggio. Da quel momento era stato reso operativo il cessate il fuoco su tutto il territorio italiano.
Proprio quel mercoledì tre giovani furono uccisi dai tedeschi a Castello di Fiemme. Si chiamavano: Amerigo Seber, Ciro Corradini, Vittorio Betta. Alle 18.30 del 2 maggio, “Radio Londra” aveva confermato la notizia dell’armistizio. Finalmente, la guerra era, o si credeva, finita. Ascoltata la notizia, il parroco di Ziano di Fiemme, Modesto Lunelli da Calavino (1906-1996) aveva fatto suonare le campane. Verso le 19, alla periferia dell’abitato, alcuni partigiani, armi in pugno, avevano fermato e disarmato, senza resistenza, reparti tedeschi provenienti da Predazzo. Si stavano dirigendo a Cavalese per consegnarsi agli angloamericani.
Le testimonianze raccolte dai carabinieri di Bolzano (ottobre 1945-gennaio 1946) e inviate alla procura del Tribunale militare di Verona nel “Procedimento penale contro ignoti” parlano di “circa 200 soldati tedeschi fatti prigionieri e disarmati dai partigiani”. I prigionieri furono alloggiati presso due alberghi di Ziano: “Polo” e “Aurora”. Qualcuno riuscì a fuggire, a raggiungere Cavalese e dare l’allarme. La reazione tedesca arrivò che era notte. Benché fosse maggio, era nevicato. Un’autoblindo, proveniente da Panchià, cominciò a sparare a raffica contro i partigiani che s’erano appostati sulla strada. Testimoniò don Lunelli: “Imbruniva. Dopo un intenso fuoco di sbarramento, i Tedeschi inferociti entrarono in paese, liberarono i commilitoni che erano stati fatti prigionieri dai partigiani e da alcuni di Ziano che si erano prestati a farne la guardia”. Scrissero i Carabinieri in una relazione dell’autunno 1945:
“Rinforzi tedeschi sopraggiunti iniziarono una reazione a fuoco che provocò l’uccisione di 13 persone e il ferimento di altre 14. Poscia incendiarono e devastarono16 abitazioni private. Alle 9.30 del successivo giorno 3, sempre per i fatti della sera precedente, furono arrestate e portate fuori dal municipio le autorità ivi convenute (parroco, segretario comunale e altri) tenendole per ore sotto la minaccia di fucilazione. Nella circostanza, il paese fu sottoposto a saccheggio e dagli spacci e case private fu asportata [una] ingente quantità di derrate ed oggetti vari per un valore di circa 3 milioni di lire. Furono pure trattenuti in una stanza del municipio 13 ostaggi, dei quali uno veniva assassinato lungo la strada Ziano- Predazzo e il corpo gettato in una fossa fiancheggiante la strada stessa, ove venne rinvenuto dopo quattro giorni e identificato per l’ostaggio Giacomuzzi Antonio” (L. Gardumi, Maggio 1945: “A nemico che fugge ponti d’oro”, la memoria popolare e le stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme, Fondazione Museo Storico del Trentino, 2008).
La sera del 2 maggio, dalla val Cadino erano scesi a Stramentizzo otto-dieci partigiani. Dopo averli rifocillati, la popolazione li aveva invitati a tornare in montagna fino a quando i tedeschi non avessero lasciato la zona. Il parroco di Stramentizzo, Celestino Vinante da Tesero (1893-1973), aveva pregato i partigiani di “starsene fermi, per impedire maggiori mali”. Angelo Gabriele Rossi (1892-1945), poi ucciso dai tedeschi, aveva apostrofato i partigiani: “Ma cosa volete fare? Rovinarci? Tornate a casa”. Tra di loro c’era anche Achille Rella, da Cavalese (1919-1945), comandante di una formazione partigiana dislocata in val Moena.
L’indomani, due di costoro si spostarono con una motocicletta fino a Miravalle di Capriana. Intendevano tagliare alcuni alberi da collocare, di trasverso, sulla strada per fermare il transito di mezzi militari tedeschi da Cembra verso Fiemme. In mattinata, un sergente delle SS di stanza a Predazzo era stato mandato a Trento con tre camion per recuperare e condurre in val di Fiemme i soldati tedeschi in ritirata dal fronte dell’Altissimo-Pasubio. L’autocolonna si mosse da Lavis lungo la destra dell’Avisio, preceduta da un’autolettiga con una vistosa croce rossa e da alcune vetture cariche di feriti e di vettovaglie. A Verla di Giovo avevano ottenuto garanzie dai rappresentanti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che la via per Cavalese sarebbe stata libera e non avrebbero avuto noie.
Lo scontro a fuoco fra i due partigiani (Carlo Tonini e Franz Kollmann, un disertore tedesco) e una Kübelwagen (una vettura della Volkswagen molto popolare negli anni della guerra) che precedeva la colonna di autocarri, avvenne alle 13.30 del 3 maggio 1945. Una raffica colpì due soldati tedeschi e ferì mortalmente un capitano medico, il quale sarebbe morto l’indomani. Tonini riuscì a fuggire tra i campi verso il greto dell’Avisio; Kollman, colpito da una sventagliata al torace, morì a tarda sera.
La vettura con i due soldati uccisi e il capitano medico moribondo fu condotta fino a Molina di Fiemme da un commilitone delle SS e abbandonata, perché guasta. Fu lasciata davanti alla casa del pittore Giovanni Battista Daprà, detto Tisti (1899-1982), il quale avrebbe poi affrescato la facciata della sua casa con scene dell’incendio dell’abitato e della rappresaglia nazista di Molina di Fiemme.
Nel frattempo, la colonna di autocarri proveniente da Lavis, superato un primo sbarramento predisposto a Miravalle, si era dovuta arrestare a un secondo blocco. Gli occupanti si arresero ai partigiani. Erano una cinquantina di militari, non tutti delle SS, comandati da un tenente. Questi fu rinchiuso nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri a Molina. I soldati furono disarmati e condotti nella segheria del barone Felix Longo von Liebenstein (1888-1961). Da qui, a tarda sera furono spostati a malga Zisa per passarvi la notte riparati dal freddo.
All’alba del 4 maggio un battaglione di SS, salito dalla val di Cembra, mise a ferro e fuoco Stramentizzo e Molina. Nonostante l’armistizio e l’ordine di deporre le armi, la rappresaglia fu feroce. Fatte uscire le donne e i bambini dalle abitazioni, uccisi gli uomini che non erano riusciti a fuggire, i nazisti appiccarono il fuoco alle case con bombe incendiarie e bombe a mano. Una violenta sparatoria si ebbe vicino alla segheria del baron Longo, dove si erano asserragliati alcuni partigiani e dove erano state ammucchiate e nascoste le armi e le munizioni sequestrate ai soldati tedeschi che si erano arresi il giorno precedente. Lungo la strada i primi morti. Alcune donne di Stramentizzo riuscirono a ripararsi in una galleria, sotto un ponte.
Scrisse nel suo diario, la maestra Rita Pernbrunner Bazzanella: “Alle 5 circa del 4 maggio fummo destati di soprassalto: si sparava in continuazione, con insistenza. Che cosa stava succedendo? O i partigiani avevano visto i reparti tedeschi che transitavano sulla strada della val di Cembra ed avevano iniziato a sparare, oppure i reparti tedeschi in arrivo erano stati avvertiti che a Stramentizzo erano annidati i partigiani e perciò avevano essi aperto il fuoco. Quale delle due versioni è quella vera? La verità non si saprà mai”.
Il bilancio fu di 31 vittime (17 partigiani e 14 civili massacrati nelle loro abitazioni), 9 case date alle fiamme a Stramentizzo e 19 a Molina. I militari tedeschi ebbero 30 morti e 10 feriti.
I morti di Molina: Luigi dal Bianco; Max Löbel; Franz Kollman; Raimondo Braito; Angelo Marazzato; Rosario Spina; Carlo Corradini; Andrea Bortolotti; Iginio Weber.
Le vittime di Stramentizzo: Pietro Bancher; Assunta Pergher; Orsola Cia Varesco; Ida Cavada Ausermüller; Angelo Gabriele Rossi; Amadio Rossi; Attilio Bazzanella; Alberto Ausermüller; Narciso Vanzo; Giacinto Polo; Silvio Larger; Willy Wiens; Lino Rizzoli; Achille Rella; Elio Martini; Luigi Tonini; Francesco Marchetti; Alfonso Giulietti; Vittorio Vettori; Virgilio Zancanella; un partigiano slavo detto “Tito”; Giorgio Marincola.
Quest’ultimo era un giovane di colore, nato a Mogadiscio, in Somalia, nel 1923, da padre italiano (maresciallo dell’esercito di fanteria che occupava quella regione dell’Africa) e da una ragazza della tribù berbera dei Cabila. Portato in Italia a tre anni, studente di liceo, nel 1944 entrò in clandestinità. Fatto prigioniero, fu trasferito nel lager di Bolzano. Il 30 aprile 1945 Giorgio Marincola tornò libero. Avrebbe potuto dirigersi verso la Svizzera, raggiunse invece la val di Fiemme. Per una beffa del destino restò ucciso a Stramentizzo il 4 maggio 1945 nel corso della rappresaglia nazista.
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