Anche se dal 1° aprile, l’uragano Covid-19 è stato ridimensionato a “tempesta tropicale”, la pandemia non è ancora endemia, e l’aumento del numero dei contagiati, sia pure con varianti dalle ali tarpate (dai vaccini), mantiene elevato il livello di allarme. I 1605 morti in Trentino (se non “per” covid, almeno “con” il covid quale concausa del trapasso), dicono che in due anni la pandemia ha colpito duro. Il numero dei contagiati è di 144.792, pari a un terzo della popolazione della provincia autonoma di Trento. Il numero più elevato di morti si è avuto il 24 gennaio 2021 con 32 vittime (20 i morti il 17 aprile 2020, quando il vaccino era ancora lontano). In Italia i morti per/con Covid-19 sono stati, fino al 2 aprile 2021, oltre 160 mila. Come se Trento e Rovereto fossero state cancellate dalla faccia del mondo. Per chi ce l’ha fatta, per chi è riuscito a sopravvivere e tornare a vivere dopo settimane di terapia intensiva, restano i postumi. Talvolta, pesanti, di un long-covid che, assieme alla sofferenza, alimenta la memoria. L’infezione ha reso più deboli, più fragili, predisposti alla commozione e alle lacrime. Una testimonianza.
Amedeo è un caro amico che ce l’ha fatta. Anche se è uno stimato artigiano delle pellicce non gli è stato facile portare a casa la pelle. A un anno dal ritorno alla vita, dal ritorno a casa, racconta a Trentinonuovo.it la discesa all’inferno e il doloroso, lentissimo ritorno “a riveder le stelle”.
“Sono entrato in ospedale il 18 gennaio 2021 e ne sono uscito il 9 di aprile: senza voce, con venti chili di peso in meno, ma vivo. Ho mandato a medici e infermieri della rianimazione i ringraziamenti sulla carta stampata, ma in questi giorni mi dico che non ho fatto abbastanza. Sono finito in un inferno popolato da angeli, una dimensione allucinante. Ma il bisogno di ringraziare ce l’ho anche per le altre strutture che mi hanno aiutato nel ritorno alla vita. Nello specifico: grazie al personale dell’Eremo di Arco dove, oltre all’équipe medica consueta, ho trovato una psicologa con la quale siamo diventati amici, e che mi ha tolto dal buio, da una tristezza infinita, da un’angoscia, da una paura generalizzata. Quando, dopo la rianimazione, intubato e con la tracheotomia, sono arrivato ad Arco, mi sono reso conto che non camminavo, non riuscivo a parlare, avevo perso venti chili di peso. Era come se non ci fossi più come uomo, ma ero lì. Anche perché ne avevo visti tanti portar via dentro un lenzuolo”.
Che cosa passa per la mente vedendo il letto vicino improvvisamente vuoto?
“Quando sei in rianimazione, per fortuna non ti rendi conto. Quando ti tolgono da lì, riducono la respirazione assistita e sei cosciente, guardi nel vuoto e non ti resta che piangere. Ho avuto un aiuto straordinario dalla mia famiglia, da Sandra, mia moglie, e dai miei figli. Ma dentro l’ospedale, dove i miei non potevano entrare, c’erano figure tutte uguali, i medici e le infermiere bardate come in un film da fantascienza. Parevano tutte uguali, eppure c’è stata una Oss della quale non conosco il nome che quando piangevo e non riuscivo a parlare, si sedeva accanto al mio letto e mi teneva la mano. Lo ha fatto per ore, senza parlare ma cercando di ridarmi un po’ di coraggio, di farmi capire col calore di una mano che non tutto ero finito. Io le dico grazie col pensiero tutti i giorni. Adesso che si avvicina l’anno del ritorno a casa (9 aprile) devo trovare il modo per farglielo sapere. Pensavo di scrivere sul giornale, per ringraziare tutto il personale, la mia famiglia, i miei figli. In fondo al letto avevo un bigliettino con scritto “torna a casa” … (interruzione e lacrime).
Per festeggiare un anno di ritorno alla vita, in famiglia sono arrivati due nipotini.
“Pensa che cosa mi sarei perso”.
Come è cambiata la vita da un anno in qua?
“È cambiata fisicamente, perché ho ancora molte limitazioni. Sto piano piano recuperando, anche con l’aiuto di tanti amici medici, uno lo vorrei citare: Ettore Demattè che mi ha seguito dal primo giorno. È cambiato il modo di pensare, il valore delle cose. Adesso, prima che qualcuno mi faccia arrabbiare deve torturarmi. Sono diventato più fragile, completamente debole al punto che al solo parlare di questo argomento mi viene da piangere. Mi pare di essere tornato bambino, un piccolo che deve ancora imparare a vivere. Ecco, se c’è una lezione che ho ricevuto da questa drammatica disavventura è che ho imparato a dare il giusto peso alle cose”.
Quando sfilano i no-vax, che cosa viene da dire loro?
“Nella libertà di pensiero che ciascuno deve poter avere, per l’amor di Dio, auguro loro di aver sempre fortuna e di non subire ciò che è capitato a me. Perché, a quel punto, cambierebbero idea. Da soli. Dopodiché ho perso degli amici perché con loro non voglio assolutamente discutere, non ne ho più né la forza né la volontà. Sono così convinti nella loro ottusità mentale benché abbiano visto ciò che mi è capitato, e compreso quale poteva essere l’epilogo… Fondamentalmente, ero sano; nessuna patologia pregressa, sportivo (velista da una vita). Probabilmente è stato questo che ha messo il vento nella vela e, nonostante le onde gigantesche e la tempesta, mi ha riportato a riva”.Il 19 marzo Amedeo Detassis ha compiuto 65 anni. “E sono l’uomo più felice del mondo. Debole, emotivamente, ma mi sento in debito con la vita, con la mia famiglia e con tutto l’ambiente medico”. Angeli nell’inferno, appunto.
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