Benché si chiamino “medici con l’Africa”, i camici bianchi volontari del Cuamm (Collegio Universitario aspiranti medici missionari) di Padova, sono impegnati in queste settimane anche nel soccorso ai profughi dell’Ucraina nei Paesi che confinano con il territorio massacrato dalle armate di Putin. Lo racconta in questa lettera agli amici ed ai sostenitori il direttore di Cuamm, il dr. don Dante Carraro.
Mi scrive così Giovanna, dalla Moldavia: “Qui è dura. Mi diresti ‘non è certo la prima volta che stai con chi soffre, con chi subisce ingiustizie’. E hai ragione. Ma sarà perché abbiamo due culture vicine, o perché la guerra è tornata in un’Europa che aveva lavorato anni per debellarla, mi sento profondamente vicina a questa gente. E le donne ti ringraziano, parlandoti in una lingua che non capisci. Si commuovono e tu ti commuovi con loro. E ti arrivano come un calcio in faccia tutte le sofferenze, le paure e le ingiustizie che hanno vissuto. Si prova a dare il meglio, senza fare i supereroi”. Giovanna è rimasta, Giovanni e Andrea sono rientrati. Insieme sono stati nei giorni scorsi ai confini con l’Ucraina, in Moldavia prima e in Romania poi. E insieme hanno attraversato il confine rumeno fino alla città di Chernivtsi, nella zona nord ovest dell’Ucraina. In queste aree inizieremo il nostro aiuto.
Distruzioni, morte, sofferenze, dolore. La speranza era che potessero finire velocemente, invece non è così. Ogni mattina ci svegliamo e le notizie ci soverchiano e ci travolgono, tutti ci sentiamo mobilitati e coinvolti, tutti ci sentiamo vicini al dramma dell’Ucraina. È così anche per noi, che abbiamo il cuore che batte in Africa. La solidarietà si vive lì dove la vita ci chiama, dove la storia ci interpella per testimoniare il nostro essere uomini e cristiani. Uomini che si sentono coinvolti nel difendere la dignità delle persone, specie dei più deboli, interpellati da un Vangelo che ci chiede di essere dalla parte di chi è ferito, soffre, piange, è indifeso. La stessa umanità sofferente che incontriamo in Africa ogni giorno. E così, mentre vedo scorrere le immagini delle distruzioni in Ucraina, ho in mente il Mozambico del nord, a Cabo Delgado, luoghi devastati da una guerra per le risorse naturali, con profughi che scappano e cercano riparo e anche qui sempre e quasi solo mamme e bambini. Penso al Sud Sudan piegato dall’insicurezza.
Penso alla Repubblica Centrafricana dove ci si muove con tranquillità solo in capitale e fuori è instabilità totale. Come all’ospedale di Bocaranga, 100 posti letto e mille parti all’anno senza neanche un medico. Solo un infermiere, l’unica persona qualificata che ha scelto di restare, di non scappare. Penso all’Etiopia e alla guerra fratricida in Tigray dove stiamo portando aiuto. Guerre lontane geograficamente ma che ci portiamo nel cuore. Guerre dimenticate, di cui ci bruciano sulla pelle le ferite. Guerre assolutamente fuori dal radar, non raccontate da nessuno.
E insieme oggi ci sentiamo interpellati anche da questa guerra vicina. Prendo in prestito le parole di Giovanni e Andrea: “Adesso c’è anche un fronte interno, europeo e bisogna in qualche modo provare a dare una risposta. Per parte nostra cercheremo di farlo con due interventi concreti, mirati, sempre costruiti in collaborazione con le autorità locali. Lo faremo a Chisinau, in Moldavia, dove abbiamo trovato una città poverissima di 220.00 abitanti che fatica a sostenere il peso di quasi 150.000 rifugiati ucraini, destinati ad aumentare nel caso la città di Odessa dovesse cadere e il flusso di profughi intensificarsi ulteriormente. Lo faremo con un’unità sanitaria che fornirà assistenza materno-infantile e sostegno ai pazienti anziani, molti dei quali sono ospitati in case private ma privi di un riferimento sanitario. Ed è quello che cercheremo di fare anche in Ucraina, sostenendo soprattutto dal punto di vista del rifornimento logistico l’ospedale oncologico di Chernivtsi e un’ong locale molto attiva il cui incontro ci ha commosso profondamente e si è concluso con un abbraccio che non dimenticheremo. La situazione lì è grave con l’interruzione di tutti i canali di approvvigionamento e un peso per il sistema sanitario nel dare aiuti ordinari e straordinari”.Viviamo di carità. Quello che facciamo, il nostro impegno vicino ai poveri è il frutto di quella carità che ci accompagna e che ci sorregge: la carità di ciascuno di voi. Quella carità ci spinge a continuare nel nostro impegno determinato, tenace, fedele a quell’Africa che oggi più che mai rischia di essere ulteriormente dimenticata e lasciata in disparte, ma insieme ci incoraggia a essere accanto a quelle mamme, a quei bambini e a quelle persone anziane che in Ucraina, così vicino a noi, stanno soffrendo. Sentiamo forte il dovere di fare la nostra parte con l’aiuto di tutti, come sempre, senza dimenticare l’Africa. Come segno di quella condivisione e di quella fratellanza che ci accomuna, bianchi, neri, africani e ucraini, lì dove ci sono i deboli e gli indifesi.